Spesso, e questo avviene anche da parte di accaniti ed esperti ascoltatori, ci si dimentica che il suono viene provocato dalle vibrazioni emesse dallo strumento musicale (mi riferisco, ovviamente, a quelli che fanno parte del genere acustico); che sia a corde, a fiato o percussivo, il suono che giunge alle nostre orecchie sotto forma di messaggio musicale è il frutto di vibrazioni che spostano inevitabilmente l’aria, propagandosi nell’ambiente in cui il suono è stato emesso. Quindi, se non ci fosse l’aria, il suono non esisterebbe. Ora, il CD in questione, frutto del giovane flautista e compositore Fabio Mina, in un certo senso è un inno, un richiamo, un contributo all’esistenza dell’aria, più precisamente dell’aria che si sposta a grande velocità nello spazio terrestre, ossia il vento. Vento che non solo a volte porta con sé il suono che raccoglie nel suo spirare, ma che è anche suono stesso, capace di tramutarsi in una miriade di strumenti spontanei e naturali che emettono timbri diversi, a seconda del tipo di vento, della sua impetuosità, della direzione e dello spazio che va a investire con le sue folate. Non solo il vento parla, come ci dicono i poeti, ma è anche in grado di cantare e suonare, come ci ricorda appunto Fabio Mina, che in High Winds May Exist propone un percorso sonoro nel quale abbina il flauto e altri strumenti a fiato, come il bansuri (il flauto indiano fatto di bambù), il dizi e lo hulusi (entrambi flauti della tradizione cinese sempre in bambù), il duduk (flauto armeno costruito con legno di albicocco), il fujara (un flauto di grandi dimensioni della cultura musicale slovacca), e il khèn (tipico organo a bocca del sud-est asiatico), al suono di venti catturati da uno o da più microfoni.

Accompagnato da Marco Zanotti alle percussioni e da Peppe Frana all’oud elettrico, Fabio Mina, che tra l’altro ha avuto modo di studiare e collaborare con Markus Stockhausen, dipana nei dieci brani che compongono questo disco un viaggio iniziatico nel suono del vento che, in tale veste, può e dev’essere considerato una sorta di Ur-Ton, ossia di “suono primordiale”, creatura del creato, suono che nasce da quell’immenso mantice chiamato natura, sul quale va a unire, ad appoggiare, a sovrapporre i suoni prodotti dagli strumenti a fiato che, di volta in volta, utilizza abbinandoli all’indole, all’intensità, alla dimensione fisica e “spirituale” del vento catturato dai microfoni. Ne viene fuori un prodotto nel quale world music, ambient music, alea convivono armoniosamente (una raccomandazione: questo è un disco da ascoltare, se possibile, rigorosamente con le cuffie proprio per permettere all’udito di essere com-partecipe del vento che spira fuori e dentro l’ascoltatore), dando vita a un’unione di suoni, di timbri, di respiri sonori che dialogano, si inseguono, si snidano a vicenda e in cui il “suono primordiale” incarnato dal vento dà modo al compositore e flautista di aggiungere colori e densità timbriche, come il pittore aggiunge linee e colori alla “materia primordiale” rappresentata dalla tela.
Disco intrigante, per tutti e per nessuno, che insegna ad ascoltare, arte sempre più rara e preziosa, non solo i suoni musicali, ma anche quelli della Musica Suprema, ossia quelli della natura. Un’immagine che avrebbe fatto felice John Cage e il suo fare musica con oggetti naturali, non resi impuri dall’apporto e dall’intervento umano.

Andrea Bedetti

Fabio Mina – High Winds May Exist
Fabio Mina – Marco Zanotti – Peppe Frana
CD DaVinci Classics C00027

Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 5/5