In questa intervista, il famoso direttore e clavicembalista inglese Robert King spiega i motivi che lo hanno spinto a registrare l’oratorio “Israel in Ägypten” del compositore sassone nella versione approntata nel 1833 dal grande musicista romantico
Maestro King, perchè ha deciso di registrare l’oratorio di Händel Israel in Ägypten nella versione di Mendelssohn? Per il fatto che la considera migliore rispetto a quella del sommo compositore sassone?
Amo terribilmente ciò che ha fatto Mendelssohn, perché è un maestro dell’orchestrazione e i colori e le tessiture che riesce a creare in tutta l’opera sono una gioia infinita. Grazie ai suoi interventi, possiamo vedere Händel attraverso gli occhi di un maestro del XIX secolo, così come può essere sorprendente quando si assiste a un dramma di Shakespeare brillantemente interpretato, per esempio, in giapponese. Allo stesso modo, qui l’ascoltatore viene completamente avvolto dalla dimensione sonora di un capolavoro rivestito con degli abiti del tutto nuovi. Ecco, la registrazione di questo oratorio è in fondo un capolavoro di Händel rivestito dagli abiti fatti su misura da quello straordinario “sarto musicale” che è stato Mendelssohn. E per farlo io e i membri de The King’s Consort ci siamo a nostra volta trasformati in altrettanti “sarti”.
In primo luogo si è trattato di individuare dove si trovavano le parti mancanti e le fonti originali, per poi ricreare l’intera partitura. Poi abbiamo dovuto riportare il testo cantato in tedesco, utilizzando la stessa edizione usata da Mendelssohn. E, infine, la parte altamente creativa (e ricreativa), ossia quella di riempire gli spazi mancanti nelle parti strumentali e vocali. Ho dovuto far fronte a diversi “vuoti”, cercando di applicare lo stesso stile presente nella partitura in quei recitativi, nelle arie e nei cori che venivano a mancare nell’edizione approntata da Mendelssohn. Siccome mi piace comporre nello stile di altri, alle prove ho chiesto ai musicisti più importanti e preparati de The King’s Consort di farmi presente, senza peli sulla lingua, dove pensavano che finisse Mendelssohn e iniziasse l’opera del sottoscritto. Ebbene, il fatto che nessuno mi abbia fatto notare ciò, mi fa credere che abbia fatto, dopotutto, un buon lavoro.
Solitamente, consideriamo il giovane Mendelssohn come il “padre” della cosiddetta “Bach Renaissance”. A questo punto dobbiamo considerarlo anche “padre” di una sorta di “Händel Renaissance” avvenuta in Germania nella prima metà dell’Ottocento?
La questione è un po’ diversa. Händel ebbe un maggiore successo di pubblico nel corso della sua vita rispetto a Bach e in ciò i loro due profili pubblici non avrebbero potuto essere più diversi. Tutte le opere liriche e gli oratori di Händel, per non parlare delle committenze reali e degli allestimenti su larga scala dei suoi oratori fatti dopo la sua morte, oltre alle edizioni stampate, fece sì che la musica di questo compositore fosse conosciuta e apprezzata dal pubblico per buona parte del XIX secolo. Al contrario, tenendo presente che la maggior parte delle persone, anche durante la sua vita, considerò Bach semplicemente un Kantor, un organista che compose opere rimaste quasi sempre a livello di manoscritto e quindi non fruite dal pubblico musicale, non c’è da meravigliarsi se dopo la sua morte solo gli intenditori continuarono a mantenere viva la reputazione della sua musica. Nell’opera di riabilitazione di Bach, così come di Händel, Mendelssohn non fu il solo, ma di sicuro il più influente. In particolare, Mendelssohn applicò dei processi che se per gli studiosi di oggi rappresentano la norma, agli inizi del XIX secolo erano invece all’avanguardia, ossia quando cercò di avvicinarsi alle fonti musicali per tornare alle reali intenzioni del compositore. Quando Mendelssohn fu a Londra nel 1829, si entusiasmò esaminando alcuni dei sessanta volumi di musica di Händel conservati nella collezione reale, rendendosi conto che le partiture stampate disponibili a quel tempo erano spesso incomplete e imprecise. E non fu facile cercare di convincere gli ascoltatori dell’epoca a essere più fedeli alle reali intenzioni del compositore, tanto è vero che quando a Mendelssohn, pochi anni più tardi, fu chiesto di contribuire a un’importante edizione delle opere di Händel, il musicista si vide costretto spesso a litigare con gli altri membri del comitato editoriale per decidere gli interventi editoriali da apportare e le parti originali da conservare. In ciò, Mendelssohn fu molto più avanti del suo tempo.
Quali sono le differenze più importanti tra la versione di Israel in Ägypten di Händel e quella di Mendelssohn che avete deciso di registrare?
La più evidente arriva proprio all’inizio: l’aggiunta di un’emozionante e purissima ouverture da parte di Mendelssohn! A detta del padre del compositore, Abraham, si tratta del lavoro orchestrale più bello composto dal figlio e, in effetti, si tratta di un brano che fa rizzare i capelli. Quindi, siamo immediatamente catapultati nel mondo della prima musica romantica del XIX secolo, con il timbro delle fanfare mescolato con deliziosi passaggi di colore orchestrale. Significativo è anche il riordino dei movimenti, il testo tedesco e, soprattutto, quei meravigliosi colori orchestrali del XIX secolo. Per Israel in Ägypten, Mendelssohn ripristinò quei movimenti che mancavano in quella che era allora l’unica partitura stampata disponibile. Ciò che è particolarmente interessante è che l’esecuzione che Mendelssohn approntò nel 1833 a Düsseldorf fu un vero e proprio work in progress, nel senso che non avendo a disposizione un organo sul quale suonare l’importantissima parte del basso continuo, fu costretto a “spalmarla” sull’orchestra, altrimenti avrebbe rischiato di perdere buona parte dell’armonia. Così, per i recitativi utilizzò l’affascinante combinazione di due violoncelli solisti e del contrabbasso e nelle arie completò le armonie mancanti con due clarinetti. In seguito, Mendelssohn ebbe modo di mettere le mani sui lavori originali di Händel, ma è la “ripresa” del 1833 di quest’opera del Sassone che rende l’interpretazione di Mendelssohn assolutamente affascinante, così come musicalmente incantevole.
Quali sono, Maestro King, se ce lo può dire, le prossime registrazioni che verranno fatte dalla sua casa discografica VIVAT?
Abbiamo una nuova, incredibile serie, intitolata “Decades”, che inizierà a uscire a maggio e che prenderà in esame l’arte del canto in Europa per tutto il XIX secolo. Ideata da Malcolm Martineau, questa serie si arricchirà di esecuzioni da parte di cantanti provenienti da tutto il vecchio continente. Con The King’s Consort abbiamo in programma inoltre un interessante disco corale sulla musica romantica inglese. Ormai sono lontani i giorni in cui i CD si vendevano facilmente in tutto il mondo in modo da finanziare progetti di ogni tipo; al giorno d’oggi, invece, ogni registrazione richiede un finanziamento mirato da parte di generosi privati, fondazioni e sponsor. Se si dovesse manifestare una buona fatina capace di esaudire un mio desiderio, agitando la bacchetta magica, sarebbe quello di fare ciò che ho fatto negli anni Novanta dello scorso secolo per Purcell, ossia mutare completamente la percezione di ascolto di un compositore nel pubblico.
Andrea Bedetti