Guardando lo spirito promotore che ha dato vita a questa recentissima registrazione della Da Vinci Classics e la playlist dei brani che contiene, non ho potuto fare a meno di pensare che l’ascolto di questo CD avrebbe fatto assai piacere a un poeta che personalmente non amo molto, ossia Giovanni Pascoli, ma la cui “poetica del fanciullino” rappresenta uno dei primissimi contributi, all’interno della sclerotizzata cultura italica post-risorgimentale, in fatto di aperture speculative già consuete e acquisite in ambito europeo. Quantomeno, il poeta romagnolo per formulare la sua celebre visione si rifece alle teorie filosofiche pessimiste di uno dei pensatori tedeschi più originali del secondo Ottocento, Eduard von Hartmann, formulate nel suo capolavoro saggistico, ossia Filosofia dell’inconscio. Risultati speculativi secondo il metodo induttivo delle scienze naturali.
Ritengo, quindi, che se si intenda “nobilitare”, per così dire, le finalità infantili, nel senso che il programma pianistico va a presentare pagine dedicate all’infanzia, che il pianista francese Daniel Gardiole, uno dei due interpreti coinvolti in questo progetto discografico, ha voluto delineare nelle note di accompagnamento al disco, si possa farlo proprio sulla base, enucleata da von Hartmann nella prima parte del suo testo fondamentale, di come un artista sia in grado di sfruttare le proprie capacità psichiche, soprattutto quelle che rimangono inconsciamente “intonse” nel tempo e che rimandano necessariamente a quanto viene conservato nel “fanciullino” da parte dell’adulto che attua un processo o un atto artistico.
E di processi artistici di valore il CD in questione, dal titolo Floraisons e che presenta, rispettando l’ordine della playlist, il ciclo Les merveilles de la mer del compositore contemporaneo americano naturalizzato francese Anthony Girard, quello celeberrimo Children’s corner di Claude Debussy, il Clair de lune di Reynaldo Hahn e, per finire, Floraison ancora di Girard per pianoforte a quattro mani, indubbiamente ne vanta, senza contare che l’altra interprete chiamata ad assumere in parte l’onere esecutivo, Mai Lan Morini, ha soltanto tredici anni.
Ora, al di là del fatto che credo assai poco alla storiella secondo la quale un musicista quando compone brani musicali per bambini pensa esclusivamente ai piccoli destinatari (basti pensare ai processi creativi, in tal senso, di un Robert Schumann), proprio riferendomi a quanto esposto in termini poetici da Pascoli e in quelli filosofici da von Hartmann, la progettualità creativa destinata alla cosiddetta infanzia viene sempre decodificata in chiave psicologica da un adulto, che tale resta anche quando si traveste da pargolo. E, in fondo, che cos’è un artista quando si abbandona all’atto creativo o alla sua interpretazione musicale, se non un adulto che per attingere all’espressività dell’atto stesso fa affidamento al suo involucro infantile, quello votato al principio di una purezza a dir poco ineludibile per ottenere tale stato di transfert? Quindi, se proprio devo dirla tutta, non mi trovo d’accordo con quanto afferma lo stesso Anthony Girard, quando scrive testualmente nel booklet che «È prezioso conservare dentro di sé i ricordi felici dell’infanzia. Molto spesso sono legati a stati d’animo che l’età adulta non sperimenta più, in particolare la capacità di meravigliarsi di fronte a tutto». Questo perché l’artista, sempre che voglia conservare e confermare la sua identità straordinaria rispetto all’esperienza ordinaria che si presenta al di fuori di lui, per fare ciò che vuole essere deve sempre manifestare uno stupor mundi simile se non uguale a quello che un bambino, ancora immune al virus della cattiveria e della perfidia, prova quando si relaziona, nella sua innocenza, con quanto lo circonda a livello oggettivo.
Chiarito ciò, andiamo avanti e procediamo con l’analisi del CD in questione. Senza rispettare l’ordine presentato nella playlist, cominciamo da Debussy. Ebbene, come dare torto a Piero Rattalino quando affermò che il Children’s Corner più che musica per l’infanzia, è soprattutto musica sull’infanzia, ossia «musica che nasce dalla contemplazione dell’adulto sul misterioso sorgere di un rapporto tra il bimbo e gli oggetti»? Con questo ciclo pianistico, Debussy affronta la dimensione polittica, nel senso che vi è un filo unitario che collega i sei “quadri” raffigurati dal pianoforte, il che obbliga l’interprete ad avere sempre chiara una visione d’insieme, oltre a delineare le peculiarità stilistiche ed espressive presenti in ogni segmento. Sulla base di ciò, come ha affrontato e dipanato il tutto Daniel Gardole? Intanto, c’era da risolvere il Doctor Gradus ad Parnassum iniziale, che è uno scoglio non indifferente, visto che il brano deve essere sottile, leggero e, allo stesso tempo, altamente ironico, al punto da risultare, soprattutto nelle prime due parti, tendente al satirico. Una traccia di indubbio interesse l’abbiamo nella lettura fatta dallo stesso Debussy, che registrò l’intero ciclo nel 1913 su piano meccanico, che lascia intendere perfettamente quel senso di leggera ironia che inchioda il severo pedagogo in una macchietta che sfiora il patetico, mentre il senso di liberazione che prova il piccolo discente alla fine della lezione è un’esplosione timbrica che investe tutta la tastiera. Al contrario, nella registrazione televisiva fatta a Torino nel 1962, Arturo Benedetti Michelangeli dimostra come la fantasia, tenue, arabesca, vaporosa, compreso il finale dirompente, possano essere racchiusi in un esemplare esercizio di disciplina formale, eppure squisitamente impressionistico. Gardiole, invece, lo imprigiona in una resa puramente stilistica, un compitino ben eseguito, ma senza presentare quelle debite sfumature attraverso le quali affiorano le sottigliezze psicologiche che passano dal docente al discente. Insomma, esecutivamente senza difetti ed espressivamente monocorde. Le cose vanno un po’ meglio con gli altri cinque brani, a cominciare dal “notturno” Jimbo’s Lullaby, il cui dipanarsi è all’insegna di quella mesta ninna nanna che Debussy aveva immaginato di cantare/suonare per la piccola Chouchou, accompagnando il canto con l’elefantino di pezza tenuto in mano e che danza lievemente sopra il lettino della figlioletta di tre anni (ma si ascolti Benedetti Michelangeli, che lo trasforma in una magica esplorazione timbrica che rasenta la pittura scompositiva/cubista di un Georges Braque... ). Altro brano cardine è The Snow is dancing, in cui il pianoforte deve sbattere delicatamente in faccia all’ascoltatore quelle stampe giapponesi così amate da Debussy: cosa che il compositore francese nella sua lettura riesce a trasmettere con un tocco che, appena toccati i tasti, fugge subito via, mentre Daniel Gardiole, con il suo timbro, più che una stampa nipponica dà vita a un bassorilievo greco-romano, ossia non offre una fuggevolezza, ma una solidità materica che stravolge alquanto il volere debussyano. Altro banco di prova impegnativo è la Golliwogg's cake-walk, il cui senso metronomico dato dalla danza americana rischia di diventare una trappola micidiale; se Benedetti Michelangeli permea il tutto, attraverso un’agogica azzeccatissima, di un senso ironico/parodistico nel quale immergere perfettamente la citazione caricaturale dell’incipit del Tristan und Isolde wagneriano, il pianista francese risulta essere un po’ prosaico, non arrotonda il suono nella sua individualità e, conseguentemente, nella sua totalità, creando, di conseguenza, un’inevitabile frattura allorquando subentra la citazione in questione.
Procediamo oltre, prendendo in esame la composizione di Reynaldo Hahn, un musicista che merita ben altri riconoscimenti, al di là delle sue avventure sentimental-erotiche avute per qualche tempo con Marcel Proust. Musicista raffinato, soprattutto per quanto riguarda il genere della chanson, Hahn ha stilizzato il suo cliché compositivo attingendo dal cuore del romanticismo e permeandolo sotto l’impulso della corrente impressionista. Cosa che si nota facilmente nel ciclo pianistico Au clair de lune, creato nel 1892; quest’opera, che sinceramente non è tra le migliori del compositore venezuelano naturalizzato francese, fu elaborata partendo da un racconto che Reynaldo Hahn ebbe modo di conoscere durante un soggiorno trascorso a Münster-am-Stein nella primavera del 1891, con gli undici brani di questa raccolta che vanno a formare le diverse parti del racconto, ciascuna delle quali fu preceduta da un testo e da un’illustrazione di Louis Montégut, artista e cugino di Alphonse Daudet. I pezzi de Au clair de lune sono molto brevi (il settimo è lungo appena dodici battute, mentre quello più articolato, il decimo, raggiunge a malapena le cinquanta misure) ma, nonostante la loro brevità, alcuni di essi sono monotoni o decisamente piatti, al contrario di un altro ciclo coevo, intitolato Juvénilia, assai più affascinante. È anche vero, però, che ci troviamo di fronte a un lavoro che rientra a pieno titolo nel tipico stile della musica da salotto, quindi a portata di esecuzione anche da parte di musicisti dilettanti e alle prime armi. Daniel Gardiole, ovviamente, non è un dilettante e dunque la sua lettura di questa raccolta, che narra di una coppia di giovani innamorati che una sera passeggiano e decidono di svelare reciprocamente il proprio sentimento, mostra le peculiarità e i caratteri necessari per rendere al meglio quelle fasi sonore che evidenziano i vari stati d’animo dei due innamorati, che vanno dall’entusiasmo più ingenuo alla delusione più cocente.
Anche il ciclo Les merveilles de la mer di Anthony Girard è configurato per essere affrontato con sicurezza da un giovane pianista, quindi esente da complessità tecniche. Si tratta di una raccolta di dodici brevi pezzi che il musicista naturalizzato francese ha scritto nel 2003 e che ha dedicato alla figlia Stella, che all’epoca aveva sette anni e che aveva appena iniziato a studiare il pianoforte con la madre Geneviève. Questi brani prendono ispirazione da una spiaggia della Bretagna, che si trova sulla penisola di Rhuys, particolarmente amata da Girard. Il denominatore che accomuna questi pezzi è dato dalla volontà di irradiare un sentore pittorico, raffigurativo, non per nulla il sottotitolo del ciclo è Pastels (Pastelli); da qui una scrittura i cui colori sono ovviamente attenuati, contraddistinti da sfumature timbriche che sono, da quanto ho potuto ascoltare, ben disciplinate ed evidenziate da Mai Lan Morini. Insomma, una pagina ad hoc per esaltare le indubbie doti interpretative di una promettente pianista.
Il disco si conclude con un brano per pianoforte a quattro mani, Floraison, dedicato proprio alla nostra giovane interprete e al suo maestro, Daniel Gardiole. Si tratta di una suite distribuita in tre segmenti e scritta nel 2021 proprio per essere inserita in questo progetto discografico. Come suggerisce il titolo, questa suite vuole musicalmente idealizzare il processo della fioritura, vale a dire presentando delle idee sonore, come spiega lo stesso Girard, che nascono, sbocciano e si sviluppano secondo un modello floreale. Obiettivo e finalità che non metto in dubbio, anche se considero alla lunga il metodo compositivo di questo autore alquanto ripetitivo.
Infine, di buona fattura la presa del suono effettuata da Elio Di Tanna & Bruno Ralle, capace di presentare una dinamica che è contraddistinta da un’ottima velocità e da una ragguardevole energia. Ne consegue una ricostruzione del palcoscenico sonoro che vede il pianoforte scolpito assai bene al centro dei diffusori, con lo strumento posto a una discreta profondità, senza pregiudicare una piacevole altezza e ampiezza del suono. Anche i parametri dell’equilibrio tonale e del dettaglio non sono da meno, con il primo assai rispettoso del registro medio-grave e di quello acuto (e ciò si denota soprattutto nella pagina a quattro mani) e con il secondo che manifesta una rassicurante matericità.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Floraisons. Music for Piano & Piano 4 – Hands
Mai Lan Morini – Daniel Gardiole (pianoforte)
CD Da Vinci Classics C00947
Giudizio artistico 3,5/5
Giudizio tecnico 4/5