Le acquisizioni operate dal cosiddetto approccio filologico della musica del passato hanno portato inevitabilmente a riconsiderare il tipo di interpretazione da adottare da parte di chi esegue, non solo in ambito artistico, ma inevitabilmente anche per quello tecnico. Questo significa che il dopo viene sostituito da un ipotetico prima, che riguarda la possibile riproposizione di un suono originario (e, allo stesso tempo, “originale” per le nostre orecchie contemporanee) che dev’essere inteso e considerato come altrettanto, possibile modello esecutivo.
Spesso, però, chi è al di fuori di questo processo di ricerca di un suono originario nella prassi della musica antica non riesce a comprendere appieno in che cosa possa consistere tale operazione storica, musicologica e, infine, interpretativa. Per questo, l’ultima registrazione discografica fatta dal violista da gamba spagnolo Fernando Marín per l’etichetta Da Vinci Classics rappresenta un valido esempio di che cosa significhi seguire una linea, come si suol dire, storicamente informata. L’artista di Alicante ha voluto infatti presentare un programma in cui esegue la Suite n. 2 in re minore BWV1008 e la Suite n. 3 in do maggiore BWV1009 di Bach e tre dei ventuno Studi (per la precisione il sesto, l’ottavo e il decimo) del francese Jean-Louis Duport, uno dei più noti violoncellisti europei a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento. A completare la registrazione, l’arrangiamento di un celebre brano del compositore e chitarrista contemporaneo brasiliano Luiz Bonfá, Manhã de Carnaval. Per farlo, Fernando Marín ha utilizzato un violoncello barocco di costruttore anonimo appartenuto forse alla scuola boema e realizzato intorno al 1800.
Come spiega lo stesso violista da gamba spagnolo nelle note di accompagnamento, se noi dobbiamo prendere in considerazione i dipinti del passato, la cui tecnica di utilizzo di precisi e calibrati materiali ha permesso la loro incomparabile creazione, allo stesso tempo la riproduzione sonora di capolavori musicali risalenti alla stessa epoca dei primi deve essere affrontata e portata a compimento attraverso un’oculata scelta del materiale di cui sono fatte le corde di uno strumento con il quale eseguire, per l’appunto, le composizioni prese in considerazione in questa registrazione.
Qui entra in campo un aspetto ben preciso, come afferma l’artista di Alicante, la restituzione di una volumetria sonora che dev’essere trattata nello stesso modo in cui i pittori del passato immaginarono la volumetria delle loro opere, ottenuta grazie ai pigmenti, alle resine, agli oculati strumenti utilizzati. Una volumetria acustico/sonora da calibrare sulla base del budello usato per creare le corde preposte a tale compito; ecco, allora, come ricorda lo stesso Marín, che l’uso di particolari budelli e non dell’acciaio come accade per gli strumenti moderni e contemporanei, ossia gli stessi usati dai compositori del passato, e che quasi sempre erano gli stessi esecutori delle loro opere, porta a suscitare in chi ascolta le stesse emozioni di coloro che ebbero modo di ammirare i capolavori pittorici e scultorei di quel tempo. Il riportare la musica di quel tempo all’ascolto del tempo stesso è lo scopo della prassi storicamente informata, anche se ovviamente con tutti i suoi se e i suoi ma, derivati inevitabilmente purtroppo da una volontà distorta, da un vizio che per quanto mi riguarda considero assurdo, quello di rimettere mano da parte dell’impianto filologico a tutto il passato musicale, a cominciare da quello più prossimo al nostro presente, andando inevitabilmente a snaturare e a svilire un approccio di per sé valido e pienamente accettabile soltanto se effettuato sulla base delle premesse fatte.
Ora, il programma scelto dall’artista di Alicante verte su due pietre miliari della letteratura per violoncello solo, le Suites n. 2 & n. 3 del sommo Kantor, cuore pulsante della musica barocca, su tre Studi di Duport, il quale è ormai esponente del Classicismo e di un brano del Novecento, Manhã de Carnaval, che fu scritto da Bonfá nel 1959; l’intento, quindi, è chiaro: far comprendere come l’utilizzo del budello al posto dell’acciaio può esaltare il suono del violoncello non solo per ciò che riguarda il passato, ma anche il presente, soprattutto alla luce del fatto che la materia organica di cui è fatto l’intestino degli ovini rappresenta, in termini di elasticità e di vibrazioni ottenute, quanto di più prossimo all’espressività della voce umana, la quale fu presa dagli antichi come termine di paragone attraverso il quale ideare e costruire strumenti musicali che fossero in grado di poterla imitare. Così, il budello con cui erano fatte le corde degli strumenti ad arco, potevano essere assimilate alle corde vocali della voce umana, proprio per via della loro capacità di far “cantare” lo strumento, così come di saper affrontare e risolvere timbricamente ed espressivamente le difficoltà e le arditezze tecniche presenti sul piano virtuosistico allo stesso modo di come i cantanti dell’epoca erano in grado di fare con la voce.
Quindi, la scelta che Fernando Marín ha voluto fare in sede di registrazione è stata quella di 1) esaltare il fraseggio e la ricerca tecnica del violoncello (Bach), 2) mostrare la capacità del budello di affrontare e risolvere le equazioni virtuosistiche dello strumento (Duport), 3) evidenziare come le corde fatte di questo materiale possano rendere e restituire brillantemente le sfumature della voce umana perfino in un brano contemporaneo, come può esserlo Manhã de Carnaval (Bonfá). Se l’ultima scelta non mi può convincere da un punto di vista estetico, per i motivi di cui sopra, ma può farlo da un punto di vista della téchne, è indubbio che, tenuto ovviamente conto della lapalissiana liceità con i capolavori bachiani, anche con gli Studi di Duport le motivazioni addotte dall’artista spagnolo possono essere accettate.
Come fa notare Marín nelle sue note di accompagnamento, è possibile equiparare l’utilizzo delle corde in budello alla stregua di una “lingua” con la quale esprimere la “semantica” del timbro enunciato, ossia permettendo allo strumento di non “parlare” solo la lingua degli antichi, ma anche una temporalmente più universale, in quanto riproducente l’atemporalità della voce umana. Senza entrare in merito a tali speculazioni estetiche, riprodurre la voce umana significa esaltare sia il registro medio-acuto, sia quello medio-grave che spesso viene disatteso in quanto le corde più gravi sono le più difficili da costruire e da utilizzare in chiave filologica. Questo perché la loro resa, soprattutto a un ascolto contemporaneo, risulta essere timbricamente più flebile, più debole nella restituzione degli armonici. Invece, l’artista di Alicante ha voluto utilizzare sul violoncello tutte corde di budello, ricorrendo, in sede di presa del suono, a particolari accorgimenti relativi alla presa del suono e all’impiego di determinate apparecchiature (il che impone anche una ricezione, in chiave d’ascolto, che rientra nell’ambito dell’audiofilia per poter cogliere il profluvio di sfumature timbriche e armoniche proposte).
Il risultato ottenuto, indubbiamente, è alquanto interessante. Se la scelta di utilizzare il budello anche per le corde gravi del violoncello permette di restituire un volume timbrico più sfumato, anche se leggermente più flebile, ricco di armonici e contrassegnato da una profondità più definita e focalizzata, è anche vero che l’enunciazione espressiva che Fernando Marín riesce a fornire al registro medio-acuto porta a un’impronta che non degenera mai in un suono stridulo (quando si dice che gli archi “miagolano”). Questa capacità espressiva del violoncello esalta quindi da una parte la “cantabilità” e dall’altra ne assicura una precisione esecutiva a dir poco necessaria per affrontare e risolvere al meglio gli aspetti tecnici e virtuosistici dei brani presi in esame. È anche una questione di dettagli, di particolari che vengono fissati (gli Studi di Duport sono esemplificativi in tal senso), contrariamente a ciò che si tende ad affermare delle corde in budello, in quanto la messa a fuoco riesce a “fotografare” l’istante acustico e a manifestarlo compiutamente.
Va da sé che la lettura fatta dall’artista di Alicante è più che pregevole; questo vale per ciò che riguarda l’approccio tecnico, che viene risolto sempre con precisione e con un virtuosismo che non cede mai all’ostentazione, ma veicolato in funzione di un flusso e di una fluidità del suono emesso. Ciò permette, e ne consegue direttamente, una cantabilità che viene manifestata anche nei brani di Duport, mentre la lettura delle due Suites bachiane avviene con una visione in cui l’espressività si fa forte di una componente ritmica che la sostiene, la rafforza, la tonifica.
Una nota di merito va data, in sede tecnica, alla presa del suono effettuata da Christian De Villiers e dallo stesso Fernando Marín; la sostanza della dinamica, la sua naturalezza e la sua energia, soprattutto quando va a toccare l’ambito della microdinamica, erano fondamentali per poter fissare ed evidenziare la “fotografia” timbrica del violoncello e in ciò il frutto ottenuto è più che ottimale, in quanto la velocità dei transienti è pari alla focalizzazione del timbro, capace di rendere brillantemente anche le sfumature più tenui del registro medio-grave. Ne consegue anche una riproduzione dello strumento più precisa e corretta all’interno del palcoscenico sonoro, che vede il violoncello scolpito al centro dello spazio sonoro, con una più che discreta profondità; l’equilibrio tonale, poi, è oltremodo rispettoso del registro medio-grave così come di quello medio-acuto che non interferiscono mai l’uno con l’altro, ma restano sempre autonomamente fissati e precisi. Da ultimo, infine, il dettaglio è ottimamente messo a fuoco, anche quando lo strumento tocca le regioni più gravi del suono, grazie a una mole di nero che scontorna perfettamente il violoncello.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Cello’s Inside. The Sound of Gut
Fernando Marín (violoncello)
CD Da Vinci Classics C00380