Se nei primi decenni dell’Ottocento, a cominciare dalla Germania, ci fu un nuovo, forte interesse nei confronti della musica bachiana (che era stata in parte dimenticata dopo la morte del Kantor avvenuta nel 1750), la quale diede vita alla cosiddetta “Bach Renaissance”, lo si dovette soprattutto alla volontà del giovane Felix Mendelssohn-Bartholdy, che a soli vent’anni, l’11 marzo 1829, alla Singakademie di Berlino diresse una versione rimaneggiata e orchestrata da lui stesso della Passione secondo S. Matteo che non era più stata eseguita dalla morte di Bach. Ma se l’interesse e l’ammirazione di Mendelssohn nei confronti dell’opera musicale di Bach è nota, lo è meno, almeno per il grande pubblico, quella che il compositore amburghese ebbe per l’altro grande contemporaneo del Kantor, ossia Georg Friedrich Händel, di cui scoprì e apprezzò la musica non tanto nella natia Germania, bensì nel corso del viaggio che effettuò, in quello stesso 1829, in Gran Bretagna, dove a Londra ebbe modo di studiare, restandone affascinato, non meno di sessanta partiture del grande Sassone. Fu proprio la partitura dell’oratorio Israel in Ägypten a colpirlo, oltre a rendersi conto del fatto che il manoscritto dell’opera prevedeva dei movimenti che non erano stati inclusi nell’unica versione pubblicata a quel tempo. Così, quattro anni più tardi, nel 1833 a Düsseldorf, Mendelssohn fece quindi conoscere al pubblico, con grande successo, la sua versione di questo capolavoro.

La versione di Mendelssohn differisce sensibilmente da quella di Händel eseguita nel 1739, a cominciare dall’orchestrazione che si avvale dei colori e dei timbri più ricchi tipici degli strumenti ottocenteschi rispetto a quelli usati in epoca barocca, oltre al fatto che Mendelssohn per la parte del basso continuo non usa l’organo, ma lo distribuisce sull’intera orchestra, in particolar modo sulla coppia di clarinetti. Inoltre, aggiunge una serie di recitativi, accompagnati genialmente da due violoncelli solisti e da un contrabbasso, senza contare che l’oratorio è cantato in tedesco e non in inglese, come vuole la versione originale. Ora, il celebre direttore d’orchestra e clavicembalista inglese Robert King ha registrato questa versione mendelssohniana dell’oratorio di Händel, dopo averla eseguita nel corso del Leipzig Gewandhaus Mendelssohn Festival. Il risultato è di una bellezza e di un coinvolgimento che non possono lasciare indifferente anche l’ascoltatore più esigente e se indubbiamente, con questa versione, il compositore amburghese ha voluto esaltare maggiormente il carattere strumentale dell’opera a scapito della sua “teatralità”, è anche vero che l’affresco che ne deriva è di una modernità e di una drammaticità che lasciano stupiti. Semplicemente ottime la direzione d’orchestra, le voci dei cantanti solisti e del coro e, naturalmente, la prova del King’s Consort, che ancora una volta dimostra di essere una delle compagini orchestrali più duttili e preparate per ciò che riguarda il repertorio di musica barocca e del primo Ottocento.

A completare l’unicità di questa registrazione ci pensa la presa del suono, capace di restituire la complessità e la sontuosità della partitura in ogni minima sfumatura, con un palcoscenico sonoro talmente palpabile che sembra di assistere a una rappresentazione dal vivo. Dinamica straordinaria, così come l’equilibrio tonale e il dettaglio che fanno di questa incisione un must per ogni appassionato di musica classica, non solo barocca.

Andrea Bedetti

Giudizio artistico: 5/5

Giudizio tecnico: 5/5

Georg Friedrich Händel (arr. Felix Mendelssohn-Bartholdy) – “Israel in Ägypten”

Lydia Teuscher (soprano) – Julia Doyle (soprano) – Hilary Summers (contralto) – Benjamin Hulett (tenore) – Roderick Williams (basso) – Choir of The King’s Consort – The King’s Consort – Robert King

2CD VIVAT – VIVAT111