Che cosa differenzia un sommo compositore dagli altri? Fondamentalmente un aspetto, quello che riguarda l’universalità della sua musica, dove per “universalità” non sta per “universalismo”, ossia che le sue opere lasciano un solco nell’anima di chiunque le ascolti, che possa essere un occidentale, un indio della Patagonia, un filippino o un inuit (a tale proposito, state alla larga come la peste da coloro che affermano ed esaltano questo presunto “universalismo” musicale), ma dalla capacità e possibilità che possano essere eseguite con qualsiasi strumento o formazione musicale senza, come aveva ben arguito Alfred Einstein parlando della musica di Mozart, perdere una sola molecola della loro forza di impatto e di propagazione estetica.

Questo principio, ovviamente, viene esaltato da un autore come Johann Sebastian Bach, la cui produzione musicale è talmente radicata nell’idea pura della musica e della “musicalità” che le sue opere, per suscitare commozione e trasporto, potrebbero essere eseguite perfino su bastoncini di legno, così cari a John Cage e Steve Reich, tale è la loro pregnanza armonica, da risultare per l’appunto “universale”.

Per avere una conferma di ciò è sufficiente ascoltare il CD che la flautista Rita D’Arcangelo ha registrato per l’etichetta americana Centaur, dedicato ad alcuni capisaldi bachiani originariamente non concepiti per flauto, ma che l’artista abruzzese ha presentato nella loro trascrizione per questo strumento, se si eccettua la Partita BWV 1013 e Sonata in la minore Wq 132 del figlio Carl Philipp Emanuel (che in fatto di genialità musicale, la quale dev’essere ancora valorizzata e conosciuta appieno, non è secondo a nessuno). Così, si passa dal Prelude e Courante della Suite n. 1 BWV 1007 al Courante della Suite n. 3 BWV 1009 e alla Sarabande della Suite n. 6 BWV 1012, in cui lo strumento a fiato si sostituisce al violoncello, e dall’Allemande iniziale della Partita n. 2 BWV 1004 all’Allegro assai finale della Sonata n. 3 BWV 1005, dove il flauto prende il posto del violino.

E se il risultato timbrico, armonico e melodico nulla toglie, riproponendo la stessa intensità, la stessa profondità, la medesima bellezza formale dei brani originali, evidenziando gli scogli tecnici degli spartiti, è anche vero che Rita D’Arcangelo, come giustamente evidenzia Stefano Zenni nelle note di accompagnamento, deve affrontare un duplice problema che negli strumenti ad arco non si presenta, ossia quelli di dover respirare e di saper dove prendere respiro in una tessitura che non era stata concepita originariamente per il flauto.

E qui si torna a bomba con il concetto di “universalità” della musica bachiana, la cui struttura armonica e stilistica permette di individuare delle pause in cui l’interprete al flauto può prendere fiato senza che questo meccanismo vitale possa far affiorare squilibri esecutivi. Questo perché con Bach il miracolo è di casa e l’interprete che sa cogliere tale aspetto epifanico, come nel caso di Rita D’Arcangelo, sa esaltare questa meravigliosa accoglienza.

Ottima anche la presa del suono, che propone lo strumento a debita profondità nel palcoscenico sonoro, dotato di un riverbero che non disturba minimamente, ma è capace di fissare lo strumento e di esaltarne la dinamica.

Andrea Bedetti

Johann Sebastian Bach – Solo Bach

Rita D’Arcangelo (flauto)

CD Centaur – CRC 3543

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 4/5