Un’opera incentrata sui soldi, il rango e il potere. Questo ha voluto esprimere ed evidenziare il regista canadese Robert Carsen con la sua regia de La traviata al Teatro La Fenice di Venezia. Narrazione che pare trasferita nelle foreste natali di Carsen – a giudicare dal fondale della prima scena del secondo atto, accompagnata da un prato e da una pioggia di banconote – nella seconda metà del secolo scorso.
È noto quale fosse il forte desiderio di Verdi per il debutto assoluto della sua Traviata, avvenuto il 6 marzo 1853 proprio al Teatro La Fenice di Venezia: vederla rappresentata come opera contemporanea. Purtroppo, però, ciò accadde se non dopo la sua morte. La regia di Carsen ha quindi rispettato coerentemente il desiderio del compositore di Busseto. Una regia squisitamente moderna ma che non eccede nello sfarzo, che è presentata dal novembre 2004 – data di riapertura del teatro veneziano – riscuotendo sempre un successo eclatante.
Carsen e il costumista Patrick Kinmonth giocano molto sull’evoluzione psicologica di Violetta da prostituta a donna, con la gioia e la consapevolezza di essere amata amando assieme ad Alfredo, anch’esso cambiato, nell’espressività e nell’abbigliarsi, da fotografo quasi “stalker” di Violetta a uomo maturo quando vede spirare la donna amata. Costumi encomiabili e assolutamente azzeccati, con Violetta sempre al centro della scena con abiti che ci fanno capire il suo stato d’animo, il suo rappresentarsi al mondo circostante, cartina al tornasole di quelle che sono le sue emozioni e i suoi pensieri.
Sul podio delle rappresentazioni dal 25 marzo al 5 aprile, Francesco Lanzillotta, mentre Marco Paladin dirigerà l’ultima replica, quella del 6 aprile. Il maestro romano Lanzillotta, salito nuovamente sul podio feniceo, dopo La bohéme del 2018 e Gina di Francesco Cilea (2017), ha evidenziato una direzione che se a volte può essere apparsa molto dominante sui solisti, allo stesso tempo, timbrica a parte, è risultata essere magistralmente bilanciata e studiata, in grado di cogliere tutta l’essenza del capolavoro verdiano.
Una Violetta splendida quella del soprano siberiano Irina Dubrovskaya, un po’ impacciata nel recitativo, ma eccellente e sempre pulita nella resa canora, seppur talvolta soffocata dall’orchestra negli acuti. Protagonista affiancata dal giovane Alfredo di Matteo Desole – con un inizio fiacco recuperato poco più tardi, sebbene costantemente flebile e facilmente sovrastabile dall’insieme orchestrale – e dal molto apprezzato Giorgio Germont di Armando Gabba, dall’espressività molto curata e significativa. Protagonisti assolutamente coesi tra loro, con una forte interazione musicale quanto fisica nella sfera della recitazione.
Il denaro è presente in ogni scena eccetto nell’ultimo atto, in cui rientriamo nella casa di Violetta con le pareti pitturate a metà, le impalcature degli imbianchini e un’asse sostenuta da due cavalletti che ha preso il posto della pregiata toeletta, segno evidente della precarietà dell’esistenza umana, rapportata all’allegoria che non si riesce quasi mai a far sì che la vita possa essere compiuta in tutto e per tutto, rendendoci conto, quando la morte viene a bussare, che abbiamo lasciato inevitabilmente qualcosa in sospeso.
Un elogio va alle luci curate da Robert Carsen e Peter Van Praet, sempre riuscite specialmente nel finale in cui, illuminando la sala quando Violetta ritorna a vivere, rende partecipe il pubblico della sua morte di lì a breve. Lo stesso Carsen ha dichiarato, come si legge nel libretto di sala, che «anche noi del pubblico siamo in qualche modo “clienti” di Violetta, e troviamo un appagamento voyeuristico mentre prova piacere e dolore».
Come potergli dare torto?
Marco Pegoraro
Giudizio artistico 4/5
Giuseppe Verdi – La traviata
Violetta: Francesca Dotto (27,29/3 – 2,5/4) – Irina Dubrovskaya (28,31/3 – 3,6/4)
Alfredo: Ivan Ayon Rivas (27,29/3 – 2,5/4) – Matteo Desole (28,31/3 – 3,6/4)
Germont: Simone Albergini (27,29/3 – 2,5/4) – Armando Gabba (28,31/3 – 3,6/4)
Flora: Chiara Brunello
Annina: Sabrina Vianello
Gastone: Enrico Iviglia
Barone Douphol: William Corrò
Marchese d’Obigny: Matteo Ferrara
Dottor Grenvil: Francesco Milanese
Direttore: Francesco Lanzillotta – Marco Paladin (6/4)
Regia: Robert Carsen
Scene & Costumi: Patrick Kinmonth
Light designer: Robert Carsen e Peter Van Praet
Coreografia: Philippe Giraudeau
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro: Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Prossime rappresentazioni: 2/4, 3/4, 5/4, 6/4