Il violinista Domenico Marco, presidente de GliArchiEnsemble, che hanno recentemente registrato il Requiem mozartiano nella trascrizione effettuata da Peter Lichtenthal, ci parla in questa intervista dei problemi e delle complessità professionali che una compagine di soli archi deve affrontare nel nostro Paese

 

Maestro Domenico Marco, non è cosa da tutti i giorni vedere una registrazione dedicata a un autore come Peter Lichtenthal, musicista conosciuto solo dagli studiosi e dagli addetti ai lavori. Ma è indubbio che la sua trascrizione per quartetto d’archi del Requiem di Mozart è assai affascinante. Da qui la vostra decisione di fare una “trascrizione della trascrizione”, ossia di presentare l’ultimo capolavoro mozartiano in una versione per soli archi. Com’è nata questa idea?

Per il medico milanese, compositore e studioso della musica Peter Lichtenthal, la musica di Mozart, che considerava un vero genio, era la misura delle cose. Per rendere accessibile alla cerchia dei musicisti dilettanti italiani la musica del sommo compositore salisburghese per organici più grandi, elaborò alcune sue musiche per ensemble cameristici. Così sorse anche la versione per quartetto d’archi del Requiem, che circolò manoscritta per oltre un secolo e mezzo nella cerchia di musicisti sia professionisti sia dilettanti. Questa versione ci restituisce un’istantanea di un modo di sentire Mozart e di proporlo in contesti privati con mezzi essenziali in un anno quale il 1816, ossia quando Beethoven ha già scritto il Fidelio e otto sinfonie e mentre Rossini fa debuttare Il barbiere di Siviglia. Ci restituisce anche una visione non acritica del lavoro di Süssmayer, che Lichtenthal, compositore, ma anche letterato, medico, saggista, divulgatore e biografo mozartiano, dimostra, nell’approcciarsi alla partitura completata del Requiem, di essere consapevole della delicata genesi del lavoro. Non propone una sua rilettura, un suo completamento, si attiene sostanzialmente alla versione, per così dire, “ufficiale”, ma sembra prestare un occhio di speciale riguardo all’idea dell’abbozzo mozartiano. O, più semplicemente, prosciugare la scrittura nelle linee più essenziali, avvicinandosi a quello scheletro che, per la maggior parte, il genio di Salisburgo ha lasciato come semplice traccia e appunto e che l’allievo Süssmayer orchestrò, sviluppò, cercando anche, come ben sappiamo, d’inventare o almeno indovinare in modo rispettoso. Da Mozart a Süssmayer a Lichtenthal, l’idea sembra tornare, almeno nell’intenzione e nella suggestione, al suo principio ancora embrionale.

 

Il manoscritto della partitura del Requiem mozartiano.

 

La stessa decisione di seguire un preciso timbro e delle dinamiche sonore più particolari, rispetto a quelle già proposte, è assai interessante per comprendere come avete voluto affrontare ed eseguire questa versione del Requiem. Quali accorgimenti avete voluto adottare in questa registrazione?

Abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con Giovanni Antonini, direttore del Giardino Armonico, con il quale abbiamo riletto la partitura seguendo le indicazioni precise di Mozart, nell’agogica, nelle dinamiche e nel timbro, in modo tale da “dettare le note”, come se volessimo rimarcare le parole del testo. Crediamo di essere riusciti nell’intento di non far sentire la mancanza del coro e dei soli. Tutto questo ha complicato ancora di più l’esecuzione per un disco, considerando che noi siamo undici elementi di soli archi.

 

Un ritratto di Franz Xaver Süßmayr, l’allievo di Mozart che cercò di ultimare il Requiem.

    

Una vostra peculiarità, come GliArchiEnsemble, è quella di prendere decisioni, per ciò che riguarda i progetti discografici e quelli concertistici, sempre di comune accordo, a livello squisitamente collegiale, senza che una voce sia più importante di quella di altri. Come riuscite a essere così “democratici” e a non cedere alle lusinghe del “potere” individuale che, come la vita e la storia insegnano, tendono a logorare nel tempo le volontà comuni?

È il segreto che ci ha portato dopo quindici anni ad essere ancora insieme. Gli ingredienti, visto che oggi nei media si vedono quasi esclusivamente format di cucina a tutte le ore del giorno e in tutti i canali, sono la stima, l’amicizia, la tenacia e l’amore di fare musica insieme. Questa è la base sulla quale costruire una struttura apparentemente semplice, ma dove ognuno di noi ha dei compiti ben precisi da svolgere e delle responsabilità. Siamo dotati di consiglio di amministrazione che ha potere decisionale su tutta l’attività artistica ed amministrativa, ma deve comunque confrontarsi con il resto dei soci e con i nostri manager che ci gestiscono nei vari Paesi del mondo. La struttura de GliArchiEnsemble è un’Associazione denominata Società del Quartetto di Palermo di cui sono Presidente con il marchio registrato.

 

Uno dei precedenti progetti discografici de GliArchiEnsemble, sempre molto attenti alla qualità audio delle loro registrazioni.

 

Il vostro procedere discografico, al di là di pagine celebri come Souvenir de Florence di Čajkovskij, è votato nel proporre brani che non sono famosi. Come avete deciso di percorrere un sentiero discograficamente alternativo a quello seguito invece da altre compagini, che preferiscono seguire un cammino meno rischioso e più consueto?

Posso semplicemente dire che non ci è mai interessato essere accomunati alle altre compagini orchestrali come ad esempio I Musici, I Solisti Veneti, Europa Galante, per citarne alcuni, perché il nostro è un percorso totalmente diverso fatto di ricerca, di contaminazioni e di studio approfondito delle partiture. Ogni disco ha una storia a sé, non solo per i brani poco eseguiti o mai incisi, ma anche per le scelte di ripresa audio; tutto ciò rende il nostro lavoro sempre interessante ma nello stesso tempo complesso.

 

Il violinista Domenico Marco, presidente de GliArchiEnsemble.

 

In Italia, come viene recepita dal pubblico e dagli organizzatori delle stagioni concertistiche la musica per ensemble di soli archi? C’è una risposta positiva e come si pone rispetto alle realtà musicali di altri Paesi?

Per rispondere alla prima domanda dovrei citare una frase di Uto Ughi: «I responsabili sono sempre di nomina politica e la mediocrità viene premiata. Per questo bisogna avere il coraggio di dire che le persone che ora amministrano la vita musicale sono inadeguate». Riguardo alla seconda domanda, le confermo che noi suoniamo molto di più all’estero che in Italia. In Italia, bisogna essere prima famosi all’estero per poi essere contattati. È sempre la solita storia… ma speriamo che cambi!

 

A proposito di registrazioni. Avete già in mente quale potrebbe essere il vostro prossimo disco e quali autori presentare?

Pensiamo di incidere il prossimo disco con un nostro amico, il bravissimo e famoso bandoneonista Mario Stefano Pietrodarchi.

Andrea Bedetti