La giovane artista calabrese, da anni residente a Bruxelles, è una delle più stimate e ricercate interpreti italiane per ciò che riguarda la musica colta attuale. In questa intervista ci spiega la sua visione artistica, il fascino dell’arte musicale odierna (come dimostra un suo recente disco dedicato a tre autori di oggi) e come riesce a esprimere la sua arte tra l’arte dei suoni del presente e quella del passato classico
Maestro Caruso, lei è considerata giustamente una delle pianiste italiane più attente e sensibili nei confronti della musica contemporanea. Da dove nasce questo interesse nei confronti della musica colta attuale?
Sicuramente dall’esperienza all’estero di questi anni. I miei soggiorni in Belgio e in Olanda hanno accresciuto la mia curiosità e propensione verso l’arte e la musica contemporanee. La sperimentazione, la ricerca di nuove tecniche esecutive, nuove timbriche e nuovi mezzi espressivi sono i fattori scatenanti che mi hanno spinto verso nuovi orizzonti interpretativi e, dunque, verso nuovi repertori. Mi rendo conto che, a tutt’oggi, questo è un percorso molto difficile da portare avanti nelle sale da concerto. La musica contemporanea rappresenta una sfida estetica per compositori ed interpreti che generando nuovi linguaggi compositivi e performativi propongono sempre nuove frontiere di comunicazione.
In questo ultimo periodo mi sono cimentata nelle interpretazioni di brani concettuali, come quelli di Giacinto Scelsi o Pierre Boulez, e composizioni in forma d’esecuzione pianistica “ibrida” come i lavori di Sylvano Bussotti e George Crumb, in cui il musicista interprete diventa anche “attore” di gesti teatrali e declamazioni. Tra le mie sperimentazioni vi è anche la performance Stop, Repair, Prepare: Variations on Ode to Joy for a Prepared Piano (https://www.youtube.com/watch?v=TB8sPDzesbM) su un pianoforte a coda Bechstein con un buco nella cassa armonica e i pedali al contrario, installazione mobile molto in voga negli ambienti di arte contemporanea ad opera degli artisti sudamericani Allora & Calzadilla. Esistono solo due esemplari al mondo di questa “scultura mobile”: uno negli Stati Uniti, presentato nel 2008 presso il MoMa di New York, e l’altro che gira per l’Europa (Monaco, Bruxelles, Torino). Questa è senza dubbio una delle esperienze più bizzarre che mi sia mai capitata e anche la più coraggiosa perché rompe completamente con i canoni della performance pianistica classica.
Che cosa significa fare musica contemporanea nel nostro Paese rispetto al fatto di eseguirla all’estero, tenuto conto che lei tra l’altro da diversi anni risiede e svolge la sua attività di pianista a Bruxelles? E come si pone il pubblico italiano nei confronti della musica classica attuale (sempre che tale termine abbia ancora un valore e un significato al giorno d’oggi) rispetto al pubblico degli altri Paesi in cui ha avuto modo di esibirsi?
Nel nostro Paese, purtroppo, è difficile fare musica “colta” in generale, non soltanto musica “colta” contemporanea. Sinceramente non penso che questo sia un problema legato solo al pubblico. Credo, invece, che sia il segnale di una carenza della presenza delle istituzioni. Se il campo artistico fosse adeguatamente supportato e si sostenessero la creatività e la produzione di un ventaglio fitto di programmazioni variegate si garantirebbe parallelamente un innalzamento del livello culturale. Molte associazioni, soprattutto del sud Italia (io sono calabrese), stentano a sopravvivere o stanno chiudendo per mancanza di fondi. In una società fatta di immagini come la nostra, il successo di una stagione concertistica, anche in termini di pubblico, è determinata da tanti fattori organizzativi, di diffusione del prodotto, di marketing. Quello che noto, specialmente nei paesi del Nord Europa, è proprio questa volontà di nutrire la produzione e la ricerca artistica al fine di stabilire una profonda connessione e un coinvolgimento a livello sociale: eventi per bambini, adulti, giovani; commistioni tra le arti, messaggi freschi e nuovi che attirano un pubblico sempre più curioso e aperto.
Nel novembre dello scorso anno, a Carcassonne, lei ha eseguito in prima assoluta mondiale i 72 Études Karnatiques del compositore francese Jacques Charpentier, la cui esecuzione supera le tre ore di durata. Ci può spiegare meglio l’opera e che cosa ha significato affrontare questa titanica esecuzione, che tra l’altro è stata registrata dalla Centaur Records che la pubblicherà in un cofanetto di tre CD?
I 72 Études Karnatiques di Jacques Charpentier (compositore nato nel 1933) si basano sulla tradizione musicale dell’India del Sud, chiamata per l’appunto carnatica. Sono in totale 72 studi per pianoforte suddivisi secondo la struttura delle 72 scale della musica carnatica, (Melakartha Ragas): 12 cicli che prevedono 6 scale per ogni ciclo per un totale di 72 scale. Charpentier, diretto allievo di Olivier Messiaen e appassionato di musica dell’India (vi ha soggiornato negli anni 1953 e 1954) applica questa precisa suddivisione e scrive questa serie di 72 studi composti appunto su tutti i 72 modi carnatici. In questo senso, l’opera può essere paragonata ad una sorta di clavicembalo ben temperato sul modello scalare indiano. La scrittura ritmica riporta in alcuni frammenti l’elaborazione dei modelli ritmici indiani (decitalas).
L’approccio a questo monumentale lavoro per pianoforte ha richiesto una vera e propria ricerca di tipo musicologico e di prassi esecutiva. In questi anni, l’interpretazione dei 72 Études Karnatiques è divenuto, infatti, il fulcro della mia ricerca artistica svolta in Belgio presso l’IPEM, dipartimento di musicologia dell’Università di Gand in collaborazione con il Conservatorio Reale (KASK). Per chi volesse approfondire il tema, sono disponibili due miei articoli di ricerca musicologica in lingua francese e in lingua inglese. Il primo, Le patrimoine musical indien dans le répertoire pour piano d’Olivier Messiaen et de Jacques Charpentier (2015), pubblicato sulla rivista Cahiers Internationaux de Symbolisme, (http://portail.umons.ac.be/FR/universite/partenaires/ciephum/CIS/2015%20-%20140-141-142.pdf), tratta specificatamente l’impatto del patrimonio musicale indiano nella produzione dei due compositori francesi; il secondo articolo Gestures in contemporary music performance: a method to assist the performer’s artistic process (2016), pubblicato sulla rivista Contemporary Music Research, (http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/07494467.2016.1257292?needAccess=true) affronta i temi delle mie sperimentazioni e dei miei studi presso il laboratorio dell’IPEM che riguardano la relazione tra intenzionalità e gestualità musicale attraverso l’applicazione della moderna tecnologia del MOTION CAPTURE SYSTEM (https://www.youtube.com/watch?v=tOmF4YeBgvY) per l’analisi gestuale della performance pianistica.
Dall’altro lato, per approfondire la prassi esecutiva della musica indiana, ho iniziato anche una collaborazione artistica con un cantante di musica carnatica, Sandeep Kalathimekkad, e una danzatrice di musica indiana, Ayla Joncheere. Questa collaborazione artistica ha portato alla realizzazione di uno spettacolo dal titolo Re-Orient basato sulla fusione di due culture musicali, quella occidentale e quella indiana, attraverso l’opera di Charpentier e libere improvvisazioni e interazioni di tipo gestuale tra musicisti e danzatrice.
Lei, però, oltre a essersi specializzata in composizioni e autori appartenenti alla sfera della musica contemporanea, è anche una pianista “classica” (ha, tra l’altro, dedicato un disco a musiche di Liszt). Quali sono i compositori del passato che per lei sono irrinunciabili e che hanno, in un certo senso, rappresentato un trampolino di lancio che l’hanno proiettata nella galassia della contemporaneità?
Devo dire che diversi compositori hanno accompagnato le varie fasi della mia vita personale e pianistica. Mi sento particolarmente legata a Franz Liszt, cui ho dedicato la mia prima incisione, ma anche a Chopin per i miei numerosi progetti concertistici e il mio lavoro teatrale “George Sand racconta Chopin”. Negli ultimi anni mi sono soffermata molto sul repertorio pianistico francese da Maurice Ravel a Olivier Messiaen, Pierre Boulez, Jacques Charpentier (oggetto di studio della mia ricerca artistica). Come non menzionare infine anche il progetto dedicato alla rivalutazione del repertorio “classico” di Nino Rota. Ma ho iniziato con Johan Sebastian Bach e penso che vi ritornerò nella piena maturità. La musica bachiana possiede una fonte energetica indescrivibile, da considerare “contemporanea” a tutte le epoche.
Maestro Caruso, se lei volesse convincere un ascoltatore restio ad accettare la validità, il fascino e la bellezza estetica della musica colta attuale, che cosa gli direbbe?
La musica colta contemporanea richiede un tipo di ascolto critico, attivo, immaginifico, così come accade ad esempio nelle arti visive contemporanee. Ci si dovrebbe predisporre ad ascoltare e cogliere l’essenza più profonda di un brano di musica classica contemporanea con la stessa curiosità intellettuale con cui si scruta un quadro astratto di Kandinskij o di Picasso. In questo nostro contesto storico penso sia necessario guidare gli ascoltatori in un percorso di sensibilizzazione facendo in modo che ogni evento concertistico diventi anche una vera e propria operazione culturale. Per questo motivo, nei miei concerti cerco sempre di abbinare al repertorio contemporaneo quello classico, al fine di fornire all’ascoltatore un’idea pragmatica dell’evoluzione del linguaggio musicale: dalla melodia al suono puro inteso come timbro o, a ritroso, dal linguaggio astratto alle concatenazioni proprie del linguaggio armonico tonale. Personalmente ho sempre conferito al momento del concerto una sua sacralità, considerandolo una sorta di “missione” finalizzata al trasferimento di un messaggio non solo emozionale, ma anche spirituale. Trovo quindi necessario doversi rinnovare in qualche modo con lo scopo di attirare audience diversi, soprattutto giovani, non abituati ed educati al contesto della musica classica o musica “colta contemporanea”. In questa mia ricerca sulla comunicazione e sull’interattività tra pubblico e interprete, ho pensato di puntare sulle contaminazioni tra le arti ideando progetti multidisciplinari che intrecciano, dunque, la musica alle arti visive, alla danza e al teatro, come in questo mio ultimo lavoro dal titolo Re-Orient.
Un’ultima domanda: quali sono i suoi progetti futuri nell’ambito delle registrazioni discografiche e degli autori che affronterà a livello di studio e di esecuzione concertistica?
Ho iniziato una collaborazione con il compositore italiano Davide Anzaghi e presto uscirà una mia incisione monografica su alcune delle sue composizioni per pianoforte. In cantiere anche incisioni su Ravel e Messiaen e a breve mi dedicherò anche allo studio ed esecuzione in prima assoluta di un brano per pianoforte ed elettronica del compositore Nicola Sani.
Andrea Bedetti