Istituito nel 1803, il Prix de Rome per la musica consentì all’élite dei compositori francesi di trascorrere più anni di formazione in Italia. Il concorso e il successivo soggiorno a Roma furono oggetto di desiderio e di invidia, suscitando intrighi e controversie. Per ricordare questa importante istituzione artistica, dal 19 aprile ci sarà un viaggio nella musica dei musicisti romantici francesi a Roma: novità editoriali, risorse digitali, una programmazione speciale per Bru Zane Classical Radio e concerti in streaming e dal vivo fino a luglio al Palazzetto Bru Zane di Venezia
In occasione del consueto festival di primavera, il Palazzetto Bru Zane svela il repertorio legato ai compositori francesi dell’Ottocento che soggiornarono a Roma. Dal 1803 al 1968 il Prix de Rome fu l’ambito lasciapassare per tutti gli aspiranti compositori. Così rare partiture, composte proprio a Villa Medici, saranno interpretate nel corso del festival a Venezia il cui filo conduttore sarà il compositore Max d’Ollone, vincitore del Prix de Rome nel 1897. Max d’Ollone sarà presente nella maggior parte dei concerti in programma, che vedranno alternarsi mélodies, pezzi per pianoforte solo o quartetti per archi.
Il festival si inaugura lunedì 19 aprile alle ore 21 con un concerto in streaming che vedrà protagonista il Quatuor Hermès in un programma che presenta tre quartetti sconosciuti di Max d’Ollone, Henri Rabaud e Ferdinand Hérold. Il concerto sarà trasmesso sugli account Facebook e YouTube del Palazzetto Bru Zane. Gli altri concerti del festival saranno programmati entro l’estate 2021 nella sala del Palazzetto Bru Zane nel rispetto delle disposizioni sanitarie. Parallelamente Bru Zane Mediabase, il database di risorse sul repertorio romantico francese, fornirà documenti e approfondimenti legati ai compositori che alloggiarono al Pincio, mentre Bru Zane Classical Radio, la webradio dedicata alla musica romantica francese, consacrerà la programmazione delle prossime settimane alle Cantate del Prix de Rome, repertorio inciso nella collana discografica “Prix de Rome” sulla quale il Palazzetto Bru Zane lavora sin dalla sua apertura a Venezia nel 2009. Contestualmente al ciclo dedicato al Prix de Rome il Palazzetto Bru Zane allestirà al piano terra un’esposizione dedicata al tema del viaggio dei compositori francesi a Roma, con illustrazioni, caricature e foto d’epoca legate alla vita e all’atmosfera che si respirava a Villa Medici nell’Ottocento.
Il programma d’inaugurazione del festival “Tanti baci da Roma” vede protagonista la forma del quartetto. Una volta installati a Villa Medici, i pensionanti musicisti erano infatti tenuti a produrre dei lavori conformi a precise direttive, che però subirono un’evoluzione nel corso del XIX secolo. Il genere del quartetto in particolare diventò obbligatorio a partire dal 1894. Henri Rabaud (nel 1895) e Max d’Ollone (nel 1898) furono tra i primi a cimentarvisi, non senza lamentarsi: «Basta che mi chiedano un quartetto perché mi vengano idee per sinfonie, per il teatro, per l’orchestra o per cori, insomma per tutto tranne che per un quartetto», scrisse a tale proposito Rabaud in una lettera.
La mostra sarà allestita dal 19 aprile e disponibile al pubblico non appena le disposizioni sanitarie lo permetteranno. Nel frattempo, alcune opere saranno svelate in anteprima sui social media del Palazzetto Bru Zane. La mostra è stata concepita da Étienne Jardin, responsabile scientifico pubblicazioni e convegni, in collaborazione con Marianne Jugan, coordinatrice editoriale del Palazzetto Bru Zane.
Il Prix de Rome è stata una borsa di studio istituita dallo Stato francese per gli studenti più meritevoli nel campo delle arti. Ancora oggi, ai vincitori viene data la possibilità di studiare all’Accademia di Francia con sede a Villa Medici a Roma, fondata da Jean-Baptiste Colbert nel 1666. Non bisogna dimenticare che il concorso del Prix de Rome, istituito nel 1803 per la musica, fu per molto tempo il più ambito lasciapassare dell’istruzione artistica francese, non solo perché contrassegnava l’élite della nazione, ma anche perché assicurava ai vincitori sussidi e, ufficiosamente, una carriera una volta tornati dall’Italia, sia col conferimento di cattedre di insegnamento, sia con commissioni da parte dello Stato. Sebbene le storie dei vari concorsi siano state riccamente documentate e abbondantemente commentate in primo luogo dai candidati stessi (Berlioz e Debussy in particolare), i soggiorni romani assumono un alone di leggenda, di cui si sa assai poco.
Prima di tutto, raggiungere Villa Medici non era cosa da poco nei primi decenni di un secolo che, per viaggiare, non conosceva altro che le carrozze o le navi. Le opzioni erano due: oltrepassare le Alpi e attraversare l’Italia da Nord al Centro, oppure imbarcarsi al porto di Marsiglia e approdare a una città costiera non lontana da Roma. Tuttavia, benché il Mediterraneo fosse raramente agitato, la traversata via mare era pur sempre impegnativa e faticosa e privava il viaggiatore di splendidi paesaggi e della possibilità di sostare in città leggendarie. Per questa ragione, la maggior parte dei vincitori del Prix de Rome sceglieva un itinerario terrestre che toccava Torino, Milano, Venezia, Bologna e Firenze. Raggiungevano Torino attraverso il Moncenisio su un carro trainato da muli, tra burrasche di vento e tempeste di neve. Arrivati al valico che conduceva in Italia, si rivelavano paesaggi nuovi. Non per nulla il pittore Hippolyte Flandrin scrisse di non avere mai visto «nulla di così ricco: la pianura era inondata di luce, ma di una luce così dolce», mentre per lo scultore Pierre-Charles Simart, «il viaggio da Lione a Roma vale da solo il grand prix». Questa prima tappa rimaneva impressa a lungo nella memoria di ciascuno.
La prova che un musicista doveva poi superare per ottenere il privilegiato soggiorno all’ambita Académie de France era estremamente ardua e obbligava il candidato a comporre “in cella” (ossia in una stanza chiusa a chiave) una cantata su un testo prescritto. In genere, il soggetto era tratto dalla mitologia antica o dalle leggende medievali e prevedeva tre personaggi. I testi erano spesso convenzionali e stereotipati; l’arte dei candidati stava proprio nella capacità di dare risalto alle varie scene e di mettere a frutto la propria abilità, imponendo una personalità originale. In sostanza, bisognava dimostrare di avere la stoffa di un autentico compositore di opere.
Una delle critiche ricorrenti a proposito del soggiorno dei musicisti a Villa Medici adduceva gli scarsi vantaggi che essi potevano trarre dall’attività artistica italiana: a Roma non c’erano teatri lirici importanti, la musica sacra era ormai in declino e il livello degli interpreti insufficiente (o almeno così si diceva). Tuttavia, il soggiorno in Italia influenzò chiaramente l’ispirazione dei compositori: anche se non imitarono i lavori italiani, essi furono quasi tutti profondamente colpiti dalla vita quotidiana e dai paesaggi che i compositori francesi scoprirono sia a Roma sia nel corso dei loro viaggi tra Napoli e Venezia.
Ma, evidentemente, non tutto ciò che luccicava era oro, visto che Claude Debussy definì il Prix de Rome lapidariamente una “fabbrica dell’angoscia”, poiché per alcuni dei pensionanti di Villa Medici, il soggiorno a Roma corrispose a un vertiginoso naufragio dell’anima nella depressione. D’altra parte, chi potrebbe credere che l’opportunità di dedicarsi alla propria passione per quattro o cinque anni a spese dello Stato potesse trasformarsi in un incubo? Eppure, a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento piombò sull’Accademia lo spleen romantico. Questo perché il temuto, terribile malessere si impossessò di Berlioz nel giro di qualche settimana: «Non posso parlarvi che della noia inesprimibile che mi uccide, mi logora, mi divora, mi soffoca, mi asfissia…». Un analogo stato d’animo fu evocato anche da pensionanti dal temperamento meno vulcanico, come nel caso di Gounod, il quale fu sopraffatto sin dal primo momento da una profonda malinconia: «È stata una completa delusione», affermò senza mezzi termini, anche se in seguito lo stesso compositore riconobbe nell’immaturità della maggior parte dei pensionanti la ragione del male di cui tanti di loro soffrirono. Ma è a Debussy che spetta il primato dello scoramento: «Tutta questa Villa mi schiaccia, mi annienta. Soffoco e sono assolutamente incapace di scuotermi da questo brutto torpore, che mi fa vedere ogni cosa in una luce odiosa. […] Tutto ciò perché mi trovo qui, in virtù di un decreto che mi ci ha costretto, e sento gravare su di me l’ombra dell’Accademia». Tale scoramento giunse a un punto tale da far scrivere Henri Rabaud a Max d’Ollone: «Sì, bisogna fuggire da Roma, fuggire da questa vita troppo uguale, troppo felice, troppo tranquilla, senza alcuna preoccupazione. Bisogna andarsene, muoversi, scuotersi, per intraprendere un lavoro serio».
A proposito di Max d’Ollone, questo musicista poco conosciuto nacque a Besançon da una famiglia aristocratica e rappresenta un tipico prodotto del Conservatorio e dell’Institut de France, nonché pensionante esemplare di Villa Medici. Allievo di Albert Lavignac, André Gédalge e Jules Massenet, vinse il Prix de Rome nel 1897 con la cantata Frédégonde. Ci riuscì al quarto tentativo, poiché fu coinvolto, suo malgrado, nelle contese che opposero Théodore Dubois e Massenet, in lizza per la direzione del Conservatorio. Il soggiorno romano fu un periodo felice per d’Ollone, che a questo proposito scrisse: «Fu durante i miei anni a Villa Medici che ascoltai per la prima volta la Bohème e la Manon Lescaut di Puccini, allora ignorate in Francia, che mi commossero profondamente. Tutto ciò contribuì a rafforzare la mia innata avversione per tutta quella musica in cui la cerebralità sostituisce il cuore, il puritanesimo paralizza l’istinto e la ricerca di complicazioni artificiali danneggia la spontaneità, la facilità, l’abbondanza».
Pur affrontando tutti i generi una volta tornato da Roma, d’Ollone si dedicò soprattutto all’opera lirica, in cui l’influenza di Wagner e di Massenet si coniugò con uno stile personale. Radicato nella tradizione romantica, rifiutò le innovazioni della Scuola di Vienna, scrivendo egli stesso il libretto della sua opera Retour, rappresentato per la prima volta nel 1912 ad Angers; seguirono L’Arlequin (1924), Georges Dandin (1930), La Samaritaine (1937). Altre sue opere sono rimaste inedite o lo sono state rappresentate solo parzialmente. L’occasione fornita quindi da questo festival per conoscere meglio il suo repertorio rappresenta un’occasione in più per seguirlo.
Andrea Bedetti
Per maggiori informazioni: Ciclo “Tanti baci da Roma” - Bru Zane (bru-zane.com)