Luigi Esposito è un compositore, artista visivo, pianista/performer e scrittore (www.luigiesposito.net), oltre ad essere uno dei maggiori creatori di pittogrammi, ossia quelle partiture o spartiti che oltre alle note e indicazioni musicali vengono arricchiti e potenziati da disegni, forme, colori che hanno il compito di rafforzare la dimensione artistica del tutto. Ne abbiamo parlato con lui
Maestro Esposito, che cos’è esattamente un pittogramma musicale e come nasce? È un prodotto della musica del Novecento o le sue origini affondano in un passato più remoto?
Cos’è un pittogramma musicale? Potremmo dire che è un segno che suggerisce un suono, un silenzio, un’azione scenica o altri elementi della drammaturgia, ma che può essere considerato anche solamente sotto l’aspetto visivo e visionario. Deve necessariamente contenere bellezza grafica e qualità segnica, e deve raccontare azioni, visioni, vibrazioni. Riguardo le origini della pittografia musicale, iniziamo col dire che il neuma, primissimo germe della scrittura musicale, indicava, approssimativamente, altezza e durata dei suoni e aveva un valore relativo, ma non aleatorio. Inoltre, tale segno nacque per evolversi e convogliarsi verso una scrittura definita, qual è la notazione musicale tradizionale o moderna, quindi non rappresentava sé stesso, ma rappresentava il seme che stava dando vita all’albero della notazione moderna. È vero esistono pagine di fattura antica che contengono elementi visivi molto forti, come alcuni canoni enigmatici di Juan De Vado (1625-1691), o canoni circolari del XV secolo, ma l’intenzione di usare e di inserire alcuni disegni o elementi decorativi (non oserei dire grafismi) non era per far emergere fattori aleatori che avessero come prerogativa la performance; s’intendeva, in un certo senso, semplicemente abbellire la partitura, rendendola più intrigante e armoniosa alla vista. Mentre la pittografia musicale, indirizzata verso pagine performative, prende corpo nella seconda metà del Novecento come conclave di segno a sé stante, che non ha bisogno di evolversi in quanto segno, ma di arricchirsi in quanto scrittura. La prerogativa della pittografia musicale è data dell’unicum interpretativo: ogni esecuzione è rinnovamento interpretativo.
Qual è il compositore o la scuola musicale che ha maggiormente diffuso il concetto musicale del pittogramma?
I compositori che hanno utilizzato la pittografia e la grafia musicale sono diversi, da Earle Brown a Karlheinz Stockhausen, John Cage, Ladislav Kupkovič, Mauricio Kagel, Roland Kayn, Cornelius Cardew, Dieter Schnebel, Franco Donatoni, Robert Moran, Domenico Guàccero, Francesco Pennisi, Greg Englert, per citarne alcuni. Ma il compositore che ha maggiormente diffuso questa tecnica, questa disciplina, senz’alcun dubbio è Sylvano Bussotti. Le sue partiture si sono arricchite di pittogrammi sin dagli anni Cinquanta (cito fra tutte Pièce de Chair II, dove vi sono i bellissimi Five piano pièces for David Tudor) a tutt’oggi. Ma anche Daniele Lombardi ha adoperato la scrittura visiva, pittografica, per oltre cinquant’anni e in modo costante, creando pagine di vera bellezza grafica e musicale; e Nicola Cisternino che considera partiture le sue opere metavisive (come i Graffiti sonori, o le Preghiere) dove i tratti, i colori creano allegorie sonore con varianti timbriche profonde ed intriganti.
Lei viene considerato il compositore italiano che attualmente più di ogni altro utilizza per le sue composizioni la tecnica del pittogramma. Com’è nato in lei questo interesse, questo desiderio di esprimersi attraverso di esso?
Fin dagli anni Ottanta, anni di apprendistato, ho avuto l’esigenza di scrivere pagine legate all’azione scenica, al gesto teatrale, che avessero prerogative performative molto aperte, con un segno grafico preciso, incisivo, e allo stesso tempo interpretabile in modo soggettivo, cosicché ogni esecuzione potesse risultare un unicum creativo. Questa esigenza l’ho potuta soddisfare soprattutto con la scrittura pittografica, sia manuale, sia virtuale. Per me è stata una scelta non solo di valenza estetica e di tecnica compositiva, ma innanzitutto una scelta di comportamento creativo. Dal punto di vista operativo, a differenza delle altre tecniche compositive, quando si inizia a scrivere una pagina pittografica si crea una sinergia tra il foglio (se del foglio si tratta, ma può essere qualsiasi altro supporto), la materia (inchiostri, colori, frammenti per collage, oggetti di qualsivoglia natura, etc.), il gesto d’azione (la scrittura), e il pensiero. Mentre negli altri sistemi compositivi la tecnica di scrittura (conoscenza dei fattori armonici, timbrici, sonori, acustici, etc.) è unita al solo pensiero creativo (che spesso si fonde con essa e che smuove le risorse di questa tecnica), nel caso della scrittura pittografica si crea anche un rapporto di natura corporea, tangibile e immancabilmente vengono chiamati in gioco tutti i sensi del corpo. A volte si è assolutamente cosciente di entrare in uno stato di “transfert creativo”, di non sapere quali saranno i cammini da percorrere, quali saranno gli incontri lungo il cammino, quali saranno i limiti. Per questa ragione è assolutamente inevitabile un’azione performativa, corporea, nell’interpretazione di una partitura pittografica. Anzi dirò di più, le pagine pittografiche che inserisco nelle mie opere, spesso fanno da trait d’union tra scrittura tradizionale, linguaggio elettronico e video art, portando a compimento una multimedialità d’azioni in continuo fermento per rinnovarsi. La mia primissima partitura con elementi pittografici è Segmenti, sul nome di CAGE, per pianoforte e otto segmenti; risale al 1994, un gioco sonoro gestito su un Anello di Moebius, arricchito di simboli grafici, colori e rimandi visivi. Questa pagina impressionò molto Sylvano Bussotti. Ricordo che, quando lo conobbi nel 1996, con la partitura tra le mani, disse: «Non è un caso che ci siamo incontrati». Bussotti mi volle come suo allievo ai corsi G.A.M.O. a Firenze. Grazie a questa frequentazione e a questa collaborazione, portate avanti negli anni e che mi hanno permesso di scrivere una corposa biografia su di lui (Un male incontenibile, Sylvano Bussotti artista senza confini; Bietti, Milano 2013), ho avuto modo di sviluppare questa scrittura approfondendone aspetti tecnici, elementi stilistici, fattori timbrico/sonori legati ai dettami del segno e alle varianti del colore.
Lei è spesso chiamato a tenere corsi di pittogramma per compositori e interpreti (il prossimo 7 luglio terrà una Master Class sulla pittografia musicale a Lucca, durante l’International Opera Composition Course “Giacomo Puccini” diretto da Girolamo Deraco e organizzato da Cluster Associazione di Compositori, https://www.clustermusic.net/ioccpuccini/). A tale proposito, come si pone un interprete di fronte alla tecnica del pittogramma? E quanto la dimensione pittorica data dalle linee e dai colori può influenzare la sua lettura esecutiva del brano musicale?
Questa duplice domanda la si dovrebbe porla ad alcuni dei miei maggiori interpreti: Roberto Fabbriciani, Monica Benvenuti, Piero Viti, Mario Caroli, Hidehiko Hinohara, Marino Baratello, Duo Alterno, Ciro Longobardi, Hans-Jürgen Gerung, Luca Paoloni, Felix Renggli. Loro sicuramente saprebbero rispondere meglio di me. Io posso solo dire che, nella mia immaginazione, vorrei poter comunicare col fruitore attraverso la sola pagina pittografica, di modo che non debbano necessariamente esistere interprete e pubblico, ma ognuno possa vivere la propria personale esperienza attraverso la partitura. Bene, questo antefatto mi ha indotto a riflettere sul fattore della performance creativa. Come può un interprete trasferire il pensiero del compositore, indossare queste vesti? Dal 2001, ho iniziato a concepire pagine pittografiche destinate non solo a strumenti, voci, ensemble o a grandi organici, ma all’Azione Performativa/Sorprendente del Divino Esecutore. Chi fosse il Divino Esecutore, non è specificato in nessuna delle mie partiture, ma di sicuro, non deve necessariamente essere un musicista. E ricordo che parlandone con Luis De Pablo, scherzosamente mi disse: «Allora può essere anche un oggetto!». Posso solo dire che identifico la figura del Divino Esecutore nel messaggio di John Cage, quando ci invita al silenzio; nel gesto umano di Sylvano Bussotti, quando nelle sue opere cattura l’attenzione di “orecchio, bocca, tutt’organi e sensi” che “sentono e parlano con l’occhio”; nella poetica di Italo Calvino, quando nelle “Lezioni Americane” parla della Leggerezza e della Rapidità come qualcosa di ineffabile.
Che cosa risponde ai detrattori di questa tecnica che unisce la rappresentazione simbolica del suono unita a quella pittorica? Per alcuni è solo un ibrido che nulla ha a che fare con l’arte musicale.
Probabilmente, ciò che maggiormente spaventa i detrattori di questa disciplina è la mancanza di una legenda simbolica che possa descrivere dettagliatamente, segno per segno, l’esecuzione dei pittogrammi. La partitura pittografica è concepita per un’interpretazione personale, aleatoria e performativa, dettata anche dalla sfera emotiva e dallo stato d’animo dell’esecutore. Esistono delle partiture pittografiche con legende, anch’io ne ho realizzate, che però descrivono solo in parte e in modo generico i segni presenti in essa. Una descrizione troppo dettagliata tradirebbe la natura e lo spirito della pagina pittografica. Kandinskij, padre dell’astrattismo, in Punto, linea, superficie (1926), parlando del punto afferma: “Il punto geometrico è l’unico legame tra silenzio e parola. È l’elemento da cui si generano tutte le altre forme”. E quando parla della linea dice: “La linea è la traccia lasciata dal punto in movimento. Essa è sorta dal movimento e precisamente attraverso l’annientamento della quiete suprema in sé conchiusa del punto”. La partitura pittografica è un insieme di punti, linee e anche colori su una superficie, ma con un’intenzione (e questa è la vera sfida) sonoro/visiva, scenico/drammaturgica e performativa. Ecco, questo si dovrebbe comprendere quando si parla di pittografia musicale.
A suo giudizio, nei termini della pura dimensione pittorica, qual è il pittogramma esteticamente più bello mai realizzato?
Mi ha sempre affascinato una frase di Rilke, presente nelle Elegie Duinesi, che qui riporto cifrata: «La bellezza è solo la maschera del tremendo». Per me la bellezza è generata dal sublime, e sappiamo che il sublime contiene anche il tremendo. Il pittogramma esteticamente più bello, secondo me, deve contenere una drammaturgia segnica che vada verso questo modello, il modello del sublime, ma soprattutto dev’essere in armonia con tutti gli altri segni presenti nella pagina. Certo, esistono pittogrammi belli nei termini della pura dimensione pittorica, ma non credo si possa decifrare quale sia il più bello in assoluto, anche perché ogni segno o simbolo esprime la sua bellezza se è in relazione con tutti gli altri. Potremmo invitare il lettore ad eleggere il proprio pittogramma, consigliandolo di visionare pagine di Bussotti, Lombardi, Pennisi e, se ne avesse voglia, un frammento di Sopra la Notte, una mia opera per coro a cappella su testo di Michelangelo che scrissi nel 2008, dalla quale è stata realizzata anche un’acquaforte a tiratura limitata.
Un’ultima domanda, la tecnica del pittogramma ha un futuro nell’ambito della musica contemporanea o è destinato a rappresentare unicamente una nicchia a uso e a consumo di pochi specialisti?
Io continuo ad affermare che la pittografia musicale è un campo ancora inesplorato e che potrebbe portare a soluzioni immaginarie. La pittografia musicale non si insegna, si tramanda. Adoperare questa disciplina, che è un insieme di segni che danzano, fa parte di una condizione artistica imprescindibile, non è solamente una scelta compositiva legata alle esigenze del momento creativo, perché, fondamentalmente, il segno grafico o il pittogramma musicale rappresenta la memoria del suono (e del silenzio) del compositore.
Andrea Bedetti