Abbiamo intervistato Rosa Scapin, responsabile del festival OperaEstate, la cui quarantunesima edizione prenderà il via il 17 luglio 2021, per capire com'è cambiato questo ruolo dopo la tragedia del COVID-19
Che cosa significa per un direttore artistico dare vita a un festival musicale prima e dopo la pandemia? Che cosa è cambiato? E dopo il COVID-19 che cosa non ci sarà più e invece che cosa ci sarà di nuovo e di diverso nel mondo della musica e dell’arte?
OperaEstate Festival ha celebrato con la scorsa edizione del 2020 i suoi primi 40 anni di attività. In un anno particolare che ha consentito pochi festeggiamenti ma che, anche grazie al periodo estivo in cui il festival normalmente è programmato, si è realizzato nella sua programmazione originaria quasi al completo. Sono andati regolarmente in scena sessanta spettacoli dal vivo per centouno recite, e un palinsesto on line, ricco di contenuti e approfondimenti. Debutti, prime nazionali, co-produzioni, studi, processi creativi, si sono susseguiti nei vari spazi individuati dal Festival, sia a Bassano che nelle città palcoscenico. Un denso programma che si rinnova anche quest’anno e che coniuga grandi nomi della Danza, del Teatro e della Musica (il nostro è infatti un festival multidisciplinare), insieme con tanti giovani artisti, dando un segnale forte di sostegno a uno fra i settori più colpiti dalla pandemia. Il tutto senza mai venire meno a tutte le regole vigenti in merito a: distanziamento, protezione, informazione, che ci consentirà, come già nella scorsa estate, di sviluppare in serenità tutto il programma. Nel frattempo non si è mai fermata l’intensa attività di networking da tempo attivata dal festival con i molti soggetti delle reti partecipate sia a livello nazionale che transnazionale, condividendo l’inaspettata e terribile contingenza, ma attivando anche numerose pratiche alternative per non fermare il pensiero e la ricerca, il sostegno agli artisti e al loro lavoro, la relazione con le comunità nate e consolidatesi attorno al festival e alle sue progettazioni.
Cosa è cambiato dunque e cosa ci sarà di nuovo e di diverso nell’era post covid? Si è senz’altro rivelata l’estrema fragilità del settore, facendo emergere in drammatica evidenza la sua precarietà, ma facendo anche nascere riflessioni e proposte per riformare il sistema, che speriamo possano avere seguito e concretezza. La lunga interruzione degli spettacoli dal vivo ha però anche generato un’accelerazione nell’esplorazione e nell’utilizzo delle nuove tecnologie per rimanere connessi con il pubblico, con le scene artistiche, con gli operatori, originando in molti casi uno straordinario sviluppo della potenziale platea di audience. Il nostro festival rispetto a questo ha cercato di capitalizzare e fare sintesi della sua storia e della sua identità, rilanciando sul futuro, attraverso pratiche artistiche che hanno un impatto generativo sulla vita delle persone, ponendosi il problema della “responsabilità” verso gli artisti con i quali, in molti casi, ci siamo impegnati a ripensare e ri-progettare nuovi processi per dare forma alle nuove creazioni. Il futuro potrebbe nascere da qui: nuova responsabilità da parte delle governance a tutti i livelli per contrastare le emergenze del sistema, e sviluppo nell’utilizzo delle nuove tecnologie sia per rimanere connessi, sviluppare, coinvolgere nuovi pubblici e sia per nuove creazioni che utilizzino in modo creativo le più innovative applicazioni.
Come sempre, anche il cartellone di quest’anno di OperaEstate è a dir poco ricco e variegato. Come viene scelto, per ogni edizione, il tema conduttore, il denominatore comune (che nel 2021 è quello delle Ecologie del presente)? E, a tale proposito, perché per l’edizione di quest’anno è stato scelto proprio questo tema?
Normalmente, seguendo anche la programmazione ministeriale, i temi delle edizioni del festival vengono individuati ogni triennio in modo da avere un tempo adeguato per svilupparli. Questo è però ancora un anno particolare e il tema 2021 ci è stato suggerito proprio da questo tempo, da quello appena vissuto e da quello che vorremmo vivere da ora in poi. Da un tempo quindi che ci ha visto isolati ma che non ha fermato creatività e impegno di artisti e operatori, nella ricerca di innovative forme di esplorazione e narrazione di questo nuovo presente, e di alternative a un futuro che sembra indecifrabile. E proprio per cercare di immaginare quel futuro, ci siamo soffermati su un presente che registra uno scollamento rovinoso tra Umanità e Natura, che genera conflitti e tensioni e lo ipoteca pesantemente, il futuro. Per questo, la dedica nostra e con gran parte degli artisti invitati, alle Ecologie del presente, indagando le relazioni tra umanità e natura, tra umanità e scienze, tra gli umani, cercando - attraverso la forza dei linguaggi artistici - riflessione e ispirazione per un futuro più centrato sul benessere individuale e collettivo. Scegliendo di esplorarle, le Ecologie del presente, di raccontarle, per immaginare nuove vie e nuove vite anche per la pluralità di ecosistemi con cui il Festival è in dialogo. Un dialogo rimasto sempre attivo, anche in questi lunghi mesi, con le diverse comunità di partner, cittadini, artisti, operatori, convinti che la cura della relazione sia l’irrinunciabile punto di partenza.
La sua esperienza di direttrice artistica le permette di capire che cosa bisogna fare affinché un festival o una rassegna musicale possano avere successo e durata nel tempo. Per quanto riguarda OperaEstate quali sono le prerogative, le necessità da soddisfare, gli obiettivi da raggiungere in modo che tale manifestazione duri nel tempo, tenuto conto che quest’anno festeggia la quarantunesima edizione?
Un elemento che accomuna tutti i festival è quello della durata limitata nel tempo, nel suo “mostrare” e dove, fino a non molto tempo fa (anche se per alcuni è ancora un format valido), alla fine si ringraziava e ci si palesava alla presentazione dell’anno dopo (fatto salvo il lavoro dei selezionatori di quanto da “mostrare”). Ora è invece ormai condiviso che tutto ciò non risponde più all’evoluzione del “centro” di un progetto festival, sia rispetto alla domanda che all’offerta. Inevitabile allora il passaggio dalla “contingenza” verso una “permanenza” che consenta di sviluppare pratiche plurime attinenti sia alla produzione artistica e al suo sostegno che all’audience, sia alla vivificazione territoriale che allo sviluppo di network, di collaborazioni e scambio di buone pratiche, di incontro ai più diversi livelli, dal locale al transnazionale. Credo che tutto questo attenga proprio alla funzione di un festival oggi: naturalmente con le dovute variazioni che suggeriscono i diversi territori e le diverse vocazioni. Anche OperaEstate ha da tempo confermato questa vocazione, coltivando la complessità e la formazione di una nuova domanda e di una nuova offerta. Con una consapevole attenzione verso il pubblico e verso la produzione artistica declinata in diverse modalità: dalle residenze alla formazione, dai sostegni produttivi al supporto alla mobilità, dall’inserimento in progettazioni europee, a nuove commissioni. Lavorando al raggiungimento di una reputazione extra-locale, con progettazioni aperte sulla scena creativa europea ed extraeuropea, partecipando e sollecitando network e collaborazioni con teatri, festival, centri, istituzioni nazionali e internazionali. Impegnandosi anche nella valorizzazione del territorio e promuovendo interventi di riqualificazione urbana, rigenerando, creando o semplicemente abitando nuovi spazi per vivere la cultura e lo spettacolo.
Tra i tanti artisti, compagnie ed ensemble musicali che quest’anno daranno vita a OperaEstate quali l’hanno particolarmente colpita in rapporto alle opere di cui saranno i protagonisti?
È sempre difficile scegliere tra quanto si propone, per questo dirò soprattutto del progetto che vede virtuosi intrecci tra musica e teatro, soprattutto per le celebrazioni dantesche. Come nella nuova produzione che vede in dialogo la compagnia Anagoor - Leone d’argento 2018 - con l’Orchestra di Padova e del Veneto (2 settembre) diretta da Marco Angius, a cui si deve anche l’idea del progetto: una originale restituzione de Il Paradiso di Dante, caposaldo della riflessione musicale di Salvatore Sciarrino sulla Commedia, dove lo spettatore è invitato al centro di una camera acustica disegnata e agita da Anagoor. Altro omaggio a Dante, con il drammaturgo e storyteller Luca Scarlini e i musicisti Ernesto Campagnaro, violino, Fabio Pupillo, flauto e Alberto Mesirca, chitarra. Tre appuntamenti con La mirabile visione, dedicati alla relazione tra la Commedia dantesca e le arti figurative: nel suo tempo, nel rinascimento e nell’arte contemporanea (6,7,14 agosto). Altro progetto a cui teniamo molto è quello dedicato ai Giovani Talenti della grande classica: dal giovanissimo violinista Giovanni Andrea Zanon, protagonista di un concerto con musiche di Beethoven, Franck e Ravel (23 luglio), anche impegnato nel presentare tre speciali concerti dedicati ad altri talenti emergenti (5-10-17 agosto). Tutti under 30, tutti già premiati in importanti concorsi internazionali e già acclamati in prestigiose sale da concerto: dal pianista goriziano Alexander Gadjiev, al quartetto formato da Riccardo Porrovecchio violino, Claudio Laureti viola, Raffaella Cardaropoli violoncello, Leonora Armellini pianoforte e il trio con Vikram Francesco Sedona violino, Luca Giovannini violoncello, Alberto Ferro pianoforte. Senza dimenticare il doppio appuntamento con l’opera, con un concerto lirico di arie e duetti da celebri opere con artisti di vaglia come il soprano Francesca Dotto, il tenore Enea Scala, il baritono Lucio Gallo, il basso Roberto Scandiuzzi e il mezzosoprano Veronica Simeoni, accompagnati dall’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Silvia Casarin Rizzolo (8 agosto). Oltre alla nuova produzione del Don Pasquale di Gaetano Donizetti, (8 e 10 ottobre) che chiude la lunga edizione del Festival, con i giovani artisti emergenti dal 50° Concorso internazionale per Cantanti Toti Dal Monte, in coproduzione con i Teatri di Treviso Padova e Rovigo. Da non perdere, infine il grande evento musicale per l’occasione della cerimonia ufficiale di restituzione del Ponte Degli Alpini, con l’esecuzione di due celebri suite di Händel composte per altrettante feste e celebrazioni: Musica sull’acqua e Musica per i reali fuochi d’artificio, (3 ottobre) con l’Orchestra di Padova e del Veneto accompagnata proprio da un eccezionale spettacolo di fuochi d’artificio, lanciati a suon di musica da piattaforme sul Brenta, ad illuminare la bellezza del ritrovato Ponte.
Un’ultima domanda: dopo più di quattro decenni di vita, c’è ancora uno o più aspetti che devono essere migliorati o immessi in una manifestazione come OperaEstate?
Potrei fare un elenco infinito, con tutti i miei colleghi impegnati nella realizzazione del festival, è un continuo confrontarsi su nuove progettazioni, su nuove proposte condivise anche con le molte reti e i molti partner con i quali i rapporti sono pressoché quotidiani. E continuamente monitoriamo sia le relazioni con gli artisti che con il pubblico per valutare impatto e ricadute dei progetti che li coinvolgono. Quindi confermo che non si finisce mai né di migliorare né di innovare, un impegno e una sfida nella quale siamo impegnati senza sosta.
Andrea Bedetti