La musica, come altre forme di espressione artistica, è spesso vincolata alla storia e alle sue vicende che vedono l’uomo al centro della scena e degli eventi. La musica, quindi, spesso la storia la può raccontare con la forza delle note e degli accordi, con la potenza delle immagini che riesce a evocare, con la propulsione delle emozioni che provoca e con la riflessione di ciò che si è ascoltato e che nel frattempo si è trasformato in pensiero. La musica, naturalmente, può anche essere ascoltata come forma espressiva in sé, estrapolata dal contesto che l’ha vista nascere, senza per forza sapere perché è stata composta, quali motivi hanno spinto a immaginarla e a crearla, quali riscontri sociali, culturali, storici e anche economici hanno contribuito affinché prendesse corpo su un pentagramma, ma è indubbio che ascoltare un’opera musicale senza conoscerne la storia della sua nascita e gli ambiti storici che ne hanno promosso la sua creazione è come visitare un Paese straniero senza conoscerne la lingua, le sue tradizioni e, ancora una volta, la sua storia.
Certo, si possono ascoltare le Quattro Stagioni di Vivaldi senza sapere come e perché il “Prete rosso” le compose, si può fare la stessa cosa ascoltando il Terzo concerto per pianoforte di Beethoven, senza che sia necessario conoscere i processi artistici e storici che portarono il sommo compositore di Bonn a crearlo, ma è altrettanto vero che ci sono altre opere il cui significato, la cui struttura, la cui stessa genesi devono essere conosciuti per assimilare meglio la loro comprensione, la loro concezione e quanto vogliono esprimere. Tra queste ultime vi è sicuramente uno dei lavori orchestrali cardine del Novecento, la Settima sinfonia di Šostakovič. Questo capolavoro sinfonico è legato indissolubilmente a una delle pagine più tragiche della Seconda guerra mondiale, l’assedio di Leningrado da parte dell’esercito tedesco dal settembre del 1941 al gennaio del 1944, un assedio durato esattamente novecento giorni e che causò la morte di centinaia di migliaia di vittime tra la popolazione civile, falcidiata dalla fame, dalle malattie, dal freddo e dai bombardamenti (le ultime cifre, tra civili, militari e dispersi, portano a un totale di un milione e 250 mila morti).
Šostakovič iniziò a comporre la Settima sinfonia proprio a Leningrado (come il regime sovietico aveva voluto ribattezzare, dopo la rivoluzione, la capitale dell’impero zarista, San Pietroburgo) all’indomani dell’accerchiamento da parte delle divisioni tedesche, per poi proseguirla nella città siberiana di Kujbyšev, dove il regime stalinista aveva fatto rifugiare il compositore insieme con la sua famiglia, facendolo evacuare poco prima che la città venisse assediata, tagliando ogni via di fuga, con altre decine di artisti e intellettuali di fronte all’avanzata delle truppe hitleriane.
La storia di questa sinfonia, che porta appunto il soprannome di “Leningrado”, e parallelamente quella dell’assedio della metropoli posta sul delta della Neva che si affaccia sul Golfo di Finlandia, sono state raccontate da un giornalista e saggista inglese, Brian Moynahan, in un voluminoso e denso libro intitolato Sinfonia di Leningrado, edito da Il Saggiatore. Già il titolo fa comprendere come non solo la genesi del lavoro sinfonico, ma la stessa epopea della città fondata da Pietro il Grande durante l’assedio si sia trasformata in una sorta di “sinfonia storica”, di narrazione epica e tragica sulla quale si sovrappone poi la creazione della sinfonia musicale, come se i due eventi così intrecciati si fossero scambiati i ruoli, con la sinfonia che si tramuta dapprima in assedio e poi in un trionfo, scandito dalla liberazione, avvenuta il 27 gennaio 1944, e con l’assedio che diventa a sua volta una sinfonia esistenziale, un fluire temporale in cui al posto delle note e degli accordi il lettore “ascolta” le storie, le vicende, i drammi, le tragedie, gli atti di eroismo e di codardia, i tradimenti e le speranze di coloro ai quali Moynahan dà voce, raccontando come morirono o come si salvarono dal nemico esterno, l’esercito tedesco, e da quello interno, gli aguzzini e i torturatori della NKVD, la polizia politica di Stalin e Berija, che perfino durante l’assedio e sotto i bombardamenti non smisero di imprigionare, interrogare, fucilare e spedire nei gulag siberiani coloro che erano in odore di “attività antisovietiche”. E furono migliaia gli abitanti di Leningrado che subirono tale sorte, costretti a combattere l’invasore tedesco e a sopravvivere sotto il giogo dello stalinismo e dei suoi sgherri.
Come ammise poi lo stesso Šostakovič, la Settima sinfonia è tutto ciò, un’epopea fatta di suoni che intende esaltare la ribellione dei russi, specificatamente dei leningradesi, contro ogni forma di sopruso e di dittatura, non limitandosi dunque solo a ricordare le vittime provocate dall’assedio tedesco, ma anche quelle frutto delle purghe staliniane, nelle quali lo stesso compositore rischiò di trovarsi coinvolto, a causa del suo capolavoro lirico, Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, rappresentato nel gennaio del 1934 e per il quale il compositore russo fu apertamente accusato di “formalismo”, un reato che ai quei tempi poteva anche costare la deportazione e la probabile morte nei gulag siberiani.
Da parte sua, Brian Moynahan racconta queste due sinfonie, quella musicale e quella storica, con la proverbiale e tipica capacità della scuola anglosassone, ossia lasciando parlare i fatti, le persone, limitandosi a un’oggettiva descrizione e a un asettico oggettivismo dai quali però traspare un preciso atto di accusa nei confronti non solo della guerra in sé come negazione di ogni valore umano, ma soprattutto nei confronti del regime hitleriano e di quello staliniano, che formarono un’atroce morsa nella quale fu stritolata per quasi trenta mesi la popolazione di Leningrado. Racconto che si tramuta in un resoconto esaltante allorquando affronta e spiega quanto successe il 9 agosto 1942 quando, dopo essere stata eseguita in prima mondiale il 5 marzo dello stesso anno a Kujbyšev, la Settima sinfonia fu eseguita anche nella Sala concerti della Filarmonica della città assediata dal direttore Karl Il’ič Eliasberg con ciò che restava della sua Orchestra della Radio di Leningrado, i cui membri erano stati falcidiati dalla fame e dal freddo, prima ancora che Evgenij Mravinskij e l’Orchestra Filarmonica di Leningrado, che in quel periodo erano al sicuro a Novosibirsk, nel cuore della Siberia, si impossessassero di quest’opera, relegando in seguito lo stesso Eliasberg ai margini della storia e negandogli gli indiscutibili meriti.
Libro duro, che trasuda orrore, raccapriccio, così come slanci eroici e momenti di autentica nobiltà, Sinfonia di Leningrado è un tassello storico che fa luce come poche altre opere su uno degli eventi più tragici del conflitto e dal quale fu capace di ergersi un’opera che è entrata di diritto nella storia della musica del Ventesimo secolo, un’opera il cui ascolto è reso vano se non preceduto dall’acquisizione di ciò che accadde in quella città che porta il suo titolo.
Andrea Bedetti

Brian Moynahan – Sinfonia di Leningrado
Il Saggiatore, 2017, pp. 550
Giudizio artistico: 5