Ciò che contraddistingue, come ben sappiamo, la concezione musicale di Chopin, e la conseguente espressività, è il suo irrinunciabile intimismo, il suo desiderio di enunciare descrivendo, più che ribadendo (il ribadire, il declamare apertamente, anche da un punto di vista timbrico, appartiene maggiormente al mondo di Liszt). E questo può valere anche per i due giovanili concerti per pianoforte e orchestra che Chopin compose tra il 1829 e il 1830. Concerti che ebbero una genesi del “passo dopo passo”, come intende dimostrare il pianista franco-americano David Lively che, con il Quatuor Cambini-Paris e il contrabbassista Thomas de Pierrefeu, ha voluto registrare i due concerti chopiniani in una suggestiva e particolare versione cameristica per l’etichetta discografica Aparté.

L’approccio della scrittura “passo dopo passo” è una costante del Chopin musicista, sempre molto attento nel preparare e confezionare ogni sua pagina compositiva e che si applica in modo peculiare proprio nei due concerti in questione, il secondo in fa minore op. 21 che risale al 1829, e il primo in mi minore op. 11 composto un anno dopo (anche se poi a livello di pubblicazione e di catalogazione risulteranno invertiti), opere che avrebbero dovuto essere altrettanti “biglietti da visita” che il ventenne musicista polacco voleva utilizzare per farsi conoscere al di fuori dei confini del proprio Paese (contrariamente a ciò che si può credere, Chopin fu un attento e scrupoloso fautore della propria immagine). E il processo di composizione del “passo dopo passo” prevedeva dapprima la sola scrittura della linea pianistica, sulla quale poi il musicista aggiungeva quella che riguardava i soli archi e, da ultimo, l’inserimento delle altre sezioni orchestrali.

Ed è proprio partendo da questa “scrittura in progressione” che David Lively ha voluto proporre, ricorrendo non a un pianoforte Pleyel, ma a un Érard (scelta alquanto particolare, tenendo conto di quanto Chopin amasse i pianoforti Pleyel), una lettura in cui lo strumento a tastiera viene accompagnato da un quintetto formato da un canonico quartetto per archi al quale si aggiunge la presenza del contrabbasso in modo da garantire la presenza e il timbro del registro più grave. Ma la scelta del musicista franco-americano non si basa solo su una connotazione musicologica, ma anche su una realtà storica, nel senso che quando Chopin giunse a Parigi nel 1831, un conoscente ungherese, che desiderava essere al suo servizio in qualità di “agente artistico”, gli propose di eseguire i due concerti in chiave cameristica accompagnandosi con nove strumenti ad arco, vale a dire due quartetti per archi con l’aggiunta di un contrabbasso. In realtà, non si ha conferma che questo tipo di esecuzione ci sia realmente mai stata, anche per via di inevitabili problemi riguardanti l’intonazione e la resa timbrica. E allo stesso tempo non si deve scordare che una versione in chiave cameristica risulta presente nel listino delle partiture di questi due concerti, anche se le copie riguardanti tale versione non sono giunte fino a noi.

Confortato da tali ragguagli storici, David Lively, il Quatuor Cambini-Paris e Thomas de Pierrefeu hanno quindi voluto dare vita alla registrazione di questi concerti nella riduzione per pianoforte e quintetto per archi (e da qui la scelta del pianoforte Érard risiede proprio nella possibilità di fornire un maggior equilibrio timbrico con gli archi, confidando su una meccanica più veloce e su armonici più brevi e secchi rispetto a quelli del Pleyel). Il risultato ottenuto merita alcune considerazioni con le quali si può avvalorare questo tipo di operazione interpretativa.

Un momento della registrazione dei due concerti chopiniani.

La prima osservazione riguarda la resa timbrica, che privilegia il concerto in mi minore rispetto a quello in fa minore; questo perché l’orchestrazione del concerto n. 1 è più elementare (contrariamente a quanto afferma David Lively, appartengo a quella schiera di critici che ha sempre rimarcato la debolezza dell’accompagnamento orchestrale in tale senso), quindi più semplice da applicare in una riduzione cameristica (a tale riguardo, il pianoforte non si limita a enunciare solo la linea solistica, ma eredita anche la sezione dei fiati), mentre è resa meno vivida, meno “completa” nell’esecuzione del secondo concerto, in cui la dimensione dinamica e la proiezione strumentale risultano essere meno efficaci. Questo, però, non significa che vi sia mancanza di fascino, di coinvolgimento di ascolto, in quanto l’essenzialità armonica e melodica di queste letture ha indubbiamente il merito di portare alla luce, di far affiorare le strutture portanti di entrambe le opere, permettendo all’ascoltatore di apprezzare non solo la dimensione architettonica a livello implosivo, ma anche evidenziando proprio quell’“intimismo”, quella concezione votata alla penombra così tipica della musica chopiniana (quest’immagine viene resa fotograficamente perfetta da uno scatto effettuato durante la fase di registrazione, che mostra gli interpreti immersi in una luce fioca, crepuscolare, data solo dai candelabri).

La lettura fatta dagli interpreti concorre alla riuscita di questa registrazione, perché se da una parte David Lively confeziona un suono che non è solo aderente allo spirito chopiniano, ma anche attento a non soverchiare la linea timbrica degli archi, restituendo un pianismo che trasuda passione senza però tradire una forma, una linea che non dev’essere mai superata onde evitare di tradire l’ésprit eminentemente cameristico delle due composizioni, dall’altra i componenti del Quatuor Cambini-Paris (per l’esattezza Julien Chauvin che suona un violino Rocca del 1839, Karine Crocquenoy con un violino Pressenda del 1841, Pierre-Éric Nimlowycz che suona una viola Rocca del 1855 e Atsushi Sakaï con un violoncello Guadagnini del 1881) e il contrabbassista Thomas de Pierrefeu (il suo strumento è di scuola ungherese e risale a metà Ottocento) sono semplicemente perfetti nel proporre un suono in cui i tipici connotati cameristici si uniscono a una dimensione “micro-orchestrale”, dando vita a un sottilissimo equilibrio formale-timbrico di rara bellezza e di profonda intensità.

Decisamente ragguardevole la presa del suono effettuata da Ken Yoshida, capace di riproporre all’ascolto un più che adeguato palcoscenico sonoro, in cui la ricostruzione degli interpreti è spazialmente impeccabile, oltre a risultare squisitamente tridimensionale. La dinamica (e, parallelamente, la microdinamica) è velocissima ed esente da possibili enfasi timbriche (gli armonici del pianoforte Érard sono eccezionali), così come il dettaglio, che ripropone tutta la matericità di questi splendidi strumenti, e l’equilibrio tonale, sempre perfetto nel rispetto dei registri, senza che il pianoforte e gli archi tendano a sovrapporsi o ad annullarsi vicendevolmente sia nei ppp, sia nei fff.

Andrea Bedetti

Fryderyk Chopin – Concertos for Piano & String Quintet

David Lively (pianoforte) – Quatuor Cambini-Paris – Thomas de Pierrefeu (contrabbasso)

CD Aparté AP204

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 5/5