Quando Edvard Grieg si sentiva dire che la musica da lui creata poteva essere paragonata, per importanza e bellezza, a quella di grandi geni che lo avevano preceduto, come Bach e Beethoven, si scherniva e con lucida umiltà affermava invece che quanto da lui scritto era soltanto una piccola e modesta abitazione rispetto alle maestose cattedrali sonore architettate da quei sommi geni. E se si vuole proseguire con questa similitudine “urbanistica”, considerando la storia e l’evoluzione della musica colta occidentale con le fattezze di una città organica, che tende ad ampliarsi mostrando stili e concezioni architettoniche diversi, magari come quella immaginata da Le Corbusier, allora potremmo davvero vedere, come affermato da Grieg, un alternarsi di maestosi edifici e di costruzioni più ordinarie, capaci di armonizzarsi gli uni con le altre, dando così un’immagine composita e logica del tutto.
In un certo senso, il progetto discografico presentato dal giovane pianista brasiliano-americano Diego Caetano, dal titolo Chansons et Mélodies e pubblicato recentemente dall’etichetta Da Vinci Classics, vuole proprio essere un atto di omaggio verso quegli edifici meno appariscenti e sfavillanti che fanno parte di questa “città della musica”, per ricordare che la musica colta, quella destinata a vincere le tentazioni annientatrici del tempo, rovesciando il celeberrimo verso gozzaniano, è fatta anche e soprattutto di “buone cose” che però, in questo caso, non sono di “pessimo”, bensì di ottimo gusto.
Un programma, il suo, che vede la presenza di famosissimi compositori, vale a dire Fryderyk Chopin e Francis Poulenc, con altri meno famosi, come lo spagnolo Antón García Abril e la francese Cécile Chaminade, ossia artisti di cui si fa fatica magari a ricordare i loro nomi e, soprattutto, le loro opere, coinvolgendo anche sommi compositori, appunto i primi due, i quali, oltre ad erigere cattedrali musicali destinate a restare solide e imperiture, diedero vita anche a casupole di ben più modesta importanza, opere magari da considerare come puro intrattenimento, anche se si fa fatica a considerare tale il Nocturne op. 27 No. 2 chopiniano qui presentato, ma che fu considerato tale all’epoca in cui fu presentato dal grande polacco, mentre le pagine di Poulenc eseguite in questo disco, l’Intermezzo in la maggiore e soprattutto il ciclo de Les soirées de Nazelles, rientrano per l’appunto nella categoria di discreti e puliti condomini nei quali vivere quotidianamente. E anche la pagina pianistica di Abril, autore che appartiene di diritto al Novecento storico (nato a Teruel nel 1933 e morto a Madrid nel 2021), il Preludio de Mirambel No. 1, è a uso di coloro che vogliono considerare la musica come un elemento di Gebrauch, per dirla con Hindemith, ossia di piacevole “consumo”. Semmai, un po’ diverso, è il discorso che si può fare sulla parigina Cécile Chaminade, una delle pianiste francesi più dotate nel passaggio tra Ottocento e Novecento (nacque nel 1857 e morì a Montecarlo nel 1944), la cui produzione, che vanta quasi duecento opere, quasi tutte per pianoforte, è ancora in attesa di una maggiore sistematizzazione di carattere critico e musicologico (qui, Caetano presenta l’Arabesque Op. 61 e la Sonata in do minore Op. 21).
Come si muove tra questi caseggiati sonori il pianista brasiliano-americano? Cominciamo con il considerare l’edificio più prestigioso e illustre, ossia il secondo Notturno chopiniano dell’op. 27; premesso che, considerato il minutaggio del disco, sarebbe stato meglio includere anche il primo Notturno, quello in do diesis minore, in quanto insieme formano un dittico indissolubile nelle loro opposte finalità, ad ogni modo se l’intento di Caetano era quello di immergere questo piccolo gioiello nel clima “salottiero” e pas engagé che presiede, a livello di denominatore comune, il programma di questa registrazione, possiamo dire che ci è pienamente riuscito. Questo, ovviamente, non significa che il Nocturne in questione sia un brano da salotto, ma la sua struttura, il suo impianto generale possono generare un sentimento d’ascolto tale da richiamare tale tipo di atteggiamento interpretativo. Ma sebbene nella lettura del nostro pianista non manchi l’indispensabile cristallinità timbrica che deve generare quell’aura di calma e serenità, la sua interpretazione riesce a far trasparire anche quelle sottili increspature nelle quali Chopin inseriva le sue esigenze interiori, non certo allineate con il gusto superficiale dell’epoca: il guscio sarà quindi “salottiero”, ma il mollusco che vi si cela, protetto, ci parla di quella inquietudine che, in dosi minime o massicce che siano, il geniale compositore polacco dispensa nella quasi totalità delle sue opere.
Tornando ai quartieri meno nobili, ma non per questo disprezzabili, il Preludio di Abril ci mostra come una casetta mantenuta linda e pulita, magari allietata da vasi di fiori, possa fare la sua bella figura, anche se non può ambire alle maestosità architettoniche di capolavori immortali; nel caso specifico del compositore spagnolo, la sua predisposizione alla scrittura di colonne sonore per il mondo del cinema traspare abbastanza eloquentemente in questa brevissima pagina che appartiene al corpus dei sei Preludios de Mirambel, elaborati tra il 1984 e il 1996. La “funzionalità” delle soundtracks viene qui traslata da Abril in una chiave nella quale la raffinatezza armonica lascia ampio spazio alla resa melodica, dando così vita a una paginetta che nel suo genere è assolutamente deliziosa e che Diego Caetano esalta sapientemente con un perfetto dosaggio timbrico, restituendone la rarefatta atmosfera tematica.
Cécile Chaminade è stata una dotatissima pianista e una notevole compositrice in un’epoca, la seconda metà dell’Ottocento, in cui le donne non potevano ancora accedere agli studi musicali nei conservatori; ciò non le impedì però di farsi strada e di mostrare le qualità delle sue creazioni sonore. Di questa artista parigina che destò l’ammirazione di Georges Bizet (il quale la soprannominò “mon petit Mozart”) vengono presentate due pagine, a mio avviso una molto più riuscita dell’altra, vale a dire il geniale Arabesque e la più scolastica Sonata in do minore. Il primo brano, partendo da un semplice tema che si ripresenta nel corso dell’opera, si sviluppa in una serie di approfondimenti, che rasentano le variazioni sotto il raffinato camouflage di uno stile che apparentemente potrebbe appartenere al goût salottiero. Le cose invece si complicano quando la compositrice intende abbandonarsi al genere ben più complicato di questa Sonata, la quale, suddivisa in tre tempi, sembra cedere ad ammiccamenti che rimandano perfino a Beethoven (la scelta della tonalità), ma che, al di là di una corretta esposizione, non si addentra nei meandri di un linguaggio variegato e musicalmente elaborato. Fedele al suo senso di marcia, Diego Caetano restituisce queste due pagine con la debita dose di passione (e questo vale soprattutto per l’Arabesque) e con la dovuta attenzione nel dipanare sonorità che se compositivamente possono non risultare efficaci (e questo vale soprattutto per la Sonata) meritano allo stesso tempo un confezionamento timbrico capace di modellare e di ricostruire i sentimenti e l’estetica di un’epoca.
Al contrario, le ultime due opere prese in esame dal pianista brasiliano-americano, quelle dedicate all’ultimo dei grandi raffinati, Francis Poulenc, rappresentano la punta di diamante di tutto il programma. Il Poulenc pianistico è un toro che dev’essere afferrato per le corna per il semplice fatto che l’espressività che emana dalle sue composizioni si muove sul filo di una lama a dir poco tagliente, sulla quale si concentrano dosi di umorismo e di ironia che rappresentano il marchio di fabbrica di una visione mai abbandonata dall’artista parigino. Proprio come nel caso dell’Intermezzo il la bemolle maggiore, scritto nel bel mezzo di un anno tragico, e non solo per la Francia, il 1943, e delle fantasmagoriche Soirées de Nazelles, che furono elaborate tra il 1930 e il 1936 e suddivise in un Préambule, da otto variazioni, una Cadence e un Final. Queste serate alludono al periodo di vacanze che Poulenc, insieme con i parenti e gli amici, era solito trascorrere appunto a Nazelles, un luogo di campagna che si trova nella regione della Loira, a un tiro di schioppo dal Castello di Amboise, dove Leonardo da Vinci trascorse gli ultimi due anni della sua vita. Gli undici pezzi che sono riuniti in queste Soirées sono fondamentalmente altrettanti ritratti dei personaggi che vi presero parte, dando vita a un vero e proprio ironico trattato di “fisiognomica sonora”, quintessenza di quel colto e raffinato umorismo del quale si è accennato, dannatamente arduo da rendere al meglio, se non con un’agogica accorta, intrisa di acuto psicologismo, tale da trasformare il pianoforte in un palcoscenico teatrale nel quale non sono esenti raffigurazioni che appartengono alla letteratura di Raymond Queneau e al teatro di Georges Feydeau.
Beh, qui Caetano si supera, affastellando una serie di quadri nei quali abbondano deliziosa perfidia (l’uso geniale della tastiera nella contrapposizione tra il registro acuto e quello grave), introspettiva malinconia (il concetto del temps qui passe è antropologicamente francese), comicità alla Ridolini, e un senso drammatico che viene sempre magistralmente smussato, arrotondato, vellutato da una saggezza compositiva che ha del prodigioso.
Il nome di Gabriele Zanetti è ormai sinonimo di sicurezza, nel senso che le sue prese del suono rappresentano una garanzia di qualità e di fedeltà nella loro ricostruzione. Tutti i parametri sono più che positivi, a cominciare dalla dinamica, energica e piacevolmente naturale, così come il palcoscenico sonoro, nel quale, a una discreta profondità, viene fisicamente presentato il pianoforte. E se l’equilibrio tonale non mostra sbavature e imperfezioni, il dettaglio è ricco di matericità.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Chansons et Mélodies
Diego Caetano (pianoforte)
CD Da Vinci Classics C00704