Tra gli interpreti attuali votati ad esplorare e a sondare le ultime conquiste contemporanee attraverso il clarinetto, José Daniel Cirigliano si distingue per una capacità indagatrice che lo spinge ai limiti della temerarietà, un termine questo che si adatta sia per la capacità di offrire territori musicali al limite dell’incomunicabilità, sia per le asperità tecniche che deve affrontare e risolvere nell’atto esecutivo in sé. Un esempio di questa duplice capacità viene ulteriormente confermata nel nuovo progetto discografico del clarinettista argentino, che per l’etichetta Da Vinci Classics ha registrato un CD dal titolo Clariloqui, nel quale presenta brani di dieci autori contemporanei, scritti tra il 1980 e il 2016, da eseguire con i vari strumenti appartenenti alla famiglia del clarinetto (soprano, doppio-clarinetto, basso, piccolo).

La cover del CD Da Vinci Classics con brani per clarinetto solo del repertorio contemporaneo.

Il denominatore comune di questi brani, che acquistano anche una valenza emissiva a dir poco esoterica, ellittica, è dato dal desiderio di Cirigliano di far comprendere come il suono può essere esplorato e percepito mediante uno strumento così mutevole e adattabile qual è il clarinetto, con il quale il nostro interprete si pone sempre al confine ultimo di ciò che può essere rappresentato e definito in termini fisici e tattili, al limite dell’escatologico acustico.

In questo nuovo disco, il primo autore affrontato è lo svedese Ingvar Natanael Lidholm (1921 - 2017), del quale presenta Amicizia (1980), pezzo suddiviso in quattro segmenti (Amabile, Drammatico, Scherzando, Amabile, quindi con una struttura che richiama gli stilemi di una sonata) e composto in omaggio a un suo collega, il musicologo Ingmar Bengtsson, in occasione del suo sessantesimo compleanno. Contraddistinto da un evidente lirismo emissivo (a detta di Piero Vincenti, che ha curato le note di accompagnamento, un lirismo che può essere accostato alle opere del danese Carl Nielsen, che scrisse alcune opere concertistiche e cameristiche dedicate al clarinetto), Amicizia è una sorta di richiamo mnemonico della giovinezza dello stesso autore, brandelli di reminiscenze strutturati su più piani, enunciati da repentini sbalzi di registro e di timbrica, un album di ricordi, ora sfogliato lentamente, ora con frenesia.

Il compositore e clarinettista americano William Overtone Smith (1926 - 2020).

Del compositore e clarinettista americano William Overtone Smith (1926 - 2020), Cirigliano presenta il brano in otto brevi tempi Epitaphs (1993), scritto per due clarinetti in si bemolle da suonare simultaneamente. Ogni tempo è preceduto da un epigramma (su testi di Anyte di Tegea, poetessa vissuta nell'antica Grecia) che dev’essere letto come introduzione. Questa composizione vuole rappresentare un inno, un tributo al culto dell’aulos o, per meglio dire, al cosiddetto δίαυλος, ossia il doppio aulos utilizzato anche nella tragedia greca. Il rapporto testo/suono è più che evidente, quasi un segmento programmatico che delimita temporalmente e spazialmente l’enunciato sonoro. Un esempio tipico della produzione del musicista statunitense, più avvezzo alla musica jazz, anche se sono note le sue sperimentazioni in ambito contemporaneo, visto che è stato uno di primissimi compositori a interessarsi alla musica elettronica, dedicandosi attivamente alla ricerca sul clarinetto amplificato.

Sempre sul limite tra la sfera jazz e quella classica si pone Game I for Lîla (1996) del compositore e pianista sudafricano Surendran Reddy (1962 - 2010), il quale ha scritto questo brano, nel quale sono accennati due temi tradizionali africani, Shosholoza e Jikele maweni ndiyahamba, desumendo quanto la figlia Lîla, all’età di soli quattro anni, scrisse in una canzone dedicata a Winnie-the-Pooh. Partendo da questa canzoncina, Reddy dipana una struttura musicale in cui riesce a concatenare in modo sincopato i vari temi proposti, arrivando a punti che rasentano l’ineseguibilità.

Altrettanto particolare è Angelus (2006), pezzo per clarinetto basso, scritto dal compositore australiano Stephen Cronin (1960) per il clarinettista Henri Bok, frutto di una “trasposizione/transfert” che si riferisce alla sua formazione cattolica avvenuta da bambino in un istituto situato all’interno di un convento. Il titolo del pezzo si riferisce alla campana dell’Angelus che suonava tutti i giorni a mezzogiorno con devozione rituale, più precisamente attraverso tre rintocchi, separati dalle preghiere, e seguiti da altri nove rintocchi finali. Il brano in questione, mediante un accostamento semiotico, vuole essere una meditazione di quell'esperienza infantile e imitare la struttura della preghiera.

Il compositore giapponese Dai Fujikura (1977).

Che il clarinetto sia anche uno straordinario strumento traspositivo/imitativo lo dimostra esemplarmente Sandpiper (2020), brano del giapponese Dai Fujikura (1977), il quale lo ha composto originariamente per solo flauto per poi trasporlo per clarinetto piccolo in mi bemolle. Come ha raccontato lo stesso autore, Sandpiper è stato ispirato dalla flautista Claire Chase, dedicataria del brano, la quale, poco prima che Fujikura iniziasse a scrivere il pezzo, gli inviò un messaggio vocale al telefono con il quale gli fece ascoltare il suono del suo flauto in mezzo a una foresta, accompagnato dal cinguettio degli uccelli. Che l’enunciazione di Sandpiper sia stata pensata per flauto è indubbio, e si sente, ma il clarinetto piccolo riesce perfettamente a mantenerne l’efficacia timbrica, evocando la spazialità intrisa di naturalità e il suono degli uccelli che si stempera mirabilmente sul finire del brano e che richiama il celebre finale di Im Abendrot, l’ultimo dei Vier Letzte Lieder di Richard Strauss, con il canto sommesso delle allodole che si affievolisce fino a ridursi in silenzio.

Non mancano compositori italiani, come nel caso del pugliese Vito Palumbo (1972), del senese Ruggero Lolini (1932-2019) e del pesarese Ferdinando Mencherini (1949-1997). Del primo, allievo tra l’altro di Azio Corghi, José Daniel Cirigliano presenta Pulse for solo clarinet (2016), brano di quasi otto minuti di durata, che si basa sul concetto di un contrasto tra un gesto sonoro “liquido” che si stacca da un’armonia statica formata da più suoni multifonici. Ciò provoca una sorta di “rotazione” di questi due comportamenti contrastanti, tali da creare un impulso o un battito irregolare all’interno della forma generale della composizione. Di Lolini, che ebbe modo di studiare a Parigi all’École Normale de Musique sotto la guida della moglie di Arthur Honegger contrappunto e con Francis Poulenc, oltre che al Conservatorio con Darius Milhaud, l’interprete argentino esegue il Capriccio per clarinetto piccolo in Mib o per soprano in Sib (1983). Questo brano fu eseguito in prima assoluta dal leggendario Ciro Scarponi al “Festival Nuova Consonanza” di Roma, a Palazzo Taverna, il 23 maggio 1985. Sbalzi timbrici, enunciazioni ironiche che trascendono quasi nella comicità, nello sberleffo, si alternano ad esplorazioni che mirano ad esaltare l’altezza dell’enunciato, oltre a confrontarsi con spazi neri, dati da un improvviso silenzio, tale da sondare lo spazio circostante a livello quasi palpabile. Qui, lo strumento viene spinto a limiti quasi invalicabili delle sue potenzialità tecniche ed espressive. Anche il brano di Ferdinando Mencherini, Crazy Jay Blue per clarinetto solo (1985), fu eseguito in prima assoluta da Ciro Scarponi, che lo commissionò personalmente all’autore, al “Festival Nuova Consonanza” di Roma, a Palazzo Taverna, il 23 maggio 1985. Esaltazione e ricerca imitativo-descrittiva, questo pezzo vede alternare esplosioni di suoni violenti, crudelmente dissonantici, con altrui più tenui e articolati a livello armonico, costringendo l’interprete ad autentici virtuosismi tecnici ed espressivi, oltre a imporre un assoluto dominio dello strumento. Brano a dir poco straordinario per la carica poetica che lo impregna.

Il leggendario Ciro Scarponi, fautore del clarinetto nel panorama della musica contemporanea.

Infine, due altri compositori stranieri, il bernese Jean-Luc Darbellay (1946) e l’ungherese Theodore Burkali (1975). Del primo, che ha spesso lavorato in stretta collaborazione con il direttore d’orchestra Fabio Luisi, Cirigliano esegue Flash per clarinetto basso, un brano a dir poco originale che si basa sulle due note Do e Si che vengono enunciate nel registro grave dello strumento, con il preciso scopo di suggerire il tipico rumore prodotto dallo scatto di una macchina fotografica reflex quando si scatta una foto. Il secondo, egli stesso interprete di clarinetto, si contraddistingue nel panorama della musica contemporanea per una concezione musicale che si stempera in una caricatura che può essere colorata, capricciosamente deformata o pensosamente dilatata nel tempo, proprio come avviene nel brano Capriccietto (1997), che rientra pienamente nello stile musicale di Burkali, che lo stesso autore definisce con un complesso (e ironico) termine-collage: POLYrhythmic (A)TOmiNimAL Art.

Al di là delle peculiarità e dello spessore concettuale dei brani presentati in questa registrazione, emerge in modo netto, incontrovertibile la qualità di José Daniel Cirigliano come interprete o, per meglio dire, di autentico deus ex machina capace di tratteggiare un’esecuzione a dir poco esemplare di queste pagine solistiche. Torno a ripetere quanto già affermato per altri, pochi artisti in grado di relazionarsi a tal punto con i loro strumenti da diventare, per assioma, gli strumenti stessi. In  ognuno dei brani in programma, con qualsiasi tipologia di strumento della famiglia dei clarinetti si esprima, l’artista argentino riesce sempre a “radiografare” la dimensione sonora enunciata. Il suo credo può essere riassunto in due termini: tecnica e lucidità; la tecnica qui è semplicemente indiscutibile, in quanto la difficoltà delle pagine in questione è semplicemente da brividi, ma la lucidità esecutiva che le accompagna, può rendere possibile l’ineludibile passo successivo, quello che riguarda la loro “decodificazione” espressiva, la possibilità di inserirle in un contesto musicale e storico senza dover correre il rischio di incastonarle come fenomeno a sé, avulso da un loro processo di esplorazione e di percezione capace di proiettarle in una dimensione realmente artistica. Esemplare.

José Daniel Cirigliano, protagonista della presente registrazione.

Anche la presa del suono, effettuata presso il Recording Studio: Suoneria Mediterranea, è di ottima fattura. La dinamica colpisce per via di una rocciosità decisamente energica e molto veloce, anche se ciò non va a limitare una piacevole naturalezza. La ricostruzione del palcoscenico sonoro presenta l’artista con i suoi strumenti sempre al centro dei diffusori, in una posizione nello spazio fisico alquanto avanzata rispetto all’ascoltatore, ma non da risultare innaturale. L’equilibrio tonale è molto buono, in quanto vi è sempre il massimo rispetto e un apprezzabile scontorno tra il range del registro medio-basso e quello acuto, sempre perfettamente riconoscibili. Infine, il dettaglio è prodigo di matericità, con una focalizzazione tridimensionale e dosi generose di nero, che permettono un ascolto mai affaticante.

Andrea Bedetti

AA.VV. – Clariloqui

José Daniel Cirigliano (clarinetto)

CD Da Vinci Classics C00643

Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4,5/5