Enrico Pieranunzi ha presentato dal vivo alla Casa del Jazz di Roma il suo nuovo album “My Songbook” (Jando Music/Via Veneto Jazz, 2016), accompagnato sul palco da una band di livello assoluto nella quale si è messa in evidenza la cantante Simona Severini, principale interprete di un repertorio composto esclusivamente da canzoni firmate dal pianista romano

Alla fine gli applausi sono quasi tutti per Simona Severini, la giovane cantante, classe 1986, che con piglio da vocalist navigata ha interpretato sul palco della Casa del Jazz di Roma, gremita come nelle migliori occasioni, il nuovo repertorio di Enrico Pieranunzi contenuto nell’album “My Songbook”, basato esclusivamente su canzoni da lui firmate. Abbiamo assistito, come il pianista romano l’ha definito, al racconto di «una storia fatta di storie», di brani nati come strumentali, vedi Soft Journey incisa nel 1980 con Chet Baker, che nel corso del tempo hanno poi trovato un testo, spesso donato da cantanti donne attratte dal loro tema melodico. Pieranunzi ci descrive, poco prima di salire sul palco, questo processo creativo: «Non avrei mai immaginato che alcuni brani diventassero un giorno canzoni. “Canzoni per caso” direi, vedi My Heart In A Song le cui parole sono dovute alla garbata iniziativa della statunitense Sharman Duran o di Coralie, in cui il testo è stato messo dalla britannica Alice Zawadzky. Mi sono chiesto il perché di questa non infrequente “reazione creativa” da parte delle cantanti, e l’unica risposta che ho trovato è che evidentemente alcuni miei brani nascondono un potenziale testo, una “storia” di cui non sono assolutamente consapevole, che viene invece vista in filigrana da sensibilità femminili». Testi che la Severini canta con una voce capace di farsi seta, come nel caso di Fairy Flowers, un passaggio chiaroscurale attraversato in duo con pianoforte; con grinta e carattere, come in Night Bird, il brano che vede protagonisti anche i due ospiti della serata: Rosario Giuliani al contralto e Francesco Lento alla tromba; oppure con estrema eleganza e controllo dinamico, come nel caso del brano d’apertura My Heart In A Song, eseguito in pieno relax esecutivo in una serata per lei non nata sotto una buona stella, visti i ripetuti colpi di tosse tra un brano e l’altro, ma riuscita appieno. La Severini, al cospetto di una presenza velatamente timida, emana una pronuncia convinta delle proprie potenzialità e capace di calamitare l’attenzione. Canta in inglese, francese e in italiano senza mai tradire una coerenza stilistica che prende come sorgente le grandi interpreti del passato, ma che poi sfocia in una personale declinazione del linguaggio jazzistico, riconoscibile e di spessore. Il primo scrosciante applauso però lo strappa Enrico Pieranunzi, grazie a un solo ispirato e carico di venature blues. Lo swing che ottiene con Luca Bulgarelli al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria è quasi palpabile, al punto che non è semplice rimanere fermi tra le seppur comode poltroncine della Casa del Jazz. Il pianista inserisce piccole tessere di pianoforte elettrico al mosaico musicale proposto, quasi del tutto costruito con piano trio più voce, e in maniera informale racconta con amabile autoironia e sarcasmo, smentendo clamorosamente il luogo comune riguardo la sua seriosità, la genesi e la costruzione di ogni brano, ottenendo in sala un’atmosfera rilassata per l’intera durata della performance. Non mancano gli elogi del pianista ai componenti della band e in particolar modo alla Severini, a colei che «ha dato luce alle canzoni di questo disco». Un’investitura importante, meritata e difficile da contrastare, per un “innamoramento artistico” nato alcuni anni fa con l’album “La Belle vie” (My Favorite Records, 2011). “My Songbook” è per il pianista un passaggio importante della sua carriera, al punto da ipotizzarne un secondo volume, e lo si percepisce dalla passione che mette nel descriverne i brani durante il concerto. A fine serata ce lo conferma nel backstage: «Una cosa è certa: questo album mi ha consentito non solo di riunire in un unico CD brani con parole nati in epoche diversissime tra loro, ma, soprattutto, di unificare pubblicamente in un lavoro organico le mie due grandi passioni, quella per i suoni musicali e quella per i suoni verbali. Suoni che da sempre amano unirsi, per raccontare storie». Sul viale d’uscita qualcuno canticchia i ritornelli appena ascoltati, in una mite notte romana avvolta da un cielo stellato.

Roberto Paviglianiti