Il tardoromanticismo musicale europeo, quantomeno una parte di esso, non rappresentò solo l’ultima propaggine del padre putativo, ossia il Romanticismo sorto nei primi decenni dell’Ottocento, quello a cui Beethoven, l’ultimo esponente del Classicismo viennese, fornì le chiavi per aprire la porta a nuovi scenari linguistici in materia sonora, ma anche una sorta di ripresa, di rannodamento con una tradizione musicale che affondava le sue radici nell’espressione più pura, sacra e articolata del linguaggio tonale, quella espressa da Johann Sebastian Bach. Furono soprattutto due compositori, l’empolese Ferruccio Busoni e il bavarese Max Reger, a portare avanti quest’opera di ricongiungimento, di progressivo riallineamento con il lascito armonico che il sommo Kantor aveva ideato e edificato nel corso della sua attività di musicista e didatta.
Questo perché per Busoni e per Reger il linguaggio bachiano non rappresentava il passato ma il futuro, per il primo, e il presente, per il secondo, in quanto il suo sfruttamento e la sua applicazione rispetto alle tensioni compositive di fine Ottocento erano ben lungi dall’essersi esauriti. Per ciò che riguarda il compositore ed organista bavarese, lo studio e l’arte creativa che applicò alle concezioni armoniche bachiane furono interrotti bruscamente nel maggio del 1916, quando a soli quarantatré anni morì d’infarto in una camera d’albergo a Lipsia. L’ultimo suo lascito, in nome dell’adorato Kantor, risale al biennio 1914-15, quando pubblicò, raggruppate nel numero d’opus 131, quattro pagine cameristiche, formate dai Sei preludi e fughe per violino solo (op. 131a), Tre duetti (canoni e fughe) in stile antico per due violini (op. 131b), Tre Suites per solo violoncello (op. 131c) e Tre Suites per solo viola (op. 131d).
La ricezione di Bach da parte di Max Reger non si limitò all’organo e all'orchestra. Come il Kantor, il compositore bavarese volle scrivere sonate e suite per uno strumento ad arco solo che non fossero semplici esercitazioni, ma un vero e proprio compendio creativo, con le tre Suites per viola sola op. 131d che rientrano pienamente in tale ambito. Proprio queste tre pagine sono al centro di una recentissima registrazione effettuata dal violista varesino Simone Libralon, pubblicata dall’etichetta discografica Halidon, il quale le fa precedere all’ascolto dall’incisione della Fantasia cromatica BWV 903 di Bach, la cui versione originale per clavicembalo è stata trasposta per viola dallo stesso Libralon. Proprio la presenza “introduttiva” di questo capolavoro del Kantor permette all’ascoltatore musicalmente preparato di cogliere le finalità di questo disco (allo stesso tempo, però, trovo alquanto disdicevole il fatto che manchi un libretto con note di accompagnamento a dir poco necessarie per coloro che, al contrario, non possono comprendere il bisogno di accomunare una composizione bachiana con le tre Suites regeriane in questione).
La Fantasia cromatica risale al 1720 circa, ossia quando Bach era impegnato nella stesura della prima parte del Wohltemperierte Klavier; come nel caso del coevo, grande monumento clavicembalistico, anche la BWV 903 fu concepita per mettere in rilievo tutte le risorse tonali diventate disponibili con l’adozione del temperamento equabile. Così, la Fantasia cromatica permise a Bach di ricorrere a tutta l’estensione della scala di dodici toni, ottenendo un risultato praticamente e rigorosamente perfetto, al punto che il già ricordato Busoni scelse questa partitura per spiegare e divulgare un suo sistema di notazione senza la presenza dei segni di alterazione.
Se il compositore e didatta empolese prende come esempio tale pagina per sviluppare un sistema destinato, a suo dire, a reggere meglio l’urto con le impellenti necessità esplorative in fatto di materia sonora da plasmare tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo, Max Reger, ricordando come lo definì Massimo Mila, ossia «un cesellatore supremo di musica da camera, [che] amava restaurare le antiche forme contrappuntistiche», si pone un altro obiettivo, quello di perpetuare una validità di strumenti compositivi in nome della “musica assoluta”, ossia quella puramente strumentale, in nome di una suprema astrazione della medesima. Bach, secondo il compositore bavarese, non solo ha indicato un preciso sentiero, ma tale sentiero non può essere oltrepassato, se si vuole mantenere un preciso ruolo “astratto” nella sua concezione squisitamente asemantica. Per questo Reger vuole dimostrare, attraverso uno strumento considerato monodico a tutti gli effetti come la viola che, grazie alla lezione bachiana, si possono anche affrontare tessiture di natura polifonica, come appunto sono le tre Suites op. 131d. Il denominatore comune di queste pagine cameristiche è dato dall’alternanza contrappuntistica di più voci, sia in senso verticale, quindi su un modello di scrittura accordale, sia in senso orizzontale, dunque votato a un intrigante scambio di voci, sfruttando pienamente la tipica differenza timbrica fornita dalla viola, che va a esplorare, a sondare gli stati introspettivi che tale musica riesce a offrire.
A differenza di altre sue composizioni nel segno del Kantor, in queste tre Suites Reger non utilizza richiami diretti all’opera di Bach, come invece fa invece in opere precedenti come la Suite per organo op. 16, le Variazioni di Bach, op. 81 o il Concerto per pianoforte, op. 114; il suo intento, infatti, non è né di imitarlo, né di andare oltre, come invece volle fare in un certo senso Busoni, ma di perpetuarlo. E questo anche alla luce delle conquiste armoniche di Wagner, che il compositore bavarese conosceva assai bene, a partire dal concetto dell’unendliche Melodie (melodia infinita), ossia la tecnica che veniva utilizzata per estendere e prolungare un’armonia dominante, ritardandone continuamente la risoluzione (l’esempio classico del Vorspiel che apre il Tristan und Isolde), che però Wagner aveva a sua volta mutuato proprio dalla pratica di prolungamento dominante concepita da Bach (e Reger, non per nulla, utilizza all’occorrenza l’armonia dominante nel corso del primo tempo della prima Suite per viola, il Molto sostenuto, come se fosse un “preambolo propedeutico” nella costruzione di tutto l’op. 131d, mentre nei restanti tre tempi della prima Suite, il compositore bavarese resta maggiormente fedele a un’impostazione bachiana, con un procedimento da dominante a tonica, con il terzo tempo, l’Andante sostenuto, che va a ricalcare il carattere delle Siciliane del Kantor, ossia un modo assai efficace per ribadire l’esprit fondamentalmente barocco di queste pagine). Tale spirito votato al passato, a una concezione eminentemente barocca, aleggia indissolubilmente anche nelle altre due Suites, in particolar modo nella seconda, in cui il terzo tempo, l’Allegretto, assume i contorni di un vero e proprio Minuetto, mentre il tempo conclusivo, un Vivace, richiama alla mente la struttura di una Giga.
Sulla base di queste riflessioni, il programma scelto dal violista varesino per il suo disco assume una rilevanza sia in termini di propedeutica musicale, sia di espressività artistica, anche se la sua trascrizione della Fantasia cromatica bachiana non riesce a mettere in luce la straordinaria bellezza di questa pagina quando viene eseguita alla tastiera (sia ben chiaro, se ciò avviene non è certo per demeriti di Simone Libralon, quanto per evidenti limiti da parte dello strumento stesso; ecco perché trascrizioni del genere non incontrano l’approvazione di alcuni critici e musicologi). Va da sé, però, che tale volontà di portare tale partitura sulla viola aveva necessariamente lo scopo di creare un ponte, un collegamento tra il capolavoro del Kantor, soprattutto per ciò che riguarda la sfera del costrutto armonico, e l’op. 131d di Reger.
Soffermandoci sulle tre Suites in questione, la caratura della lettura fatta dal violista varesino è indubbiamente di ottima fattura, in quanto riesce sempre a mantenere un efficace equilibrio tra resa tecnica ed eloquio espressivo (con quest’ultimo aspetto che si evince soprattutto nelle Suites in re maggiore e in mi minore). Inoltre, c’è un altro fatto da tenere presente: eseguire partiture per strumento solo nell’ambito della rigorosa e implacabile musica astratta, espone l’interprete a un terribile e prevedibile rischio, quello di imbastire una lettura che può portare l’ascoltatore, soprattutto quello musicalmente impreparato, a sentirsi allontanato, se non addirittura rifiutato dal senso di coinvolgimento nell’ascolto stesso. Ma qui, fortunatamente, ciò non avviene sia per la bellezza della grammatica asemantica, come avrebbe sostenuto Hanslick, di queste pagine, sia per come Libralon riesce a decodificarle con la necessaria espressività, grazie sempre a un suono limpido, preciso, capace di dirimere le asperità tecniche, e questo vale innanzitutto per la Suite in sol minore, diluendole in un afflato appassionato e mettendo in evidenza anche quella patina di nostalgica malinconia con la quale Reger volle manifestare il disagio, la sofferenza e l’amarezza di una guerra che aveva cominciato l’immane carneficina che si sarebbe conclusa solo alla fine del 1918.
Le spartane e telegrafiche note che accompagnano il disco non spiegano chi abbia effettuato la presa del suono, ma è indubbio che è stato fatto un buon lavoro. La dinamica vanta energia, velocità e pulizia timbrica, mentre il palcoscenico sonoro mette in evidenza l’interprete e il suo strumento al centro dei diffusori, a una discreta profondità nello spazio fisico dell’evento. Anche l’equilibrio tonale e il dettaglio sono più che sufficienti: il primo non mostra sbavature o accavallamenti tra il registro medio-grave e quello acuto, mentre il secondo è piacevolmente materico.
Andrea Bedetti
Johann Sebastian Bach-Max Reger – Chromatic Fantasia & Fugue BWV903 – 3 Suites for Solo Viola op. 131d
Simone Libralon (viola)
CD Halidon II6897
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5