Quando si pensa al Rinascimento, soprattutto quello italiano, lo si fa quasi sempre prendendo a modello lo straordinario sviluppo delle arti visive e dell’architettura, delle opere poetiche e letterarie, ma non lo si fa altrettanto quasi mai per ciò che riguarda l’apporto dato dalle indubbie e straordinarie innovazioni nel campo della musica. Questo perché, al di là di una cronica disconoscenza dell’arte dei suoni di quell’epoca (la musica antica, sfortunatamente, resta ancora un campo per “specialisti” non solo a livello di studio, ma anche di ascolto, soprattutto nel nostro Paese), siamo soliti a credere che la musica rinascimentale, che grossomodo può essere inquadrata temporalmente nell’arco di circa centocinquant’anni, tra il 1450 e il 1600, non sia stata, a differenza delle altre espressioni artistiche, così “rivoluzionaria” e foriera di intuizioni, sperimentazioni, mutamenti tali da influenzare le epoche successive, a cominciare da quella del Barocco.

E questo rappresenta un grave errore perché in realtà l’epoca rinascimentale è stata a livello musicale un momento incredibilmente fecondo, se non addirittura “rivoluzionario”, per via di una sua volontà squisitamente “sperimentale” che coinvolse diversi autori dell’epoca, spingendoli a osare sonorità e armonie che anticiparono di fatto quelle riprese da compositori e musicisti di quattro secoli più tardi. Una volta, Claudio Brizi, insigne tastierista e organaro (è sicuramente il maggiore specialista al mondo di uno strumento chimerico rinascimentale e barocco, il claviorgano), nel corso di una chiacchierata su come autori del Cinquecento e del Seicento avessero anticipato di fatto le scelte sperimentali poi portate avanti da musicisti del Novecento storico, mi disse che, andando a visionare gli spartiti originali di autori inglesi elisabettiani come Orlando Gibbons, Thomas Tallis, John Bull, William Byrd, oltre a leggere la loro corrispondenza, si era reso conto che in alcune loro composizioni per tastiera, quindi per clavicembalo, spinetta o virginale, avevano voluto sperimentare nuovi timbri e sonorità aggiungendo tra le corde dei loro strumenti pezzi di candele, strisce di pergamena e altri oggetti che in tal modo andavano a modificarne il suono, ottenendo lo stesso tipo di risultato che quattro secoli più tardi John Cage avrebbe avuto con i suoi celeberrimi pianoforti “preparati”.

Questo fatto ci fa quindi comprendere come il musicista rinascimentale, in virtù di una mentalità e di una forma mentis più aperta alla sperimentazione e all’innovazione del suono, parallelamente a quanti operarono nelle loro rispettive espressioni artistiche, vuoi che si trattasse dell’ambito pittorico, architettonico o letterario, intese ampliare le sue conoscenze, i suoi tentativi, la sua volontà di offrire qualcosa di nuovo rispetto al passato e questo soprattutto nella sfera della musica strumentale, la quale proprio in quel periodo prese a distanziarsi sempre più, come disciplina del tutto autonoma, dalle regole, dalle leggi della musica vocale, cessando progressivamente di sottostare ad essa e alle sue “imitazioni”. Questo perché a partire dalla fine del XVI secolo avvenne un capitale cambiamento, poiché la musica strumentale, che fino a quel momento aveva avuto per l’appunto un ruolo di mero sostegno delle voci, grazie alle molteplici sperimentazioni che miravano a sondare le possibilità tecniche ed espressive di strumenti quali il violino, il flauto dritto, il cornetto, il trombone, il violone, la tiorba, il clavicembalo, prese ad acquisire una sua autonomia e una precisa identità specifica. Ecco, allora, che alcuni musicisti (i quali, non dimentichiamolo, erano allo stesso tempo anche esecutori) crearono un’incredibile messe di opere musicali per gli organici più disparati e inconsueti, foriere di particolarissime invenzioni formali all’insegna della cosiddetta “stravaganza”, che rappresentarono le ineludibili fondamenta necessarie alla musica strumentale dei secoli successivi.

Il clavicembalista Javier Núñez e l’arpista Sara Águeda.

La registrazione in questione, che vede l’arpista spagnola Sara Águeda e il clavicembalista connazionale Javier Núñez eseguire brani per arpa doppia e clavicembalo di autori italiani che vanno dal 1550 fino al 1700, s’intitola per l’appunto Stravaganza, in quanto mette esemplarmente in luce la volontà, il desiderio degli autori di quell’epoca di sperimentare nuove sonorità, nuovi timbri, nuove espressioni di linguaggio, accostando due strumenti, quale appunto l’arpa doppia (strumento tipico del periodo rinascimentale, formata da due arpe incrociate all’estremità superiore e collocate sopra una comune ampia cassa armonica a forma di piramide, che conta cinquantotto corde di budello, delle quali ventinove distribuite alla sinistra e ventinove alla destra dell’esecutore) e il clavicembalo, in nome di quella “stravaganza”, termine con il quale a quel tempo si definiva ogni forma di sperimentazione musicale.

Abbiamo così, tra gli altri, il veneto Giovanni Picchi (1571-1643) con due brani che appartengono al genere da ballo, Ballo alla Polacha e Passamezzo, il campano Antonio Valente (1520-1604), virtuoso dell’ornamentazione, come fa nella versione di due canzoni del tempo, Chi la dira, disminuita e Tenore Grande alla Napolitana, il lucano Maria Giovanni Trabaci (1575-1647), la cui ardita costruzione armonica viene eseguita dal duo spagnolo in brani quali Consonanze stravaganti, Gagliarda Prima a 5 detta La Galante e Toccata Seconda e ligature per l’arpa, e ancora il napoletano Andrea Falconieri (1585-1656), capace di proporre un lirismo acceso e coinvolgente in La Suave Melodia e, soprattutto, il genovese Michelangelo Rossi (1601-1656), la cui Toccata Settima sembra in realtà un brano del primo Novecento da quanto è contraddistinto da sonorità talmente dissonantiche che sembrano addirittura prefigurare la fine stessa del linguaggio tonale. Inoltre, non si può fare a meno di notare come si sia piacevolmente coinvolti dal tipo di sonorità e di equilibrio tonale che si viene a creare tra i due strumenti, quando sono coinvolti entrambi, dando così vita a un dialogo nel quale il senso ritmico, quello espressivo e armonico fa realmente comprendere come la musica strumentale rinascimentale nel nostro Paese non avesse nulla da invidiare rispetto alle coeve conquiste nel campo dell’arte e della letteratura.

Sia ben chiaro, merito della bellezza e del fascino di questa registrazione sta anche nella lettura e nell’interpretazione che Sara Águeda e Javier Núñez riescono a offrire, restituendo appieno lo spirito, la concezione, la visione di una musica che, come si è potuto capire, è molto più moderna e attuale di quanto si possa credere. Tecnica, espressività, passione, lirismo, senso dell’equilibrio formale, sono questi i cardini sui quali regge la loro esemplare interpretazione.

Anche la presa del suono della casa discografica polacca è ottima, a cominciare dall’equilibrio tonale che permette di restituire debitamente ogni sfumatura timbrica senza che uno strumento abbia il sopravvento sull’altro. La dinamica è corposa, rocciosa, assai energica e neutra, tale da non lasciare trasparire colori che non le appartengono. Infine, il palcoscenico sonoro riproduce assai bene l’evento sonoro, con una corretta ricostruzione dell’arpa doppia e del clavicembalo.

Andrea Bedetti

 

AA.VV. – Stravaganza. Italian music from 1550 – 1700

Sara Águeda (arpa doppia) – Javier Núñez (clavicembalo)

CD DUX – Dux 1567

 

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 4/5