La figura del compositore francese Jacques Charpentier, nato a Parigi nel 1933 e morto a Lézignan-Corbières nel novembre 2017, sta alla cultura musicale francese così come René Daumal sta a quella letteraria transalpina. Nel senso che se il secondo, autore del celebre romanzo Il monte analogo, fece conoscere in Francia il sanscrito e la tradizione sapienziale induista, il primo ha avuto l’indubbio merito di far conoscere nel suo Paese la concezione musicale indiana, soprattutto quella che viene eseguita, ascoltata e meditata nella regione della Karnataka, che si trova nella parte meridionale del Deccan, con capitale Bengalore.
Charpentier, dopo aver studiato con Jeanine Rueff, partì nel 1953 alla volta dell’India, dove rimase per quasi due anni, studiando la musica locale a Bombay e a Calcutta. Entrò così in contatto con il grande musicologo e studioso di religioni antiche Alain Daniélou, con i quale approfondì le relazioni tra la musica e la simbologia religiosa e misterica hindu. Tornato in patria, raffinò i suoi studi musicali e di storia della musica con Olivier Messiaen. Forte di questo bagaglio culturale (ma sarebbe più giusto definirlo “sapienziale”), nel 1957 Charpentier iniziò la composizione di una monumentale opera pianistica, quella che quasi trent’anni dopo avrebbe concluso intitolandola 72 Studi carnatici, basata per l’appunto sulle settantadue scale che costituiscono il sistema musicale Melakartha. È interessante notare come ogni scala di questo sistema abbia l’ottava divisa in due tetracordi (ossia un gruppo formato da quattro note), con il primo di questi due tetracordi che è fisso, mentre l’altro è arrangiato seguendo i dodici gradi cromatici. Inoltre, il gruppo di scale è diviso in due classi per un totale di settantadue modi, con la prima classe che è formata da trentasei modi che vantano l’intervallo di quarta giusta e ai quali corrispondono le scale della seconda classe composta da trentasei modi relativi che comprendono l’intervallo di quarta aumentata. Charpentier fu in grado di comporre quest’opera pianistica sterminata facendo anche riferimento sul Dictionnaire de Musique pubblicato nel 1913 da Albert Lavignac, attraverso una copia conservata nel Conservatorio di Parigi, che descrive per l’appunto il sistema Melakartha e la sua struttura.
Non è il caso di spiegare ulteriormente questo complesso sistema musicale, corrispondente a un preciso percorso simbologico, che sovrasta l’opera in questione (basterà leggere le esaustive note che accompagnano questa registrazione), ma è sufficiente aggiungere che Charpentier ha voluto coagulare in essa la concezione musicale occidentale, decodificata artisticamente dalla visione di Messiaen, con la visione filosofico-spirituale-musicale indiana. E, in effetti, i 72 Studi carnatici rappresentano una sorta di viaggio iniziatico, che si compie attraverso gli strumenti del suono e del respiro (com’è tipico nella visione del canto carnatico), ma che qui vede il respiro farsi silenzio, da intendere non come momento di attesa, ma di realizzazione, di introspezione, di scavo psicologico, poiché il respiro è ciò che viene fuori dall’uomo dopo essere entrato in lui.
Opera immensa (fissata in tre dischi), complessa, labirintica nel suo continuo sondare il suono, i suoi significati, i suoi colori in rapporto con quel respiro/silenzio che ha un sapore e un fascino decisamente avvolgente, i 72 Studi carnatici rappresentano un’indubbia sfida all’ascolto che, per essere veritiero e pregnante, non può esaurirsi in una sola volta, ma meditato e riconsiderato nel tempo, per poi dare adito a una forma di meta-ascolto, che si realizza nella riflessione e nel “pensare” i modi in cui i suono si è manifestato. Quindi, una nota di grandissimo merito va alla giovane pianista Giusy Caruso, ormai punto di riferimento ineludibile nel panorama del pianismo contemporaneo e non solo in chiave italiana. L’artista cosentina è infatti la protagonista di questa registrazione, effettuata dal vivo il 26 novembre 2016 nell’auditorium del Conservatorio di Carcassonne, alla presenza dello stesso Charpentier, in cui ha saputo trasmettere un’idea sonora di trascendenza, di materia sonica perennemente plasmata, esaltata da una tensione che non è mai venuta meno, sismografo privilegiato per scandagliare e tracciare i moti vibratili del pianoforte e del suo essere interprete. Chapeau!, per dirla con i francesi.
Le cose vanno leggermente meno bene per ciò che riguarda la qualità della presa del suono che mostra una dinamica non particolarmente precisa e naturale e con un dettaglio che evidenzia nello strumento un timbro “metallico”, provocato probabilmente da una microfonatura non ottimale rispetto all’ambiente in cui si trovava il pianoforte.

Andrea Bedetti

Jacques Charpentier – 72 Etudes Karnatiques
Giusy Caruso (pianoforte)
3CD Centaur CRC 3610/11/12

Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 3/5