Di fronte a quello che può essere definito l’immobilismo musicale italiano nel corso dell’Ottocento, immobilismo che dev’essere identificato attraverso il predominio pressoché assoluto del teatro operistico a scapito del genere strumentale e che scavò di fatto un gap abissale con le altre realtà europee, Francia e Paesi di lingua tedesca in primis, l’irruzione del Novecento nel panorama musicale nostrano vide un immediato mutamento di prospettive e di stupefacenti aperture che non si sarebbero bloccate neppure in presenza del ventennio fascista. E non è arrischiato considerare la realtà musicale italiana, almeno quella che giunge fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, allo stesso livello di quella francese, tedesca e austriaca in fatto di importanza, di innovazioni, di dibattiti, di esplorazioni di linguaggi sonori e di scontri tra le tensioni progressiste e gli ancoraggi conservatori. Eppure, ancora oggi, questa pletora di cambiamenti avvenuta nel panorama musicale della prima metà del Novecento fatica ancora nell’essere pienamente conosciuta e accettata, cedendo il passo all’annoso luogo comune che vuole l’Italia e la sua musica cresciute all’ombra di quanto invece avvenne a Parigi, a Berlino e a Vienna in un’epoca che definire a dir poco irripetibile può apparire quantomeno lapalissiano.

Una studiosa che ha dedicato anni di ricerche alla musica italiana nel Novecento è la musicologa e storica della musica Fiamma Nicolodi, la quale per i tipi del Saggiatore ha pubblicato il volume Novecento in musica, che raccoglie dieci suoi saggi già apparsi in precedenza su altrettante riviste specialistiche e all’interno di atti di convegni e che adesso vedono la luce in un progetto editoriale che abbraccia idealmente le dinamiche e i percorsi della musica italiana della prima metà del Ventesimo secolo. Progetto che prende avvio con una disamina dell’irruzione del Futurismo musicale di Francesco Balilla Pradella e Luigi Russolo e prosegue con l’avventura di quella straordinaria rivista che fu La Voce, nata con Giuseppe Prezzolini e continuata da Giovanni Papini, all’interno della quale sorse un appassionato dibattito sulle vie della musica contemporanea tra Giannotto Bastianelli e Ildebrando Pizzetti, i quali, tra l’altro, insieme con Gian Francesco Malipiero e Ottorino Respighi nel 1911 promossero il manifesto progressista Per un nuovo risorgimento. Altro argomento affrontato dalla Nicolodi è l’accoglienza che ricevette nel nostro Paese il linguaggio seriale promosso dalla Scuola di Vienna e di come venne usato e sviluppato da Luigi Dallapiccola, così come il tema che tratta della figura dei compositori-critici che contrassegnò quel lasso temporale (si pensi, in tal senso, a personaggi come Bruno Barilli, Alberto Savinio, Gianandrea Gavazzeni e Massimo Bontempelli). Ineludibile poi, per statura, complessità, lungimiranza e coinvolgimento in un respiro decisamente europeo, in particolar modo con la cultura musicale tedesca, è la figura di Ferruccio Busoni, che la studiosa italiana tratteggia ponendolo in rapporto con i contemporanei e con i musicisti del suo tempo e poi il rapporto che la capitale Roma ebbe con la musica di quel tempo, di come visse il trauma delle avanguardie, l’instaurarsi di nuovi linguaggi, con l’ascesa di musicisti destinati a lasciare un segno tangibile, con un nome su tutti, quello di Goffredo Petrassi.

L’analisi continua con la figura di Guido M. Gatti, colui che diede vita al primo Maggio musicale fiorentino, figura basilare della critica musicale del primo Novecento, così come quella di Gianandrea Gavazzeni, al quale Fiamma Nicolodi ha riservato un saggio tra i più penetranti e illuminanti dedicati al direttore d’orchestra, compositore e saggista bergamasco. Da ultimo, un contributo nel quale si delinea il rapporto intercorso tra uno dei più raffinati compositori della prima metà del Novecento, Francis Poulenc, con i colleghi italiani, dal quale si può evincere come la cultura musicale francese (e non solo) guardasse al nostro Paese e ai suoi artisti con vivo interesse.

Ma se questi sono i temi portanti, le punte di molteplici iceberg che emergono dall’acqua, sotto la superficie di questi scritti si muovono artisti, critici, letterati, pittori che in nome della musica seppero fino allo scoppio del conflitto mondiale dare vita a un intreccio fecondo, ricco oltremodo di stimoli, dibattiti, discussioni (anche feroci) che il regime fascista, contrariamente a quanto avvenne in Germania dopo l’ascesa di Hitler e del nazismo, non ostacolò, se non all’indomani delle lezzi razziali, garantendo a tutti coloro che non potevano veicolare e far rappresentare le loro opere in Germania e poi in Austria, in quanto appartenenti alla cosiddetta Entartete Musik, ossia la musica degenerata, di trovare al di là delle Alpi un approdo sicuro. Un intreccio che la studiosa e musicologa italiana riesce a dipanare, a evidenziare, a collegare all’interno di una ragnatela di cui padroneggia gli innumerevoli fili, dimostrando ancora una volta che oltre a Parigi, Vienna, Berlino e la lontana Mosca, sebbene chiusa nella morsa staliniana, in Europa, in quel lasso di tempo che parte dalle avanguardie e che porta alla conclamazione del linguaggio dodecafonico, la grande e feconda musica era di casa anche in Italia.

Andrea Bedetti

Fiamma Nicolodi – Novecento in musica

Il Saggiatore, 2018, pp. 288

Giudizio artistico 5/5