“Gemini” (A.MA Records, 2016) è il terzo titolo nella discografia da leader del chitarrista pugliese, classe 1981, un album nel quale propone una scaletta di soli brani originali suonati in trio con Luca Alemanno al contrabbasso e Gianlivio Liberti alla batteria. Abbiamo parlato con lui di questa nuova uscita e fatto il punto sulla sua esperienza artistica
Sei tra i chitarristi più apprezzati del panorama jazzistico italiano anche per via di un suono riconoscibile. Che caratteristiche ha la chitarra che usi?
Utilizzo una chitarra costruita dal liutaio, nonché mio fratello, Francesco Savino. È uno strumento prodotto su misura per le mie mani, non in laminato come di norma vengono costruite le semi-hollow (un tipo di chitarra semi acustica, NdR), ma fatto in legno massello. Questo fa sì che ci sia una maggior risposta dello strumento, dal sustain (la capacità di uno strumento di mantenere il suono nel tempo dopo essere stato suonato, NdR) al “calore” nel suono, che ritengo elementi primari. Del resto, nel mondo dei chitarristi la ricerca del suono perfetto è infinita: siamo sempre alla ricerca di un qualcosa che ci porti a cambiare strumento, corde, plettri, amplificatori ed effetti.
La forza espressiva della chitarra è centrale nelle dinamiche del nuovo album “Gemini” (A.MA Records, 2016). È stata una scelta predefinita o un’eventualità che si è poi concretizzata?
Avevo voglia di mettermi in gioco con un trio chitarra, batteria e contrabbasso, una delle formazioni più complesse in assoluto. Ho lavorato tanto, essendo la chitarra l’unico strumento armonico, per cercare di assumere un suono e un’indipendenza armonica, ritmica e melodica. Durante la composizione dei brani mi sono reso conto che pensavo sempre di più al suono del trio fino poi a decidere definitivamente di registrare con questa formazione; potrei dire che è stato un processo in parte predefinito e in parte casuale.
Avevi un modello di riferimento?
Di modelli ne ho tantissimi, essendo un grande ascoltatore di musica in genere. Mi ha sempre affascinato il piano trio e volevo cercare di avere quel controllo che solo il pianoforte, avendo un range sonoro molto ampio, possiede. Di qui il lavoro sul silenzio, sul controllo dell’armonia e sulla gestione del suono della chitarra in primis e dell’equilibrio con gli altri due strumenti.
È per te il terzo album da leader dopo “Metropolitan Prints” (AlfaMusic, 2009) e “Aram” (AlfaMusic, 2012). Se ti volti indietro in cosa ti vedi cambiato?
Sono cambiate tante cose. La prima, e la più importante, è la gestione del suono e soprattutto dell’idea. Riascoltandomi sentivo sempre di più l’esigenza di sfruttare ed evolvere maggiormente l’idea del brano suonato o composto, cercando di arrivarne all’essenza, e non solo improvvisando sul giro di accordi che lo costituisce.
Questo nuovo album ha un significato particolare?
Tutti i brani di “Gemini” raccontano un mio percorso di vita, soprattutto spirituale. “Gemini”, in ogni suo momento, descrive la dualità delle emozioni: gli opposti. Anche la scaletta dei brani è una sorta di guida al racconto e all’ascolto.
Potresti approfondire il significato di “percorso spirituale”?
Dovrei raccontare tanto della mia vita e credo ci vorrebbe un po’. Però posso dire che, per la mia crescita interiore, devo molto alla musica. Da quando ho iniziato a relazionarmi con la musica il cambiamento interiore è sempre stato sinonimo del mio percorso di vita, e ciò fa sì che possa vivere le emozioni in maniera pura e sincera, una sorta di vita del conscio. Non parlo di yoga o altre pratiche che si occupano di ciò, ma principalmente di un percorso di maturazione interiore affinché ogni frammento della mia vita possa essere vissuto appieno.
La tua scrittura prevede molte parti libere o le indicazioni per i musicisti sono dettagliate?
Di regola il lavoro che faccio con i musicisti per i miei progetti è quello di conoscere e familiarizzare con i brani scritti e con tutto ciò che non c’è scritto. Faccio molti turni di prove, dove inizialmente lascio molto spazio a tutti e dopo, con l’ascolto delle registrazioni delle prove, focalizzo dei punti che sono i più rappresentativi di ogni brano. Da lì chiedo ai musicisti di lavorare di più su quelle idee facendogli esempi o continuando a lavorare come ho descritto prima.
Oltre la musica, sei attratto da altre arti?
Sono attratto da tutta l’arte che descrive vite, passioni e pensieri. Dalla pittura, alla visual art, dall’arte del pensiero all’arte della spiritualità. Sicuramente tutto influenza il mio modo d’essere e di conseguenza ne viene influenzata anche la musica che scrivo o che suono.
I tempi che viviamo, per chi vive di arte in genere, sono difficili e pieni d’insidie. Hai mai pensato di mollare?
Ho pensato di mollare l’aspetto sociale ed economico, ma mai e poi mai ho pensato di lasciare la musica. Di difficoltà ce ne sono tantissime e bene o male le conosciamo tutti. Ma credo che ognuno di noi, nel momento in cui conosce e si avvicina al mondo delle musica, si innamora e si appassiona dell’aspetto energetico ed emozionale e non dell’aspetto economico. Questo aspetto nutre costantemente il mio desiderio di continuare a conoscere la musica, e di conoscersi a vicenda.
Hai un obiettivo da raggiungere come musicista?
Difficilissimo da dire, anche perché vorrebbe dire bloccare le evoluzioni che la vita e di conseguenza la musica possono darti. Ho iniziato questo percorso nel 1998 e mi auguro di non avvertire mai un desiderio di meta conclusiva, ma sempre di meta temporanea. In questo modo gli obiettivi possono variare costantemente in base al periodo di vita.
Roberto Paviglianiti