Per un musicologo e per uno storico della musica venire a capo delle composizioni concertistiche di Johann Sebastian Bach è un po’ come vincere al superenalotto, in quanto purtroppo diversi concerti sono andati perduti o sono stati riadattati per altre esigenze e contingenze professionali durante la vita del Kantor. Intanto, è bene ricordare che Bach compose la maggior parte della sua musica strumentale durante il periodo in cui operò a Köthen, ossia tra il 1717 e il 1723, dove fu al servizio del principe Leopoldo di Anhalt-Köthen in qualità di Kapellmeister. La peculiarità di tale incarico escludeva di fatto la produzione di musica da chiesa, in quanto il principe era di fede calvinista, un credo che era assai severo nei confronti della musica liturgica, privilegiando di fatto la musica secolare, anche quella mondana e celebrativa, maggiormente consona a una corte prestigiosa come lo fu quella di Köthen in quel periodo. Ciò diede modo a Bach di trovarsi nella condizione ideale per poter approfondire un genere musicale che fino a quel momento aveva relegato ai margini della sua produzione. Non per nulla, in quel quinquennio, furono create quasi tutte le sonate cameristiche, i concerti (compresi i celeberrimi Brandeburghesi), le ouvertures e i cosiddetti lavori “didattici”, ossia le Invenzioni a due e a tre voci, le Suites Inglesi e Francesi, compresa la prima parte de Das Wohltemperierte Clavier.
Un numero considerevole di pagine che è giunto fortunatamente fino a noi, anche se è opinione comune che molte altre, sfortunatamente, sono andate perdute, a cominciare da diversi concerti per violino (basti sapere che solo tre Concerti per questo strumento sono sopravvissuti nella loro forma originaria). Ciò che ha permesso agli studiosi di potersi fare un’idea decisamente più chiara della produzione concertistica bachiana lo si deve allo stesso Kantor, ossia quando il genio di Eisenach, qualche anno più tardi, per esigenze musicali e didattiche al Collegium Musicum di Lipsia effettuò di alcuni concerti delle trascrizioni per clavicembalo e archi. Ebbene, proprio partendo da queste preziose trascrizioni si è cercato di percorrere il cammino inverso, con l’obiettivo di ricostruire le partiture originali dei concerti andati perduti. A effettuare questo impervio e affascinante lavoro di ricostruzione fu il musicologo tedesco Wilfried Fischer che nel 1966 presentò ad Amburgo una dissertazione dal titolo Möglichkeiten und Grenzen der Rekonstruktion verschollener Instrurnentalkonzerte J. S. Bach’s (Possibilità e limiti di una ricostruzione dei concerti strumentali scomparsi di J. S. Bach). Una dissertazione che tre anni dopo apparve come studio pubblicato nella settima serie della Neue Bach Ausgabe e che presentava cinque concerti nuovi di zecca: il Concerto per violino in re minore (dal Concerto in re minore per clavicembalo, archi e continuo BWV 1052), il Concerto per oboe d’amore in la maggiore (dal Concerto in la maggiore per clavicembalo, archi e continuo BWV 1055), il Concerto per violino in sol minore (dal Concerto in fa minore per clavicembalo, archi e continuo BWV 1056), il Concerto per tre violini in re maggiore (dal Concerto in do maggiore per tre clavicembali, archi e continuo BWV 1064) e il Concerto per violino e oboe in re minore (dal Concerto in do minore per due clavicembali, archi e continuo BWV 1060). Inoltre, ventisei anni dopo, lo stesso Wilfried Fischer tirò fuori dal cilindro un’altra ricostruzione di partitura originale, quella che riguardava il Concerto in mi bemolle maggiore per viola, archi e continuo, desunto dal Concerto in mi maggiore per clavicembalo e archi BWV 1053 e da due Cantate (esattamente la BWV 49 e la BWV 169).
Se torno a parlare del genere concertistico bachiano è per via di una recentissima registrazione discografica, pubblicata dall’etichetta Glossa, che vede il flautista Lorenzo Cavasanti e la violinista Liana Mosca presentare con i componenti della Cantica Symphonia diretti da Giuseppe Maletto quattro concerti del sommo Kantor, ossia proprio il Concerto per viola e archi BWV 1053 (nella versione per flauto diritto) il Concerto per oboe d’amore BWV 1055 (nella versione per flauto diritto), il Concerto per violino BWV 1056 e il Concerto per violino e oboe BWV 1060 (nella versione per violino e flauto diritto), oltre alla Sinfonia dalla Cantata BWV 76 per flauto diritto, viola e basso continuo e alla Sonata dalla Cantata BWV 182 per flauto diritto, violino, due viole e basso continuo.
Al di là della questione concernente il cammino di ricostruzione musicologica delle partiture di cui si è accennato sopra, è ovvio che, per quanta riguarda i quattro concerti qui registrati, appare evidente, come d’altronde la storia musicale ha appurato da molto tempo, come Bach abbia potuto felicemente e genialmente attingere dalla scuola italiana del tempo, a cominciare dalle composizioni di Antonio Vivaldi, per ciò che riguarda l’ambito del genere concertistico (basti ascoltare i tempi lenti dei concerti in questione, concepiti come vere e proprie “arie” in modo da esaltare al massimo la cantabilità della linea melodica). Ma la peculiarità di questo disco, rimarcata dallo stesso titolo scelto, Concertos for Recorder, è data dal fatto che per quanto riguarda lo strumento a fiato si è voluto puntare sul flauto diritto al posto dell’oboe, scelta totalmente coerente con l’universo bachiano, in quanto il Kantor fu sempre assai affascinato dal timbro e dal registro di questo strumento (lo testimonia il fatto che lo abbia usato nel secondo e nel quarto dei sei Concerti Brandeburghesi, così come in almeno ventuno Cantate, oltre alla sua presenza nel Magnificat e nella Matthäus-Passion).
Ma se a qualcuno tale scelta da parte degli interpreti, a cominciare da Lorenzo Cavasanti, potrà sembrare arbitraria, bisognerà allora fare presente che proprio la dimensione squisitamente melodica di questi concerti, favoriti dall’eloquio e dalla straordinaria espressività forniti dalla scuola italiana, permette al flauto diritto di non far rimpiangere assolutamente il timbro vellutato dell’oboe. Al di là di tale licenza, che personalmente considero del tutto efficace, poiché mette ulteriormente in risalto la straordinaria capacità “adattante” del modo di comporre bachiano, resta il fatto che nel suo insieme la lettura di queste pagine da parte dei due solisti e dell’ensemble Cantica Symphonia è del tutto convincente.
Ritengo che l’esito positivo di questa registrazione si annidi principalmente in un duplice aspetto: il primo è che trovo alquanto “intimo” il suono elaborato dal flauto diritto, dal violino e dagli altri strumenti (vale a dire, un altro violino, due viole, un violoncello, un violone e un clavicembalo o un organo), come se si fosse voluto cercare di ricreare un tipo di effetto sonoro assai prossimo probabilmente a quelli ottenuti ai tempi di Köthen, senza lasciarsi tentare dalla necessità di calcare troppo sugli effetti virtuosistici, soprattutto nei due strumenti principali. Lo scopo è stato quello di far comprendere come la musica concertistica del Kantor possa essere eseguita in nome di una felicità, di una serenità che sboccia da un suono raccolto, essenziale, votato a un colto e proficuo passatempo di ascolto, proprio come fu voluto e agognato dal principe Leopold, in nome di quel calvinismo che relegò la musica a mero riempimento mondano e celebrativo. Va da sé la tessitura, l’ordito, l’eloquio impeccabili da parte di Lorenzo Cavasanti e di Liana Mosca, così come i componenti della Cantica Symphonia ottimamente diretti da Giuseppe Maletto (il suo gesto permette di uniformare ottimamente il timbro e la densità sonora a quelli del flauto diritto e del violino solista), che riescono a rendere einfach ciò che invece semplice non è. Quindi, se volete ascoltare questi capolavori concertistici attraverso un approccio non solo filologico (tenuto conto della falsa “forzatura” del flauto diritto al posto dell’oboe), ma anche storico, per quanto riguarda le loro indubbie finalità, la registrazione della Glossa può rappresentare un’ottima scelta.
Lo stesso Giuseppe Maletto si è occupato della presa del suono, avvenuta nella Sala Giuseppe Verdi della Scuola di Alto Perfezionamento di Saluzzo. La dinamica è molto pulita, veloce e ricca di quell’energia necessaria per esaltare l’enunciazione dei transienti. Ne viene così fuori un palcoscenico sonoro contraddistinto da un’accentuata profondità nella quale trovano posto i due strumenti solisti leggermente avanzati rispetto agli altri interpreti, con un suono che si denota sia in fase di altezza, sia di ampiezza. Anche l’equilibrio tonale, così come il dettaglio, sono più che validi; il primo riesce a esaltare con una notevole messa a fuoco i registri di tutti gli strumenti, facilitando di fatto l’ascolto soprattutto per ciò che riguarda il fraseggio dei due strumenti solisti, mentre il secondo è confortato da un’ottima matericità, tale da rendere oltremodo fisica la presenza degli strumenti e degli interpreti nella sala d’ascolto.
Andrea Bedetti
Johann Sebastian Bach – Concertos for Recorder
Lorenzo Cavasanti (flauto diritto) – Liana Mosca (violino) – Cantica Symphonia – Giuseppe Maletto (direzione)
CD Glossa GCD P31910
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4,5/5