La storia del liuto nel corso del XVII secolo è la proiezione di un progressivo tramonto di questo strumento, un tramonto che nel vecchio continente avviene non certo in modo repentino e generalizzato ma temporalmente, se così può essere definito, a “macchia di leopardo”. Il primo Paese in cui questo strumento a corde vede declinare la sua popolarità e importanza fu l’Italia, anche se stemperate dal formidabile apporto di Giovanni Girolamo Kapsberger. La stessa cosa avvenne in terra di Spagna dove, come d’altronde nel nostro Paese, il liuto perse progressivamente il predominio a vantaggio di altri strumenti, come quelli a tastiera, a cominciare dal clavicembalo o, tanto per restare nel Paese iberico, la chitarra barocca, capaci di incarnare e rappresentare meglio le nuove esigenze compositive ed espressive della musica del tempo.
Al contrario, in Francia i primi tre decenni del Seicento rappresentarono una sorta di “età d’oro” per questo strumento, grazie a musicisti come Ennemond Gaultier, Charles Mouton, René Mesangeau, Robert de Visée e Jacques Gallot. Lo stesso avvenne anche in Inghilterra, dove il liuto fu scoperto relativamente tardi e acquisì una grande popolarità grazie alle stupefacenti composizioni di John Dowland che si fissano tra la fine del Cinquecento e i primissimi anni del secolo successivo. L’ultimo paese che vide il liuto assurgere ancora a un ruolo di protagonista, prima che iniziasse l’irreversibile parabola discendente, fu la Germania, dove un compositore quale Sylvius Leopold Weiss riuscì a mantenere una produzione di altissimo livello con un catalogo a dir poco prodigioso spalmato su oltre mille pagine dedicate a questo strumento, che permisero al liuto di mantenere in terra tedesca un ruolo di assoluto rilievo fino alla fine della prima metà del Settecento (non dimentichiamo che Weiss morì nel 1750, ossia lo stesso anno del sommo Kantor e che quest’ultimo fu proprio il depositario titanico delle due Suites da lui dedicate al liuto, oltre a quel meraviglioso arioso incastonato nella Johannes Passion).
Ma l’Untergang che vide il liuto in terra tedesca fu arricchito anche da altri autori, tra cui tre di loro, vale a dire Bernhard Joachim Hagen, Ernst Gottlieb Baron e Adam Falckenhagen, sono stati scelsi dal liutista Alberto Crugnola per registrare il CD intitolato Lauten Galanterie pubblicato dalla casa discografica NovAntiqua Records. Le pagine scelte dal musicista varesino sono la Partita II in si bemolle maggiore e la Partita V in la maggiore tratte dalle Sei Partite a liuto solo, op. 2 di Falckenhagen, la Sonata in si bemolle maggiore e la Sonata in fa maggiore di Hagen e la Sonata in sol minore di Baron (di quest’ultimo, come bonus track, può essere scaricata da Internet anche la Sonata in sol maggiore), tutte all’insegna, come ricorda giustamente lo stesso interprete nelle note di accompagnamento, di quello stile musicale “galante” che contraddistinse la prima metà del XVIII secolo. Uno stile, è bene ricordarlo anche per inquadrare meglio gli autori e le opere presenti in questa registrazione, che volle essere non solo una forma di reazione rispetto alla “complessità” incarnata da quel Barocco votato alla proiezione polifonica, ma un ritorno alla forma primigenia del suono, a un’omofonia in grado di riproporre un tessuto squisitamente melodico, teso a restituire l’immediatezza di un sentimento, di un’emozione, di un fissare la bellezza attraverso un processo che non era più strutturalmente mediato. Quindi, la possibilità di assimilare im-mediatamente l’essenza, la visione, la percezione della linea espressiva e di cui furono gli artefici compositori quali Johann Adolf Hasse, i figli del Kantor Wilhelm Friedemann Bach e Carl Philipp Emanuel Bach e, soprattutto, Johann Stamitz, i quali, come scrive giustamente lo stesso Crugnola, furono i precursori di quella “modernità” che dapprima fu alimentata dalla Scuola di Vienna e poi dal furore instabile del Romanticismo. Una semplicità che si trasfigurò, nel giro di quarant’anni, in una nuova e poliedrica complessità, capace di investire non solo la musica ma tutta la sfera artistica e culturale del vecchio continente.
Tutto ciò dev’essere riconsiderato alla luce anagrafica degli autori presi qui in esame, con Falckenhagen che muore nel 1754, Baron nel 1760 e Hagen, addirittura, nel 1787, dopo essere nato nel 1720, quindi, non più figlio del secolo precedente, al punto da poter (falsamente) considerare le opere in questione reperti di un’archeologia musicale sopravvissuta a se stessa. In realtà, proprio attraverso uno strumento quale il liuto lo stile galante, capace di riportare la melodiosità a un piano di preminente realizzazione sonora, fu in grado di esprimere la compiutezza di una visione del mondo che stava per scomparire e con il esso proprio il Laute, figlio di un’epoca che non era più in grado di affrontare e sostenere le nuove irruzioni sociali, economiche e culturali, tese a comunicare con una nuova lingua. Restava solo l’immagine di un’imperitura idea di bellezza e, soprattutto, di come poteva essere rappresentata, se non con l’arte del porgere, dell’offrire, del rendere attraverso un suono semplice, ma ricercato, raffinato. Ed è proprio quanto accade con le opere qui registrate, tutte riconducibili a tale idea di “galanteria”, ennesima riproposizione ciclica di quel Welt von Gestern, che chiude una porta, quella del Barocco classico, prima di aprire quella di una modernità che avrà diversi volti e plurime voci.
Da quanto si è accennato, si può comprendere bene quanto sia di fondamentale importanza la lettura che dev’essere proposta dall’interprete che propone tale tipo di musica o, per meglio dire, di raffigurazione musicale. Cosa che Alberto Crugnola riesce a fare in modo davvero convincente, poiché qui si tratta di “porgere”, ossia arricchire senza tradire, tratteggiare senza appesantire, delineare senza gravare. Quindi, gli abbellimenti, le rese timbriche, le temporalità agogiche e le spazialità armoniche sono resi dal liutista varesino con un sottile velo di “preziosità”, il che non significa che tale velo abbia un’azione coprente, offuscante, ma al contrario capace di “lucidare” la tessitura offerta da queste pagine. Ciò significa che Crugnola è stato capace di rendere al meglio l’intrinseca musicalità che si annida in queste Sonate e Partite, estrapolando non solo le linee evidenziate nella loro essenza armonica, ma andando a scavare nella loro ombra, illuminandole, solleticandole timbricamente, restituendole la loro lucentezza; un’operazione, questa, fondamentale onde evitare di banalizzare una tessitura di per sé semplice (non semplicistica!).
Di ottima levatura anche la presa del suono effettuata a Modena da Sigrid Lee; la dinamica riesce a restituire, grazie alla velocità dei transienti, la bellezza del suono dello strumento (si tratta, per la precisione, di un liuto barocco Weigert a tredici cori, copia di un Hendrik Hasenfuss Eitorf, realizzato nel 2006), mentre il palcoscenico sonoro ricostruisce idealmente nello spazio Alberto Crugnola e il suo strumento, anche se posti leggermente avanzati, senza però risultare scorretti. Anche l’equilibrio tonale e il dettaglio sono allo stesso livello, permettendo un ascolto tecnicamente valido e stimolante.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Lauten Galanterie
Alberto Crugnola (liuto)
CD NovAntiqua NA38
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5