In un periodo prosciugato dalla dittatura del melodramma prima e del verismo dopo e poi, a livello strumentale, dai rappresentanti della cosiddetta Generazione dell’Ottanta, formata da autori come Ottorino Respighi, Gian Francesco Malipiero, Alfredo Casella e Ildebrando Pizzetti, quei compositori italiani che non accettarono di accasarsi né sulla prima né sull’altra sponda tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, si trovarono così a battere una “terra di mezzo”, che si dimostrò in realtà essere una sorta di “apartheid” culturale, in quanto considerati elementi eterodossi rispetto a una moda musicale che li escludeva dalla possibilità di emergere dalle pastoie irrigidite dell’opera lirica da una parte e da un’automatica identificazione nel genere della musica sinfonica e di quella concertistica, quest’ultima fissata più o meno involontariamente da musicisti come Martucci e Sgambati.
Tra coloro che furono quindi costretti ad essere assimilati in questa scomoda e controproducente “terra di mezzo” ci fu anche il trapanese Antonio Scontrino, nato (si presti attenzione alle date) nel 1850 e morto a Firenze nel 1922. Al di là di un imbarazzante raffronto generazionale, che lo vide, come operista, dapprima costretto ad affrontare un colosso come Giuseppe Verdi e poi a fare i conti con l’implacabile egemonia data dalle osannate opere di Giacomo Puccini (i due furono quasi coetanei, visto che il lucchese nacque nel 1858 e morì nel 1924), Scontrino rappresenta un caso assai particolare nella storia musicale del nostro Paese, in quanto la sua produzione teatrale, formata da otto titoli e che inizia nel 1879 con Matelda e si conclude nel 1896 con La cortigiana, non fu certo improntata a una ricerca innovativa, ma ancorata a stilemi, metodologie compositive e concezioni teoriche votati a un’impronta che definire, rispetto ai tempi, “passatista” non deve risultare offensiva o denigratoria. Il teatro musicale di Scontrino, infatti, se non proprio alla tradizione del “Bel canto” tout court, fece i conti con quello verdiano, uscendone ineluttabilmente con le ossa rotte o tutt’al più con la benevolenza momentanea della critica e del pubblico dell’epoca, per poi inabissarsi nel dimenticatoio del tempo e della storia.
Ma è altrettanto vero che, una volta esaurita la vena operistica, Scontrino cercò di mettersi in gioco, oltre ad essere un apprezzato docente presso il conservatorio di Firenze, come autore strumentale, sia nel genere cameristico (soprattutto con i suoi quartetti per archi), sia in quello sinfonico-concertistico, gettando un occhio oltre le Alpi, dopo aver affinato i campi della composizione e dell’orchestrazione in terra germanica, più precisamente a Monaco, dove ebbe modo di impadronirsi delle chiavi del linguaggio romantico e tardoromantico europeo. Ciò gli fornì la stura per comporre un repertorio che se da un lato suscitò l’interesse del milieu musicale tedesco (il suo concerto per contrabbasso e orchestra fu eseguito in prima assoluta a Berlino nel 1908, mentre la sua sinfonia Romantica (sic!) debuttò nel 1914 addirittura sotto la bacchetta di Richard Strauss), dall’altro rese sorda la critica e l’attenzione del pubblico nostrano, incarogniti per tutto ciò che poteva venire al di fuori da un contesto in cui la melodiosità espositiva veniva infettata da principi armonici estranei a un consueto e ben accetto stile “mediterraneo”.
E nemmeno l’attitudine e la capacità di essere un virtuoso del contrabbasso permise al compositore trapanese di ritagliarsi una fetta di notorietà, visto che sempre all’epoca la strada gli fu sbarrata da colui che è passato alla storia come il “Paganini del contrabbasso”, ossia quel Giovanni Bottesini che enunciò il Verbo per ciò che riguardava il rappresentante più grave della famiglia degli archi in campo internazionale. Ma l’amore che Scontrino ebbe nei confronti del contrabbasso (passione nata sotto l’impulso del padre calafato di professione e musicista dilettante, il quale oltre a costruire appositamente per Antonio un contrabbasso con il quale dilettarsi ed esercitarsi, diede vita anche a un gruppo cameristico estemporaneo, del quale fece parte anche il figlio) lo portò, dopo aver conseguito il diploma per questo strumento presso il conservatorio di Trapani, a comporre delle fantasie-trascrizioni per contrabbasso e pianoforte di celebri opere liriche di Verdi, Bellini e Donizetti.
Queste pagine sono state recentemente registrate dal duo Nicola Malagugini al contrabbasso e da Mirea Zuccaro al pianoforte in un doppio CD, intitolato Fiori d’opera, per l’etichetta Da Vinci Classics (per la precisione le Fantasie composte dal ventunenne Scontrino riguardano Un ballo in maschera e Il trovatore di Verdi, Beatrice di Tenda, La sonnambula e I puritani di Bellini, Linda di Chamounix di Donizetti, oltre alla Vendetta slava del compositore catanese Pietro Platania e a due Fiori su arie rossiniane e belliniane, tutte incise in prima assoluta mondiale), opere che rientrano in quello smisurato, e sovente sciagurato, arcipelago che la musica del tempo dedicò alla riduzione cameristica per svariati organici strumentali del repertorio operistico, soprattutto di quello concernente il “Bel canto”.
Non è il caso qui di soffermarsi sui danni provocati dal genere della trascrizione operistica in seno alla musica italica, e di cui i pochi pregi riguardano semmai ambiti che devono essere affrontati soprattutto dalla sociologia della musica, ma appare scontato che per un giovane musicista del tempo, desideroso di vedere il proprio nome stampato sugli spartiti e sulle locandine, ciò poteva rappresentare un ottimo viatico per calmare lo stomaco e per entrare nell’agone compositivo di un Paese che, sull’onda del Risorgimento (quando Scontrino compose queste pagine, tra l’estate del 1869 e la primavera del 1870 a Trapani, l’Italia stava per vivere la breccia nelle mura di Porta Pia), cavalcava la tigre di una retorica dalla quale attingevano a piene mani le varie espressioni artistiche.
Anche le pagine proposte dal duo Malagugini & Zuccaro non sfuggono a tali prerogative, la cui originalità semmai viene fornita dalla particolarità dell’organico, ma che costringe lo strumento ad arco a issarsi continuamente sul terreno minato del registro medio/alto e alto, non dico snaturandolo dal suo essere contrabbasso, ma portandolo sovente a vestire i malcelati panni di un violino grave, ossia a rappresentarsi come un ibrido il cui risultato è un timbro che cerca non di imitare, ma quanto meno rappresentare idealmente la linea tenuta originariamente dalle voci umane. Sia ben chiaro, la volontà da parte del contrabbassista rovigiano (uno dei migliori e più apprezzati nel panorama musicale attuale) di riesumare queste Fantasie, ritrovate a livello di manoscritto nella biblioteca del conservatorio siciliano, oltre alle altre tre opere pubblicate ai tempi da Ricordi, è a dir poco eroica, anche perché a livello di acquisizione e di ascolto questa incisione ha un valore meramente storico e può interessare soprattutto chi vuole approfondire l’evoluzione tecnica ed espressiva del contrabbasso, in quanto il valore artistico delle medesime è quello che è, vale a dire un lodevole sforzo da parte di uno studente che si stava per diplomare e che era acceso dal sacro entusiasmo compositivo.
Quindi, pagine spontanee, ma ingenue, sincere, ma rese opache dall’opera distruttiva del tempo, preziose testimonianze, ma che se al tempo potevano far sognare pletore di signorine Felicita di gozzaniana memoria, oggi non possono avvincere più di tanto, se non addetti ai lavori e appassionati di musica del periodo risorgimentale. Resta, va da sé, la resa, la lettura (e il giudizio in sede artistica riguarda proprio ciò) fatta dai due musicisti, i quali hanno saputo affrontare questi brani con il giusto cipiglio e la corretta messa a fuoco; così, se Nicola Malagugini riesce a proporre pacatamente il virtuosismo di cui sono condite queste pagine, senza cercare inutilmente di strafare, nel vano tentativo di renderle più appetibili, allo stesso tempo dimostra che il contrabbasso per lui non ha segreti, poiché non è da tutti esprimere una tessitura, una linea sonora convincenti quando si è costretti quasi a portare “fuori giri” lo strumento a causa delle altezze contro natura alle quali lo obbliga Scontrino (ed è questo, alla fine, che infastidisce l’ascolto), da parte sua la giovane pianista siciliana, oltre a fornire un debito apporto nell’accompagnamento, elaborato sempre in modo discreto, ma non per questo meno importante, riesce anche a librarsi spensieratamente in quei momenti in cui la scrittura pianistica diviene protagonista (nei quali, finalmente, il contrabbasso torna ad essere tale, ossia riappropriandosi di quei registri che gli appartengono e che gli sono congeniali a tutti gli effetti), dimostrando appieno di essere entrata nella parte, vale a dire di “pensare” idealmente un suono che riecheggi l’orchestra nei suoi slanci e nei suoi apporti colmanti con un fraseggio che respira e si sviluppa in modo acconcio nella sua materializzazione pianistica.
La presa del suono, effettuata da Franz Minuta, presenta una dinamica più che sufficiente per rendere, a livello di velocità e di naturalezza, le proprietà timbriche dei due strumenti, con il contrabbasso correttamente posto leggermente più avanti rispetto al pianoforte nella ricostruzione del palcoscenico sonoro. Altrettanto positivi risultano essere l’equilibrio tonale (il registro dello strumento ad arco non copre o satura quello dello strumento a tastiera) e il dettaglio, materico nella messa a fuoco.
Andrea Bedetti
Antonio Scontrino – Fiori d’opera. Fantasias for Double-Bass and Piano
Nicola Malagugini (contrabbasso) – Mirea Zuccaro (pianoforte)
2CD Da Vinci Classics C00352