Questo ensemble, formatosi nel 2011, ha appena pubblicato con Stradivarius il suo primo disco, nel quale presenta tre degli otto quartetti per archi di Gian Francesco Malipiero e la trascrizione della Messa a quattro voci postuma del 1650 di Claudio Monteverdi. Un programma decisamente originale che è stato approfondito in questa intervista, nella quale i quattro componenti spiegano anche la loro volontà di ultimare la registrazione dell’integrale malipieriana
Come ho avuto modo di scrivere nell’analisi della registrazione, il vostro debutto discografico è avvenuto con il botto, sia nella scelta di un compositore come Malipiero, il quale in chiave quartettistica non è così frequentato e presentato nonostante l’indubbia importanza dei suoi lavori, sia per il particolare abbinamento con la trascrizione della Messa a quattro voci di Monteverdi, assai interessante dal punto di vista musicale e speculativo. Ebbene, quali sono stati i motivi che vi hanno spinto e convinto nel fare tale scelta?
La curiosità verso la musica del ‘900 e contemporanea ha sempre fatto parte del nostro percorso e ci ha sempre spinto a decidere di mettere in repertorio quartetti del secolo scorso e di quello attuale. L’idea di valorizzare quartetti del ‘900 italiano ci sta molto a cuore, la sentiamo come una volontà che identifica il nostro quartetto. Dato questo nostro interesse per la musica italiana del ‘900 e il rilievo che Gian Francesco Malipiero ha nel processo di rinnovamento della musica strumentale in Italia, abbiamo ritenuto importante dedicare il nostro primo disco a tre dei suoi otto quartetti per archi. Il suo linguaggio compositivo basato sulla ricerca timbrica e armonica rispecchia molto il nostro modo di lavorare in quartetto; le possibilità interpretative delle sue partiture sono uno stimolo continuo ad ampliare i colori dei nostri suoni. Dalla scelta di Malipiero abbiamo cominciato a riflettere su cosa accostarvi, nel nostro primo disco. La scelta della Messa monteverdiana è stata fatta proprio per valorizzare la storia di Malipiero: ha studiato e editato l’opera omnia di Monteverdi e questo trapela molto spesso chiaramente anche nelle sue composizioni. Nei quartetti di Malipiero l’ispirazione vocale è evidente, le linee hanno una loro identità orizzontale e i timbri si fondono nell’unione delle linee, si possono quasi percepire delle scansioni sillabiche o vocali chiuse o aperte: come sostiene Tilman Schlömp, la canzone per Malipiero «è un filo rosso [...] quasi un’“idea fissa”», che tiene insieme gran parte della sua produzione. Anche l’uso degli intervalli di Malipiero lo avvicina molto al mondo antico, l’uso di quarte e di quinte, un’armonia più vicina al modale che al tonale, lo accosta a musica di secoli precedenti.
Come mai, a vostro parere, la musica per quartetti per archi di Malipiero non è ancora valorizzata alla stessa stregua di quella di Béla Bartók e di Dmitrij Šostakovič? Ci sono motivazioni di generale sottovalutazione da parte del pubblico, oppure il problema è a monte, sia a causa di una certa mancanza di sensibilità critica da parte degli addetti ai lavori, sia per un’indubbia lacunosità discografica, se questa viene raffrontata con quella, assai più vasta, che riguarda i lavori del compositore magiaro e di quello russo?
La generazione dell’80, di cui Malipiero fa parte insieme con altri grandi nomi come Casella e Respighi, non ha avuto grande risonanza anche a causa del periodo storico-politico con il quale è identificata (ventennio fascista), senza considerare il fatto che la produzione artistica dei suddetti compositori va molto oltre quei decenni. La tradizione della musica da camera, inoltre, in Italia, non è mai stata forte né radicata, in favore dell’opera e della lirica. La musica da camera italiana del ‘900 più valorizzata è quella dell’epoca successiva, a partire dal secondo dopoguerra, durante il quale i compositori hanno avuto molto più scambio con le avanguardie europee, entrando in un circuito di più ampio respiro.
Che problematiche avete dovuto affrontare, e congiuntamente, nel cambiare il tipo di archetto, passando da uno moderno a quello barocco, quando avete registrato le tracce della Messa monteverdiana?
Chiaramente, arco moderno e arco barocco sono due mondi diversi. Emissione del suono, reazione dell’arco sulla corda, peso dell’arco e bilanciamento sono alcuni degli aspetti con cui abbiamo dovuto fare i conti. Da queste differenze tra i due tipi di archi, in realtà, è iniziata la nostra ricerca timbrica per affrontare lo studio individuale e di insieme della Messa monteverdiana. Con gli archi barocchi siamo riusciti a trovare una via sonora che per noi si avvicina di più alla vocalità e alle voci, destinatari originari della composizione. Il lavoro non è stato immediato, bensì ha richiesto uno studio molto approfondito, soprattutto di insieme: abbiamo dovuto cercare un modo univoco di suonare con gli archi barocchi, lavoro a cui siamo abituati e che abbiamo già approfondito con gli archi moderni, per raggiungere tale omogeneità ci siamo inoltre basati molto sul testo della Messa, sulla pronuncia delle parole e delle sillabe, sulla necessità di respiro.
Avete già deciso, sempre che possa esserci già all’orizzonte, quale sarà il vostro prossimo progetto discografico? E se la risposta è affermativa, tenuto conto della vostra specializzazione nel repertorio del Novecento storico e in quello contemporaneo, verterà su un autore di questi distinti periodi?
Siamo già da tempo in riflessione e studio per la prosecuzione del progetto discografico. Forti dei positivi riscontri che ha suscitato la nostra scelta musicale di valorizzare Malipiero nelle sue composizioni per quartetto d’archi, anche grazie all’accostamento ad una delle sue fonti musicali d’eccezione, vorremmo presto metter mano all'integrale delle opere dell’autore per quartetto d'archi, non escludendo che ciò avvenga con delle sorprese.
Un’ultima domanda, più che altro una curiosità: come mai nell’inlay del CD e nel libretto esplicativo non vengono riportati i vostri nomi e cognomi? Per poterli conoscere, ossia Houman Vaziri e Agnese Maria Balestracci ai violini, Arianna Bloise alla viola ed Ester Vianello al violoncello, bisogna affidarsi al vostro sito web... Questa scelta ha un preciso significato, ossia sacrificare il concetto di individualità a favore di una dimensione interpretativa/esistenziale in chiave puramente “comunitaria”, oppure ci sono altre possibili spiegazioni?
Sì, abbiamo voluto osare in questa scelta abbastanza singolare. Viviamo in un’epoca in cui bastano pochissimi secondi per avere accesso a qualsiasi informazione, quindi non abbiamo temuto di finire come un quartetto di ignoti senza nome: tutti i social in cui siamo inseriti riportano i dettagli richiesti e necessari. Ovviamente ciò non significa che lo scopo sia, velato da un po’ di narcisismo, voler obbligare le persone a doverci cercare per riuscire a conoscere i nostri nomi. Abbiamo voluto porre l’attenzione su queste opere musicali a lungo non considerate, ma colme di ricchezza e sul frutto del nostro lavoro che prende vita solo grazie al prezioso contributo di ciascuno, ma che si esprime come un’unica entità sonora, il quartetto.
Andrea Bedetti