La “teoria delle stringhe” (in inglese String theory) è una teoria, ancora in piena fase di elaborazione, che tenta di conciliare la meccanica quantistica, ossia l’infinitamente piccolo che esiste in natura, con la relatività generale, quindi con l’infinitamente grande esposto da Alfred Einstein, con l’obiettivo di portare a compimento uno dei grandi sogni scientifici dell’uomo, la “teoria del tutto” che, una volta delineata in ogni suo aspetto, sarebbe in grado di spiegare interamente e di riunire in un unico quadro tutti i fenomeni fisici conosciuti.
Ma con un gioco di parole, sempre partendo dall’espressione inglese di String theory, in ambito musicale si può ribaltarla nella “teoria degli archi”, ossia di come si può avere una concezione compositiva della musica mediandola attraverso l’uso di un ensemble costituito esclusivamente da strumenti ad arco. Ed è proprio quanto ha voluto fare il compositore e violinista genovese Marcello Fera con questo disco, intitolato per l’appunto The String Theory, con il quale ha voluto mediare il suo amore per una certa musica dei secoli passati con l’impellente necessità di crearne una sua, espressione del suo confronto con quella attuale.
Un album, attraverso i dieci brani che lo compongono, che vuole quindi essere più che una “Teoria delle stringhe” una personale “Teoria del tutto”, frutto di una Weltanschauung artistica capace di coniugare l’infinitamente lontano del passato con l’infinitamente vicino del presente, summa di una concezione che è anche una mediazione, bilanciamento di tendenze talmente opposte da toccarsi, annullando in tal senso ogni differenza, ogni contrarietà per trasformarsi in un flusso unico e continuo. Così, ascoltare i dieci brani che fanno parte di questa registrazione è come osservare una linea continua sotto il pelo dell’acqua, la quale la sfalsa, la modifica, la altera, mutando le consonanze in dissonanze e le strutture melodiche in tentazioni armoniche.
Questa linea compositiva viene attraversata da quelle che potrebbero essere definite delle “porte musico-temporali”, designate dal termine “phonia” (che contrassegna brani quali Cellophania, Follephonia, Mnemophonia), che rimandano però anche al termine di “phania”, ossia di “manifestazione”, “apparizione” mediante la quale la musica di Marcello Fera è il risultato di salti temporali che si manifestano a livello sonoro; salti che sono la proiezione di un particolare timbro, il violoncello in Cellophania, capace di avvolgere (proprio come un cellophane) l’ascoltatore, oppure che si realizzano attraverso la “ripresa-attualizzazione” di brani del passato come avviene in Follephonia, in cui il celeberrimo tema della Follia corelliana viene per l’appunto immerso nell’elemento amniotico della dissonanza e ancora come in Mnemophonia, in cui il reiterato senso ritmico della composizione incarna il valore di una memorizzazione del suono (mi chiedo quanto in ciò abbia influito armonicamente il minimalismo di Michael Nyman) che si manifesta sempre come ricordo incancellabile.
Come dovrebbe poi essere ogni “Teoria del tutto” che si rispetti, la musica di Marcello Fera è frutto di un indiscutibile equilibrio; anzi, la sua stessa esistenza è il frutto di tale sottilissimo equilibrio sul quale si muovono e si articolano le masse sonore le quali sono a loro volta frutto di un ulteriore “equilibrio nell’equilibrio”, dato dai pesi e dai contrappesi dati, di volta in volta, dal violino, dalla viola e dal violoncello, una sorta di scatola cinese che cela un “suono nel suono” (anche in questo caso è tangibile la presenza di una porta musico-temporale che colpisce quel particolare “stringa-arco”). Sia ben chiaro, tutto ciò non potrebbe realizzarsi se la base di questa ricerca ed espressione compositive non venisse concretizzata dalla dimensione fisica del suono, data da interpreti-fisici che sanno il fatto loro, a cominciare dal violino “Stargate” funambolico e riflessivo dello stesso Marcello Fera, continuando con il violoncello di Nathan Chizzali, con il violino di Veronika Egger e con la viola “espressionista” di Anna Serova fino a tutto l’encomiabile Ensemble Conductus. Rivelazione.
Più che buona la presa del suono effettuata da Simon Lanz, capace di evidenziare una dinamica energica e precisa, così come il palcoscenico sonoro in cui l’evento musicale viene ricreato spazialmente in maniera corretta. Ottimi anche l’equilibrio tonale e il dettaglio.
Andrea Bedetti
Marcello Fera – The String Theory
Ensemble Conductus
CD Simple Lunch 31 asl/2018
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5