Disco del mese di Febbraio
Prendi il mostro e sbattilo in prima pagina. O, per meglio dire, come si costruisce il suo mito. Purtroppo, quando si affrontano Niccolò Paganini e la sua opera musicale si deve sempre fare i conti con ciò. Con il risultato, sovente, di sostituire il vero con il falso, complice anche la stessa figura del genio genovese, governata e gestita “satanicamente” dalla sindrome di Marfan, di cui pagò il prezzo perfino dopo la sua morte, quando il suo corpo imbalsamato fu mostrato in una teca nelle fiere e nei mercati paesani della Costa Azzurra, un freak ossuto e spettrale, né più né meno come la macabra silhouette di Tristan Corbière, anch’egli destinato a una morte prematura e amara. Non per nulla, la figura scheletrica di Paganini fu addirittura al centro di uno dei primissimi falsi nella storia della fotografia, quello imbastito da due impostori negli anni Novanta dell’Ottocento, i quali affermarono di aver trovato un dagherrotipo di Paganini, convincendo della sua autenticità i vertici della Breitkopf & Härtel, la quale, ingenuamente, ne pubblicò una stampa, ancora oggi riprodotta come autentica in diversi libri e pubblicazioni.
Ma lasciamo il mondo delle leggende, quelle soprattutto metropolitane, e se proprio dobbiamo parlare di Paganini, facciamolo giustamente attraverso la sua musica, relegando la sua vita, i suoi errori, i suoi eccessi, così come i suoi ravvedimenti nelle pagine di un racconto del macabro che avrebbe fatto la felicità di un Igino Ugo Tarchetti (a livello biografico, difatti, più che alla temperie romantica, il compositore e violinista genovese appartiene antropologicamente a quella scapigliata, della quale è stato, malgré soi, un formidabile precursore). E lo facciamo attraverso la sua opera più celebre, che non sono i concerti per violino (questi, semmai, possono rappresentare l’introduzione al suo ascolto), bensì i 24 Capricci op. 1, da lui scolpiti sulle tavole della legge violinistica a beneficio, come riportava la dedica sulla partitura, degli “Artisti”. E se ci concentriamo su questo vertice assoluto, e non solo dell’arte violinistica, lo dobbiamo a una giovane artista russa, ormai trapiantata sul sacro suolo italico da ormai due lustri (dove insegna a Imola), Ksenia Milas, la quale ha registrato per l’etichetta Da Vinci Classics l’opera in questione. Un’incisione, la sua, che merita un discorso alquanto approfondito.
Come si evince dalle ricche note di accompagnamento, ci sono diverse peculiarità che contraddistinguono questa registrazione: la prima è che sono stati inseriti anche quattro Studi paganiniani per violino solo, scoperti recentemente in sede musicologica e qui curati da Danilo Prefumo, che gettano una nuova luce non solo sulle dinamiche e sul processo creativo degli stessi Capricci, ma anche sul rapporto stretto che questi Studi hanno con l’op. 1, avvalorando la tesi del work in progress fatto dal genio genovese nel corso della sua attività didattica, ossia delle relative applicazioni tecniche che progressivamente inserì per sfruttare al massimo le possibilità insite dello strumento.
In secondo luogo, la violinista russa ha avuto l’opportunità di registrare questi lavori con un violino appartenuto allo stesso Paganini, il leggendario “Sivori” che prende il nome dall’omonimo e unico, vero allievo che il “violinista del diavolo” ebbe sotto la sua tutela, Camillo Sivori, e che attualmente viene conservato nella Sala dei Violini Paganini di Palazzo Tursi a Genova. Ed è la prima volta che i Capricci vengono registrati con uno strumento appartenuto a Paganini, tenendo conto che il “Sivori” è una copia esatta del più celebre “Cannone”, costruito a Cremona nel 1743 dal liutaio Bartolomeo Giuseppe Guarneri e che quando fu riparato dal collega parigino Jean-Baptiste Vuillaume, questi ne realizzò anche la copia in questione. Per ottenere il permesso di suonare questo strumento, Ksenia Milas ha dovuto contrattare per un anno con l’ente locale che custodisce i due violini, al punto che quando ha effettuato la registrazione, avvenuta il 21 settembre 2021 nella stessa Sala dei Violini, ha potuto farlo solo alla presenza del liutaio Alberto Giordano, della curatrice del museo Raffaella Besta e addirittura della polizia locale. Una sessione di presa del suono che è durata soltanto sei ore, tanto è vero che la registrazione finale si basa esclusivamente sulle sole esecuzioni effettuate in quel lasso di tempo e, aspetto ancor più importante, senza alcun taglio; quindi, come se il tutto fosse un live nudo e crudo.
Altro aspetto da non sottovalutare è che nel corso della sua interpretazione/registrazione, la violinista russa ha voluto seguire una sequenza del tutto personale, ossia non eseguendo i Capricci e gli Studi nell’ordine numerico, ma valorizzando le somiglianze stilistiche e armoniche che rivelano la sensibilità di Paganini nella sua ricerca delle sonorità legate al virtuosismo tecnico e agli effetti sonori espressi dal “Sivori” (per completezza d’informazione, l’ordine esecutivo che la violinista russa ha voluto dare è questo: n. 13 - n. 14 - n. 10 - n. 11 - n. 19 - n. 2 - n. 3 - Studio n. 3 - n. 21 - n. 7 - n. 8 - Studio n. 2 - n. 20 - n. 18 - Studio n. 1 - n. 16 - n. 1 - n. 22 - n. 5 - n. 15 - n. 9 - n. 4 - n. 6 - n. 12 - n. 17 - n. 23 - Studio n. 4 - n. 24).
Altro dato che colpisce è la durata della lettura fatta dall’artista russa, al punto che, al di là della presenza aggiuntiva dei quattro Studi (che non arrivano complessivamente ai quindici minuti), si è dovuto spalmare l’intera registrazione su due CD, visto che l’esecuzione dei ventiquattro Capricci sfiora un’ora e quaranta minuti. Se prendiamo come termine di paragone due incisioni “di riferimento”, come quelle di Michael Rabin e di Itzhak Perlman, vediamo che la prima non raggiunge l’ora e dieci minuti, mentre la seconda si ferma a un’ora e dodici minuti. Senza tenere conto della registrazione effettuata da Salvatore Accardo (quella per la Fonè), che vede la presenza di tutti i ritornelli e che, nonostante ciò, non raggiunge l’ora e trentacinque minuti. Quindi, ci troviamo di fronte a una registrazione che, pur non prevedendo i ritornelli, supera le prime due di trenta minuti e quella accardiana di sette minuti. Una scelta, quella di Ksenia Milas che, apparentemente, tende a privilegiare uno dei due poli che caratterizzano i Capricci, vale a dire la cantabilità, a scapito invece della tecnica virtuosistica.
Personalmente, considero la scelta dell’artista russa una soluzione per sfruttare anche l’eccezionalità della situazione, vale a dire avere tra le mani uno strumento unico, che in termini di suono ha poco o punto da invidiare al più celebre “Cannone”, sia in termini di timbro, sia in quelli dati dall’eccezionale “esplosività” dinamica, e questo vale soprattutto per il registro medio-acuto del violino (ma su ciò si veda il giudizio tecnico), qualità tali da poter affrontare le perigliose, quasi insormontabili difficoltà tecniche (la mano sinistra deve sottostare a una permanente tortura per via di diteggiature che portano a posture innaturali e mi chiedo come abbia fatto la violinista russa visto che non vanta delle mani grandi) con un’agogica meno “schizofrenica” (si ascolti la versione di Rabin, in cui il grande virtuoso americano d’origine rumena aggruma continuamente il suono, concentrando i passaggi e i virtuosismi attraverso cellule espressive che sfiorano l’asfissia interpretativa, sebbene ne venga sempre fuori in maniera a dir poco sbalorditiva). Un esempio che prendo a modello di quanto ho appena esposto è dato dall’ultimo Capriccio, il Tema e Variazioni in la minore, che nella lettura di Ksenia Milas dura cinque minuti e ventiquattro secondi, rispetto ai quattro minuti e quarantadue secondi di Rabin (ma non si dimentichi che Shlomo Mintz nella sua registrazione per la DG raggiunge i sei minuti e venti secondi!); ebbene, se Rabin punta maggiormente a mettere in luce il filo melodioso che unisce le undici variazioni e a prosciugarne il timbro per esaltare la dimensione virtuosistica, l’artista russa al contrario fa affiorare il côté della cantabilità, ma senza rinunciare a evidenziare le asperità tecniche, tenuto conto che il “Sivori” è un magnifico “sismografo” che permette di scandagliare ogni minimo aspetto degli accordi, delle cavate, dei salti, fino al celebre pizzicato, che viene reso con una fluidità a dir poco impressionante.
La differenza sta proprio in ciò, ossia la capacità che Ksenia Milas riesce a manifestare dalla prima all’ultima nota dei 24 Capricci nel dare valore al cantabile, quasi richiamandone una struttura “operistica” (il che non rappresenta una novità nello stile compositivo paganiniano, tenuto conto che nei suoi Concerti violinistici i tempi lenti, così come alcuni temi di quelli veloci, sono fondati sulle strutture del teatro operistico, soprattutto rossiniano), ma senza mettere da parte la dimensione della technè, facendo in modo di inserirla compiutamente all’interno dell’eloquio. Non vi è, dunque, una sorta di scissione tra queste due polarità, ma un sincretismo fatto di equilibrio, di raffinato gioco dei pieni e dei vuoti, di ottimale bilanciamento tra ciò che deve “divertire” e tra ciò che deve invece “stupire”.
Un “divertimento” e uno “stupore” che sono presenti anche nei quattro Studi, rispettivamente un Sostenuto in do maggiore, un Moderato in la maggiore, un Moderato assai in do maggiore e un Sostenuto in sol maggiore, che potrebbero essere stati scritti per uno o più allievi e che derivano tutti da un unico manoscritto, anche se per mano di Paganini. Sia ben chiaro, non sono a livello dei Capricci, ma permettono di apprezzare e comprendere meglio l’importanza dell’ op. 1, soprattutto per quanto riguarda la caratteristica di non abbandonare mai la sfera cantabile (sintomatici, a tale riguardo, la drammaticità “operistica” evidenziata nel secondo Studio e la vocalità presente nel terzo Studio) e dell’irrinunciabile tecnica (il fluire “acrobatico” del quarto Studio).
Un’ultima annotazione che vale come un consiglio: chi ha la possibilità di utilizzare software di musica liquida, potrà montare le varie tracce rispettando la sequenza impostata dalla violinista russa nel corso della sessione di registrazione; in questo modo, si apprezzerà meglio la sua scelta, che valorizza l’intrinseca musicalità dei Capricci e degli Studi alla luce di quanto si è cercato di spiegare, ossia di costruire un’opera “unica” nella quale il flusso della cantabilità viene esaltata, allo stesso tempo, attraverso le peculiarità date dalla tonalità e dal tecnicismo (didattico) che li contraddistingue. Va da sé, che la lettura fatta da Ksenia Milas, nell’excursus discografico dell’op. 1, rappresenta per ciò che riguarda l’ascolto un punto di arrivo e non certo di partenza; questo significa che chi non ha mai ascoltato i Capricci non dovrà iniziare da questa incisione, ma da altre, per esempio le già citate registrazioni di Perlman e Rabin.
Questo perché le soluzioni stilistiche, espressive, timbriche, agogiche scelte e adottate dalla violinista russa spostano diversi equilibri che non coinvolgono esclusivamente l’opera in questione, la quale viene necessariamente investita anche dalla proposta data dai quattro Studi (non che questi ultimi siano per forza il timone che indirizza la nuova rotta, ma è indubbio che con la sua interpretazione basata sulle peculiarità tecniche e date dalla scelta delle tonalità, Ksenia Milas immerge gli Studi all’interno della nervatura dei Capricci). Inoltre, c’è da considerare anche un altro aspetto che trovo assai interessante: se le precedenti letture, che possiamo definire di riferimento, mirano a esaltare la dimensione virtuosistica, imbastendo una sfida all’ultimo sangue con la partitura, ossia facendo perno sulla questione tecnico-didattica della composizione, l’artista russa nella sua interpretazione coinvolge anche l’uomo Paganini, vale a dire mette in risalto perfino un apporto psicologico insito nella partitura stessa; c’è un’umanità, una ricerca delle debolezze, degli abissi, degli squarci esistenziali che investono, e qui è veramente la sfida più grande, un côté che inevitabilmente deve essere ricercato non solo nelle note, nel segno dato dal pentagramma, ma tra di esse. Con la sua lettura, Ksenia Milas in fondo non sfida i Capricci, ma li insegue, li rintraccia, li delinea, li descrive, li enuncia; da qui la dimensione umana, entrando in piena empatia con lo strumento utilizzato da Paganini, quasi si fosse creato un rapporto psicometrico con il violino stesso, il quale, nella sua assoluta unicità, apre diverse porte, spiana la strada attraverso una potenza sonora che risulta essere però sempre equilibrata, mai muscolare fine a se stessa. La disciplina che domina l’entusiasmo, la forma che non si fa sopraffare dal contenuto tecnico, dando così luogo a un’interpretazione nella quale la commozione, il ricordo dell’uomo Paganini fanno il loro emozionante ingresso, racchiusi idealmente dalla decisione dell’artista russa di dare vita a un vero e proprio recital concertistico, per far rivivere la dimensione ultima a cui mira la visione musicale ed esistenziale del genio genovese. Esaltante.
A completare l’unicità di questa registrazione, ci ha pensato sua maestà Michael Seberich, il quale con la sua bacchetta magica ha trasformato i files del master in una prova di erudizione audiofila. Premetto che quanto sto per spiegare necessita, nella sua realizzazione di ascolto, di un impianto audio all’altezza della situazione. Questo perché solo con un’attrezzatura di riproduzione adeguata si possono cogliere le qualità insite nella presa del suono. Cominciamo dalla dinamica, la cui energia, potenza nucleare riescono a rendere perfettamente l’esplosività del “Sivori”, ma questo non limita o, peggio, esclude la presenza di un’ammirevole microdinamica, che si coglie esemplarmente quando Ksenia Milas attacca con l’archetto sulle corde del violino, evidenziando quel principio timbrico che quasi mai, in una presa del suono, si avverte, ossia l’attrito che si sprigiona tra il primo e le seconde. Si coglie da qui, lo sforzo fisico dell’interprete, la sua capacità nel disciplinare il suono, di domarlo, di indirizzarlo, di dargli la corretta forma. Passiamo al palcoscenico sonoro: il riverbero che si avverte, mai fastidioso o, peggio, innaturale, ha il grande merito di restituire quella indispensabile spazialità che permette di collocare idealmente l’artista e lo strumento all’interno dell’ambito fisico della Sala Tursi. Quindi, entrambi sono posti in un miracolo di equilibrio dato da una profondità che focalizza Ksenia Milas a una distanza che è sempre perfettamente percepibile, straordinariamente messa a fuoco (e qui subentra il parametro del dettaglio, realizzato con l’apporto di innumerevoli TIR che hanno versato tonnellate di nero intorno all’interprete e allo strumento, con una matericità che raramente ho potuto tastare in una registrazione per solo violino). Infine, l’equilibrio tonale: la corretta enunciazione degli armonici, a dir poco preziosi con un siffatto strumento “storico”, è prodigiosa; non si perde una sola oncia nel rapporto perfetto tra registro medio-acuto (quest’ultimo è reso con un nitore tale da mettere a dura prova i tweeter, che devono quindi essere di ottimo livello) e quello medio-grave, grazie a una trasparenza timbrica che proietta magicamente il violino al centro dei diffusori (e questo si avverte anche ad un ascolto effettuato con le cuffie). Capolavoro.
Andrea Bedetti
Nicolò Paganini – 24+ 24 Caprices op. 1 – 4 New Studies
Ksenia Milas (violino)
2CD Da Vinci Classics C00491