Si pensa a Gaetano Donizetti e inevitabilmente viene in mente il Belcanto italiano, il mondo dell’opera, ma ben difficilmente si materializza, riguardo al compositore bergamasco, l’idea del genere cameristico. Questo perché spesso si dimentica che Donizetti compose un corpus di ben diciotto quartetti per archi, di cui la massima parte fu scritta nel corso degli anni giovanili, più esattamente tra il 1816 e il 1819 (quindi, quando il nostro ebbe tra i diciannove e i ventidue anni), insieme con quindici sinfonie, sotto la guida di Simone Mayr e Padre Mattei. Queste pagine cameristiche nacquero per le soirées organizzate ogni settimana a Bergamo presso la dimora di Alessandro Bartoli, un violinista dilettante con la passione per la musica da camera. Quella breve stagione di concerti casalinghi fu di grande importanza per Donizetti, spesso impreziosita dalla presenza dello stesso Mayr, sia come semplice spettatore sia come violista, anche perché il programma generale prese in considerazione le pagine più importanti del grande repertorio quartettistico dell’epoca, al punto che lo stesso Donizetti ebbe modo di affermare in seguito di aver imparato in quel periodo tutti i quartetti di Haydn, Mozart, Reicha e Meyseder, permettendogli di «risparmiare fantasia e condurre un pezzo con poche idee».

Fino a metà Ottocento i quartetti per archi di Donizetti rimasero pressoché sconosciuti all’esterno della cerchia di appassionati di casa Bartoli; poi, grazie all’interessamento di musicisti come Luigi Arditi, Giovanni Bottesini e Antonio Bazzini, cominciarono a girare per l’Europa, lasciando una traccia quasi sempre positiva in tutte le maggiori capitali della produzione musicale strumentale; per esempio, a Parigi, nel 1856, il critico della Revue et Gazette Musicale dedicò ai quartetti donizettiani una recensione entusiastica, affermando tra l’altro: «La scienza musicale vi si mostra dappertutto al pari dell’ispirazione. La connessione delle parti rivela una mano maestra e produce esiti affascinanti. L’armonia è sempre pura ed elevata, senza cessare di essere chiara nei passaggi fugati».

La cover del doppio CD della Urania Records dedicato ai quartetti per archi di Gaetano Donizetti.

D’altra parte, per comprendere meglio il respiro “europeo” dei quartetti donizettiani basterà ricordare come, oltre a vantare uno schema ripartito in quattro movimenti, il primo di questi tempi presenta il modello del primo tempo di sonata ed è di conseguenza il più articolato, il secondo è un lento, il terzo un menuetto veloce (e qui il confronto con gli Scherzi presenti nei quartetti di Beethoven è lampante), mentre l’ultimo riprende spesso l’articolazione del primo tempo.

Ora, la casa discografica Urania Records, con il Quartetto Mitja, ha dato avvio alla registrazione integrale dei diciotto quartetti per archi donizettiani ultimati dall’autore (il repertorio, in tal senso, vede la presenza anche di un quartetto in do maggiore, risalente al 1819-21, di cui manca però l’ultimo tempo, e di un quartetto in la minore, sempre del 1819-21, che risulta incompleto) e di cui è uscito recentemente un doppio CD che presenta sei quartetti, il n. 4 in re maggiore e il n. 5 in mi minore che risalgono al periodo 1817-1818; il n. 8 in si bemolle maggiore del 1819, il n. 13 in la maggiore, il n. 14 in re maggiore e il n. 15 in fa maggiore riconducibili a livello di stesura al 1821. La scelta di non presentare il corpus seguendo l’elemento cronologico, se da un punto di vista non permette di acquisire da parte dell’ascoltatore la debita progressione stilistica e l’evoluzione compositiva delle pagine donizettiane, dall’altro fornisce d’acchito le tematiche e le specifiche di quegli elementi che contraddistinguono il suo distinto approccio al genere cameristico, nel quale l’orma beethoveniana diviene sempre più distinta, senza divenire mai pedissequa e fine a se stessa.

I componenti del Quartetto Mitja, protagonista di questa registrazione.

Chi conosce il Donizetti operista, ma non quello camerista (e sinfonista), potrà restare stupito dalla freschezza, dalla briosità di questi quartetti, dal loro artificio stilistico, anche se non è difficile dedurne ed estrapolarne alcune idee, determinati modi di articolare il costrutto connettivo musicale i quali possono essere individuati anche nelle Ouvertures liriche dell’autore bergamasco. Uno stupore che si associa alla densa lettura effettuata dal giovane Quartetto Mitja (formato da Giorgiana Strazzullo e Pasquale Allegretti Gravina ai violini, Carmine Caniani alla viola e Veronica Fabbri Valenzuela al violoncello), il quale riesce a offrire un’esecuzione capace di rendere al meglio la palpabile elettricità che è insita in queste opere, oltre a manifestare una soggiogante sicurezza espressiva e una lucidità espositiva che appartengono solitamente a formazioni ben più navigate. Se queste sono le premesse e se verranno mantenute anche nelle successive registrazioni del progetto, quella del Quartetto Mitja si candida autorevolmente quale incisione di riferimento.

Baltazar Zúñiga si è occupato della presa del suono, in cui colpisce l’ottima dinamica, energica, pulita, scevra da colori indebiti, che permette al palcoscenico sonoro di ricostruire idealmente i quattro interpreti al centro dello spazio fisico, a una discreta profondità, mentre sia l’equilibrio tonale, sia il dettaglio sono di altrettanta, valida fattura.

Da parte sua, il comasco Francesco Pasquale Ricci (1732-1817) non fu un operista, ma un musicista votato principalmente alla musica strumentale, in particolar modo a quella violinistica, del quale fu anche eccelso interprete, oltre a vantare, soprattutto ai suoi tempi, fama di teorico grazie a un metodo pianistico scritto con il “milanese” Johann Christian Bach, il Metode ou recueil de connaissances élémentaires pour le forte-piano or clavecin (Metodo o collezione di studi elementari per il pianoforte o clavicembalo, risalente al 1786), in cui egli fornì il testo e l’undicesimo figlio del Kantor i brani. Data la sua predisposizione per la musica strumentale, votata soprattutto al repertorio sinfonico e cameristico, Ricci, il quale divenne sacerdote nel 1758 e nominato organista e maestro di cappella della cattedrale comasca, volse lo sguardo artistico al di là delle Alpi ed ebbe modo di toccare con mano l’attività musicale estera grazie a frequenti viaggi e tournées fatte in compagnia con l’amico e violoncellista Franco Zappa in Germania, Belgio, Olanda, Francia e Inghilterra, per risiedere infine all’Aja prima di tornare a Como nel 1780, vuoi per il concomitante scoppio della guerra tra Olanda e Inghilterra, vuoi per le pressioni effettuate dalle autorità del Duomo di Como che lo reclamarono affinché riprendesse le sue funzioni musicali e istituzionali.

La cover del CD Urania Records che presenta i Quartetti per archi di Francesco Pasquale Ricci.

L’ensemble cameristico Alla Maniera Italiana (formato da Giacomo Voletti e Alessandro Pensa ai violini, Clelia Gozzo alla viola, Anna Camporini al violoncello e Giovanni Paganelli al clavicembalo) di questo autore ha registrato, in prima assoluta mondiale, i Sei quartetti op. VIII, composti da Ricci probabilmente nella seconda metà degli  anni Sessanta del XVIII secolo, allorquando il musicista e violinista comasco fu impegnato nell’effettuare il Grand Tour europeo, confrontandosi in tal modo con le realtà compositive dei Paesi in cui si esibì. Questo non impedisce però, come afferma giustamente Vanni Moretto nelle note di accompagnamento alla registrazione fatta dalla Urania Records, che la produzione del compositore comasco rientri in massima parte in una concezione appartenente a una visione sganciata da influssi esterofili, poiché, come si può constatare all’ascolto dei Quartetti op. VIII, Ricci semmai seppe esportare una peculiarità squisitamente italica, quella di intendere, per l’appunto, alla “maniera italiana” lo stile galante che venne a trovarsi, come un vaso di coccio tra vasi di ferro, tra quello Barocco, ormai nella sua fase tramontale, e quello incipiente del Classicismo. Così, alla brillantezza, alla spensieratezza (oggi si direbbe in modo intellettualistico “al disimpegno”), alla deliziosa frivolezza di questo stile, Ricci fu tra coloro che seppero aggiungere una connotazione rappresentata da una melodiosità sorretta da una grazia e da un appropriato ritmo che si possono riscontrare solo nella tipica espressione della scuola italiana.

Un senso ritmico che viene mantenuto vivo, costante, indispensabile dall’apporto del clavicembalo, ineludibile elemento di raccordo e di smistamento armonico per gli altri strumenti, oltre al fatto che questi sei quartetti sono suddivisi nei tre tempi canonici, spesso con il primo movimento rappresentato da un tempo lento introduttivo e da un terzo maggiormente elaborato, suddiviso, tranne che nel quinto, tra un tempo minuetto o lento ed uno veloce. Ascoltando questi brani, si comprende meglio come l’apporto dato dalla componente melodica tenda indubbiamente a vivacizzare, a rendere meno statico il costrutto, permettendo una maggiore elaborazione di base della linea armonica e rendendo, allo stesso tempo, più piacevole e meno scontato il risultato finale.

I componenti dell'Ensemble Alla Maniera Italiana.

Se questa briosità melodica, se questa elettricità ritmica, però, vengono a mancare, le composizioni in questione risultano essere fatalmente lobotomizzate, in quanto la loro nervatura si annulla, si appiattisce. Cosa che con i componenti dell’ensemble Alla Maniera Italiana, che proprio al repertorio di Ricci hanno riservato una particolare attenzione, non accade in quanto la loro lettura è improntata a un dialogo tra gli strumenti acceso, brillante, capace di restituire pienamente quella brillantezza richiesta da uno stile galante alla “maniera italiana”, senza tralasciare quella spina dorsale ritmica tale da non far mai abbassare la guardia a chi ascolta la loro esecuzione.

Il clavicembalista e tecnico del suono Giovanni Paganelli.

Lo stesso clavicembalista Giovanni Paganelli si è occupato della presa del suono, effettuando un lavoro più che buono. Il palcoscenico sonoro ricostruisce in modo corretto lo spazio fisico nel quale sono immersi i cinque artisti e la dinamica è sufficientemente veloce ed energica. L’equilibrio tonale rispetta i registri dei cinque strumenti (e questo soprattutto quando interviene il clavicembalo, mai invadente), così come il dettaglio ricco di matericità.

Andrea Bedetti

Gaetano Donizetti – String Quartets Vol. I

Mitja Quartet

2CD Urania Records LDV 14065

Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5

Francesco Pasquale Ricci – Six String Quartets op. VIII

Alla maniera Italiana Ensemble

CD Urania Records LDV 14063

Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5