Sergio Marchegiani forma con Marco Schiavo uno dei duo pianistici più famosi al mondo. Con la Decca hanno intrapreso la registrazione dell’integrale delle opere mozartiane dedicate a questo genere musicale. Ne abbiamo parlato con lui in questa intervista, nella quale il pianista piemontese dispensa anche dei consigli a chi voglia intraprendere questa particolare forma di esecuzione cameristica

Maestro Marchegiani, lei e il Maestro Schiavo, a livello discografico, avete intrapreso un sentiero che dapprima vi ha permesso di esplorare la musica a quattro mani di Schubert, per poi passare alle Danze di Brahms, approdare in seguito ai concerti di Mozart e Kozeluch, fino al primo disco dedicato all’integrale delle Sonate sempre del divino salisburghese. C’è un filo unitario che unisce tutti queste tappe discografiche oppure vi siete fatti guidare dall’interesse emotivo e speculativo del momento?

L’obiettivo che ci siamo posti in campo discografico è quello di esplorare in maniera graduale ma sistematica il repertorio per duo pianistico. Naturalmente la vastità e l’eterogeneità di tale repertorio impongono delle scelte e qui entrano in gioco le affinità, i gusti personali: i titoli che lei ha elencato credo raccontino la nostra predilezione per gli autori di area tedesca.

Il pianista piemontese Sergio Marchegiani che con Marco Schiavo forma un duo di fama mondiale.

Entrando nel merito dell’integrale mozartiana in corso, studiando le partiture delle composizioni che fanno parte di questo genere, che cosa vi ha colpito in modo particolare? Come si pongono le Sonate del genio salisburghese rispetto a quelle coeve di altri autori?

Mozart è il primo autore che io e Marco abbiamo suonato insieme. Nell’agosto del 2006 ci proposero di eseguire in Spagna il magnifico Concerto per due pianoforti e orchestra K. 365: allora ci conoscevamo già ma non avevamo mai suonato insieme. Quel concerto fu, perciò, l’occasione che portò alla nascita del nostro duo. Anche per questo motivo siamo molto legati al genio salisburghese e - dopo il CD contenente i Concerti per due pianoforti K. 365 e K. 242 registrati a Londra con la Royal Philharmonic Orchestra nel 2019 - abbiamo deciso di affrontare l’integrale delle sue opere per pianoforte a quattro mani. Mozart non è stato il primo a scrivere Sonate per pianoforte a quattro mani (sebbene in una lettera del 1765, poi risultata falsa, il padre Leopold rivendicasse tale primato): prima di lui Sammartini, Jommelli e Johann Christian Bach avevano composto brani per questa formazione. Mozart, però, è stato il primo grande compositore a scrivere sistematicamente per pianoforte a quattro mani e lo fece in diversi periodi della vita; inutile dire che anche in questo campo raggiunse risultati senza precedenti, lasciandoci capolavori che sono pietre miliari nella letteratura per questa formazione. Si tratta di un repertorio che richiede un affiatamento e una profonda complicità tra i due interpreti, un dialogo serrato e continuo. Anche la dimensione del gioco, talvolta dello scherzo, e un certo gusto per l’improvvisazione sono indispensabili: in fondo, molte di queste composizioni sono nate per esecuzioni domestiche nelle quali Mozart era affiancato dall’amata sorella Nannerl. Nel lungo lavoro che ha preceduto la registrazione del CD abbiamo cercato di concentrarci su questi aspetti e tutto sommato è stato piuttosto naturale perché il sorriso e la gioia di fare musica insieme sono elementi che caratterizzano da sempre il nostro modo affrontare lo studio, i concerti e i viaggi in giro per il mondo. Poi, naturalmente, in queste opere ci sono le caratteristiche che contraddistinguono tutta la musica di Mozart, un’autentica sfida per ogni interprete: la chiarezza, l’equilibrio tra le parti, la trasparenza, la limpidezza dell’enunciazione. In Mozart tutto è essenziale, non c’è alcuna possibilità di nascondersi o di imbrogliare.

La cover del CD Decca che vede il duo Marco Schiavo & Sergio Marchegiani presentare l'integrale delle opere pianistiche a quattro mani di Mozart.

Quando si concluderà questa integrale e avete già in mente quale potrebbe essere la vostra successiva tappa discografica?

Il completamento di questa integrale è previsto entro la fine del 2022. Sulla prossima tappa discografica abbiamo un’idea precisa ma si tratta di un progetto piuttosto complesso e prima di annunciarlo credo sia opportuno avere qualche certezza in più.

Marco Schiavo & Sergio Marchegiani suonano insieme da quindici anni.

Di fronte a un giovane interprete che vorrebbe specializzarsi con un collega nel pianismo a quattro mani, lei quali consigli gli darebbe? Quali sono le doti, le qualità ineludibili richieste per affrontare e svolgere al meglio questo particolare tipo di interpretazione pianistica?

Direi che le doti principali, come in tutta la musica da camera, sono la capacità di ascolto, la disponibilità, il desiderio di confrontarsi con l’altro o l’altra per costruire un’interpretazione condivisa. Il duo pianistico a quattro mani, oltre a ciò, comporta una serie di difficoltà specifiche (l’insieme, l’attacco del tasto e l’articolazione, la pedalizzazione, la gestione di uno spazio ridotto sulla tastiera) che richiedono un lavoro d’insieme lungo e paziente. Il mio consiglio è innanzitutto di scegliersi un collega o una collega con cui si va molto d’accordo. La sintonia, l’amicizia e l’allegria credo siano un punto di partenza irrinunciabile per affrontare il lungo e appassionante percorso che porta due persone che semplicemente “suonano insieme” a diventare due persone che “fanno musica insieme”. L’altro consiglio che mi sento di dare è di non sottovalutare le difficoltà e le grandi possibilità che questa formazione offre. Alcuni lo considerano un repertorio minore e meno impegnativo: un errore esiziale che non può che condurre a risultati mediocri. Il repertorio per pianoforte a quattro mani, originale o trascritto, è sterminato, presenta tantissimi capolavori pieni di ostacoli e costituisce una vera sfida per chi voglia affrontarlo in modo serio e professionale. Dopo quindici anni di lavoro in duo io e Marco ci conosciamo talmente bene che finiamo spesso per anticipare le intenzioni uno dell’altro. Capita anche in concerto, magari in un brano che suoniamo da tanto tempo: un’idea nuova nasce lì sul momento e l’altro la asseconda immediatamente senza scompensi, problemi di equilibrio o d’insieme. È un modo di fare musica davvero molto gratificante.

Andrea Bedetti