La figura di Camille Saint-Saëns viene oramai storicamente accostata a determinati generi musicali, nei quali rientrano il corpus sinfonico, quello concertistico e buona parte della musica da camera, come d’altronde testimoniato dalle scelte in campo discografico e concertistico. Ma nella considerevole e vasta produzione del compositore francese vi sono anche dei generi che sovente vengono messi da parte, a cominciare dalle chansons, senza considerare quello che riguarda la musica per solo organo, che numericamente non raggiunge le trenta opere, ma che rappresenta tuttavia una testimonianza ineludibile del processo di trasformazione dell’arte musicale di Saint-Saëns, soprattutto alla luce del fatto che l’autore fu, egli stesso, un assoluto virtuoso di questo strumento (non per nulla, a partire dal 1853, fu dapprima organista presso la chiesa parigina di Saint-Séverin, poi in quella di Saint-Merry, dove si trova un organo storico, e infine nella prestigiosa chiesa de La Madeleine).
Un amore, quello di Saint-Saëns per l’organo e la sua musica, che scaturisce fin dalla giovane età in nome di Bach, per il quale il nostro ebbe un’autentica venerazione in un’epoca, parliamo della metà dell’Ottocento, in cui la musica del Kantor era ancora in una fase di lenta ma costante rivalutazione da parte della cultura europea (non per nulla, Saint-Saëns fu uno dei primissimi abbonati all’edizione completa delle opere di Bach, la Bach-Gesellschaft Ausgabe). Questa venerazione per la musica organistica del genio di Eisenach sbocciò grazie anche all’insegnamento di Alexandre Boëly, ossia da colui che fece conoscere in Francia le opere bachiane.
Ma se la fama di Saint-Saëns come grande organista è risaputa, lo è molto meno, come si è già accennato, per ciò che riguarda la sua produzione organistica; giunge quindi ora opportuna l’avvio dell’integrale discografica per questo strumento, fatta dalla Da Vinci Classics, da parte di un giovane e valente organista trentino, Simone Vebber, il quale ha inciso il primo volume con quattro opere, Cyprès et Lauriers op. 156, Trois Préludes et Fugues, op. 99, la Fantaisie in mi bemolle maggiore op. R 78 e la Fantaisie n. 3 in do maggiore op. 157, un programma che ha il merito di esplorare tutte le fasi creative per organo di Saint-Saëns.
Cyprès et Lauriers rappresenta una delle ultime opere composte dal musicista francese, visto che risale al 1919 (si badi bene a questa data nel momento in cui la si ascolterà, ricordando le rivoluzionarie mutazioni in atto in quel periodo nella musica europea, a cominciare dal processo di frantumazione del linguaggio tonale da parte di Arnold Schönberg e, allo stesso tempo, del perché lo stesso Saint-Saëns, sebbene omaggiato e venerato, fosse ormai ritenuto all’epoca una sorta di rappresentante ingombrante della generazione precedente, quella che aveva fatto la storia del romanticismo). L’op. 156, suddivisa in due parti, fu creata per celebrare e commemorare la fine del primo conflitto mondiale e il loro contrasto, fornito simbolicamente dal cipresso, l’albero che è presente nei cimiteri, e dall’alloro, che viene tributato agli eroi, fa comprendere come il primo brano avesse il compito di commemorare i milioni di caduti di quell’immane carneficina, mentre il secondo, composto originariamente per organo e orchestra (qui viene presentata la trascrizione per solo organo effettuata dallo stesso Simone Vebber), fosse una celebrazione militare per ricordare la vittoria francese sulla Germania. Il risultato è un bilanciamento melodico ed emotivo tra il dolore, il lamento e una vena trionfalistica, elegiaca, un peana che la sola versione per organo nulla perde rispetto a quella orchestrale.
Al 1894 invece risalgono i Trois Préludes et Fugues op. 99, ognuno dei quali fu dedicato, in senso di omaggio, da Saint-Saëns ad altrettanti celebri organisti francesi della seconda metà dell’Ottocento, vale a dire Charles-Marie Widor, la cui arte venne ricordata da Saint-Saëns attraverso il chiaro messaggio bachiano, Alexandre Guilmant, al contrario vessillifero del linguaggio romantico, ed Eugène Gigout (il quale fu organista nella chiesa di Saint-Augustin e professore di organo presso il Conservatorio di Parigi), in cui il terzo Prélude et Fugue è costituito da una struttura compositiva che rappresenta un capolavoro in ambito armonico.
La Fantasia in mi bemolle maggiore, composta nel 1857 (parliamo, quindi, di un Saint-Saëns ventiduenne), è una delle pochissime pagine organistiche che non è stata dimenticata e fu dedicata a Georges Schmitt, organista presso la chiesa di Saint-Sulpice. Si tratta di un brano ragguardevole, suddiviso in due parti, in cui, come una cartina al tornasole, appaiono gli influssi e le predilezioni organistiche che, se nel primo segmento, Con moto, evidenzia l’ammirazione che il giovane autore ebbe per Louis James Alfred Lefébure-Wély, tra i fautori del cosiddetto “organo sinfonico”, nel secondo brano, Allegro di molto, ci fa capire come la scuola tedesca, quella che da Bach porta fino a Mendelssohn, abbia avuto un ruolo fondamentale in Saint-Saëns.
Anche la Fantasia n. 3 in do maggiore op. 157 è del 1919, un brano con il quale Saint-Saëns, conscio di essere “uomo e artista d’altri tempi”, intende riaffermare la sua visione della musica come autentica Weltanschauung, ancorata a degli stilemi che se da un lato puntano a rimarcare la priorità della linea melodica, dall’altro esprimono una capacità compositiva con la quale il compositore sembra voler mettere a tacere coloro che lo accusavano di un “passatismo” ormai consunto e inadeguato rispetto ai tempi (nella note di accompagnamento, giustamente Chiara Bertoglio fa notare come in certi passaggi dell’Andantino ci sia perfino un’allusione al linguaggio “innovativo” di un Debussy e di un Ravel).
L’interpretazione di Simone Vebber, che denota l’entusiasmo e l’ammirazione che prova nei confronti di questa musica, è pienamente convincente; il termine “entusiasmo” non è da sottovalutare, in quanto l’organista di Trento intende restituire nelle opere giovanili quel cipiglio, quell’irruenza, quell’entusiasmo giovanile, per l’appunto, che il Saint-Saëns di metà Ottocento volle esprimere traendo spunti, stimoli, illuminazioni dalla grande eredità del passato. Un’eredità che, nelle opere seguenti qui presentate, viene arricchita dalla sagacia creativa, da quell’incessante operazione di “mediazione” tra passato e presente, tra tradizione e innovazione (anche se Saint-Saëns, è il caso di rammentarlo, non è in ciò ai livelli di un Johannes Brahms), in un continuo oscillare che Simone Vebber mette esemplarmente sul piatto esecutivo attraverso un impianto in cui la lucidità del gesto non mette mai in secondo piano l’afflato emotivo, spirituale ed etico che sono componenti ineludibili della musica del compositore francese.
La presa del suono, effettuata da Marco Ober nella chiesa di Sant’Alessandro a Bergamo, è dotata di una buona dinamica, capace di rendere al meglio, grazie alla cospicua velocità, la maestosa timbrica dello strumento. Il palcoscenico sonoro restituisce l’organo a una più che discreta profondità, circoscrivendolo all’interno dello spazio fisico, mentre l’equilibrio tonale non mostra sgranature o imprecisioni nei vari registri. Da ultimo, il dettaglio è sufficientemente materico.
Andrea Bedetti
Camille Saint-Saëns – Complete Organ Works Vol. 1 – Cyprès et Lauriers op. 99, 156, 157, R78
Simone Vebber (organo)
CD Da Vinci Classics C00388