Negli ultimissimi decenni si è assistito a un fenomeno apparentemente curioso che ha contraddistinto il panorama della musica contemporanea attuale, vale a dire un sempre maggior interesse da parte di compositori e interpreti nei confronti di un linguaggio musicale teso a riscoprire o, per meglio dire, a riproporre stilemi e grammatiche appartenenti a un lontano passato, in barba alla negazione e al ripudio effettuato dalla musica del secondo Novecento nei riguardi del sistema tonale, bandito ed estromesso, tanto per fare un esempio, dalle avanguardie che diedero vita alla Scuola di Darmstadt.

Se dapprima a essere coinvolto in questa operazione di rilancio è stato un certo linguaggio “neoromantico”, teso a riavvicinare un pubblico, soprattutto quello nostrano, disorientato e incapace di assimilare e accettare quanto proposto a partire dal post-serialismo schönberghiano, negli ultimissimi tempi a farla da padrone, almeno per ciò che riguarda il recupero di un linguaggio che presentasse la confortante presenza della linea melodica, è la ricerca fatta da alcuni compositori e la piena adesione da parte di alcuni interpreti nei confronti della musica barocca, la quale non viene soltanto presa in esame eseguendone le grandi pagine scritte da Bach, Händel, Vivaldi, Telemann e degli altri sommi musicisti di quell’epoca, ma creando ex novo opere e partiture capaci di riproporre in chiave più o meno attuale lo stesso tipo di linguaggio.

Operazioni del genere, per come la penso, rischiano di generare degli inciampi e delle inevitabili trappole, a cominciare da quella di finire con lo “scimmiottare” semplicemente quanto fatto nel corso di quella gloriosa epoca, riproponendo absit iniura verbis una sorta di repertorio stile Rondò Veneziano (ve lo ricordate il gruppo musicale lanciato alla fine degli anni Settanta da Gian Piero Reverberi e che coniugava la musica barocca con i ritmi pop e rock?) in ambito però naturalmente più colto.

La registrazione in oggetto rappresenta un esempio di questa attitudine compositiva e vede protagonista la giovane violinista bulgara Kremena Nikolova interpretare tre concerti vivaldiani e altrettanti concerti di compositori contemporanei che hanno voluto scrivere queste loro opere per l’appunto in “stile barocco”. Si tratta, per la precisione, del Concerto per violino in re minore RV248 e di quello in si minore RV387, oltre al Concerto per viola d’amore in re minore RV393 trascritto per violino (e in prima registrazione mondiale con quest’ultimo strumento) di Vivaldi e del Concerto barocco in sol minore di Federico Maria Sardelli, del Concerto barocco in la maggiore di Gianluca Bersanetti e del Concerto barocco in sol maggiore di Anton Martynov; come a dire un ponte lanciato tra passato e presente, fra tre concerti di colui che viene riconosciuto come il più fecondo e geniale compositore barocco italiano e tre compositori di oggi che, volgendo indietro lo sguardo, hanno voluto attingere dal linguaggio musicale di quel periodo per dare vita a una concezione moderna (non modernista) del modo di concepire la musica in chiave barocca.

La stessa Kremena Nikolova è un’entusiasta assertrice nel collegare idealmente le immense risorse musicali del Barocco con le istanze odierne di una musica che non dimentica chi ascolta e che vuole proporre un modo di creazione compositiva votata ad esaltare le qualità interpretative degli esecutori e la volontà di non interrompere un cordone ombelicale con quel passato con il quale si identificano. E non per nulla i concerti di Sardelli, Bersanetti e Martynov, che vengono qui registrati per la prima volta in assoluto, sono tutti dedicati alla stessa giovane violinista bulgara, la quale ormai da diversi anni risiede stabilmente nel nostro Paese, dopo essere stata allieva, tra gli altri, dello stesso Martynov, eccelso violinista, e ora suo principale collaboratore.

Per ciò che riguarda i tre concerti vivaldiani c’è un filo conduttore che parte dallo stesso titolo del compact disc, Violino d’AMore, con quella A e quella M maiuscole che stanno a indicare le iniziali del nome Anna Maria, ossia l’allieva (la “figlia di coro”) prediletta da Antonio Vivaldi all’interno dell’Ospedale della Pietà di Venezia dove venne accolta fin da bambina, divenendo una virtuosa del violino, oltre a suonare molto bene anche la viola d’amore, il violoncello, il liuto, la tiorba, il mandolino e il clavicembalo. Anna Maria divenne addirittura Maestra di coro all’interno dell’orfanotrofio della città lagunare, a testimonianza del fatto che il “prete rosso” aveva colto nel giusto vedendo in lei un’autentica virtuosa, capace di imparare ed interpretare ben trentun concerti (un numero più che considerevole anche per i solisti odierni). E quello di Kremena Nikolova vuole essere un atto d’affetto, di ammirazione nei confronti di Anna Maria (ne conosciamo solo il nome di battesimo), visto che i tre concerti vivaldiani presentati in questo disco furono appunto dedicati dal “prete rosso” proprio alla sua allieva prediletta.

Di questi tre concerti quello in si minore RV387 appare sicuramente il più “moderno”, considerate le sue sfumature dissonantiche che si propongono nell’Allegro iniziale, mentre tutti evidenziano un livello di virtuosismo per la parte solistica che testimonia delle altissime capacità interpretative raggiunte da Anna Maria. Di notevole effetto timbrico è il Largo. Presto del Concerto RV248, capace di ritagliare un momento non solo di alta espressività, ma anche un’alternanza di velocità da renderlo oltremodo virtuosistico nel dominio della forma e dell’intensità dell’emissione.

Per ciò che riguarda invece i tre concerti elaborati da Sardelli, Bersanetti e Martynov è bene precisare subito che non ci troviamo di fronte ad uno “scimmiottare” banalmente l’impronta musicale barocca, ma a delle pagine in cui l’afflato di un’epoca si ripercuote compositivamente e strutturalmente su una dimensione musicale in cui, per così dire, l’ideale barocco si perpetua, divenendo una forma distinta e pienamente autonoma del presente artistico. Se il concerto di Sardelli è un esercizio di stile in cui la forma privilegia la sostanza timbrica tra strumento solista e accompagnamento orchestrale (non dimentichiamo la particolare figura di questo musicista che è anche musicologo ed esperto a livello internazionale della figura e dell’opera di Vivaldi), quello di Bersanetti vanta invece un impatto in cui la chiave attuale del comporre si veste con i panni di un articolato barocchismo che porta il concerto a una sottile ambivalenza passato/presente. Da ultimo, Martynov propone un concerto dalle fattezze più raffinate (e armonicamente più solide), frutto indubbiamente delle sue conoscenze violinistiche e di come si deve scrivere per questo strumento, donando alla composizione un’interessante bilanciatura tra i pesi e i contrappesi timbrici.

La prova interpretativa di Kremena Nikolova è a dir poco maiuscola. La prima considerazione da fare è che si sente chiaramente che il suo violinismo si accorda perfettamente agli stilemi barocchi e, in particolar modo, alla musica vivaldiana. In lei pulsa una sensibilità d’interprete che è empatica con queste opere, permettendo al prezioso Carlo Testore del 1735 che suona di cantare delicatamente nei tempi lenti e di imprimere un virtuosismo in cui racchiude ritmo, sfumature timbriche ed espressive in quelli veloci. Qui non basta solo la solidità tecnica, il dominio dello strumento e la conoscenza di ciò che si deve affrontare a livello di interpretazione, ma c’è bisogno di una qualità ancora più grande, la capacità di esaltare delle opere che si reggono su un delicato equilibrio sonoro, costruite (anche quelle dei tre musicisti attuali) su un rapporto sottilissimo e delicatissimo tra solista e orchestra. È qui che la giovane artista bulgara dimostra il suo essere musicista a tutto tondo, in cui la sicurezza esecutiva non diviene sterile dimostrazione di bravura, ma fonte di una lettura appassionata, sensibile, pregna della migliore tradizione violinistica barocca. Questo lusinghiero risultato Kremena Nikolova lo raggiunge anche grazie all’affiatamento e alla duttilità dimostrati dall’ensemble orchestrale della Vivaldi Society, diretta dalla stessa violinista, che ha dimostrato di essere una formazione compatta, in grado di garantire un suono omogeneo, solido e, allo stesso tempo, delicato e rotondo.

Più che discreta anche la presa del suono anche se la dinamica tende a saturarsi leggermente nei picchi del registro acuto (questo a causa dell’impiego di strumenti originali che sono oltremodo difficili da riprodurre in sede di microfonatura). Il palcoscenico sonoro presenta il violino leggermente e correttamente avanzato, anche se il clavicembalo e la tiorba (e questo vale anche per il dettaglio e l’equilibrio tonale) risultano essere troppo avanzati e presenti a livello di timbro nei momenti d’insieme.

Andrea Bedetti

AA.VV. – Violino d’AMore

Kremena Nikolova (violino) – Vivaldi Society

CD NovAntiqua NA31

Giudizio artistico 4/5

Giudizio tecnico 3/5