Della famiglia degli archi ho sempre preferito quegli strumenti che andavano soprattutto a sondare il registro più profondo, quello più remoto, più basso; ecco, allora, la mia predilezione per il violoncello (e, prima di esso, per la viola da gamba) e per il contrabbasso, capaci di esplorare e di evidenziare non solo il registro più grave a livello timbrico (non prendo in considerazione, per via della sua rarità esecutiva, l’ottobasso, esaltato da Hector Berlioz nel suo trattato sulla strumentazione), ma in primo luogo quello dell’anima. Per me, se il violino e la viola riescono a fare ciò che i sommozzatori fanno nelle acque del mare, il violoncello e il contrabbasso sono equiparabili alle profondità che possono essere raggiunte solo dai palombari. Ora, se è vero che la letteratura musicale abbonda di materiale a favore del violoncello, lo stesso non si può dire per il contrabbasso, la cui primaria valutazione come strumento che diviene progressivamente protagonista, non solo come elemento d’accompagnamento, si deve soprattutto all’area tedesca (Beethoven su tutti), prima dell’arrivo di un musicista cremasco, soprannominato il “Paganini del contrabbasso”, Giovanni Bottesini, il quale nella seconda metà dell’Ottocento fu capace di sdoganare totalmente questo strumento, facendo comprendere come sfruttare pienamente le sue notevolissime potenzialità ed esaltandone la melodiosità partendo dalle sue prodigiosi basi ritmiche.

La cover del CD Bass on fire.

Esiste una piccola ma attiva etichetta discografica italiana, la NBB Records di Prato (www.nbbrecords.com), che è per l’appunto dedicata in buona parte al repertorio del contrabbasso nei generi della classica, del rock, del jazz e del crossover, un autentico punto di riferimento per tutti coloro che amano e si appassionano per questo strumento. Quest’etichetta ci ha inviato due loro recenti produzioni, che vedono quale protagonista il contrabbassista pratese Alberto Bocini (vero e proprio deus ex machina di questa label toscana) in un recital solistico racchiuso nel disco Bass on Fire, e in un CD dedicato alla musica cameristica di Giovanni Bottesini, che lo vede protagonista con la pianista Alessandra Ammara, intitolato Mio caro Bottesini.

Bass on Fire presenta alcuni brani composti dallo stesso Alberto Bacini, per l’esattezza Tre piccoli pezzi, Tre ballate e Nightmare after Strauss, oltre a una rivisitazione in chiave personale del Tema e variazioni su Nel cor più non mi sento di Giovanni Bottesini e alla Suite n. 1 in Sol maggiore BWV 1007 di Johann Sebastian Bach. Con le sue creazioni musicali, soprattutto i Tre piccoli pezzi e le Tre ballate, il contrabbassista pratese dimostra di essere un ottimo plasmatore di suoni, in grado di “shakerare” a dovere un impianto classico innervandolo a livello di crossover con i generi del rock e del jazz. Chi mi conosce, sa che non sono un adoratore del crossover, soprattutto quando viene usato per mascherare o diluire pecche in ambito armonico, facendo così ricorso ad altre forme musicali in modo da rendere accettabile il risultato finale, ma qui la sapienza compositiva di Alberto Bocini non si discute, poiché dimostra di conoscere il mestiere compositivo, oltre a saper sfruttare ogni oncia del suo contrabbasso (uno splendido esemplare di costruttore anonimo risalente al primo Settecento), che nelle sue mani non è solo uno strumento dal quale attingere armonie e melodie, ma anche un mezzo per esplorarlo in ogni suo anfratto (ciò significa anche ottenere suoni dalla stessa cassa con l’ausilio dell’archetto e delle mani). Brani che ci fanno capire come per l’artista toscano la musica debba essere un solo universo sonoro, senza distinzioni, senza barriere, senza confini o frontiere di generi o di stili, ma una materia assoluta dalla quale attingere per poter plasmare quanto il contrabbasso è in grado di decodificare.

Alberto Bocini con il suo contrabbasso, uno splendido strumento di anonimo risalente al primo Settecento.

Che poi questo linguaggio sia anche altamente virtuosistico lo dimostra un brano particolare come Nightmare after Strauss, il quale, come spiega lo stesso Bocini, è stato composto sull’emozione di un incubo avuto dal musicista, attraverso il quale, facendo ancora ricorso a generi e a stili diversi, riesce a creare un ingegnoso collage di citazioni musicali (il compositore e interprete sfida l’ascoltatore a individuarli); anche qui Bocini dà fondo a un’esplorazione dello strumento, facendo ricorso a distorsioni (non vorrei sembrare irriverente, ma ho sentito aleggiare lo spirito di Jimi Hendrix mentre eseguiva la parodia dell’inno americano a Woodstock) che lasciano poi spazio a fulminanti passaggi classici dilatati, storpiati, deliziosamente vituperati, dando così forma a un’autentica kermesse di stampo paganiniano per via delle difficoltà tecniche che affollano questo brano. Il Tema e variazioni su Nel cor più non mi sento è un brano che Bottesini compose nel 1885, nel pieno della maturità artistica, e nella versione originale fu scritto per contrabbasso e pianoforte che fraseggiano un tema iniziale seguito da tre variazioni su un’arietta di Giovanni Paisiello. Anche in questo caso, Bocini non si tira indietro e dà vita a un brano di “variazioni su variazioni”, quasi un gioco degli specchi che riflettono immagini più o meno distorte, ampliate, dissimulate su un susseguirsi del brano di Bottesini nel quale irrompono escamotages timbrici e personalissimi divertimenti che il contrabbassista pratese dissemina come trappole che scattano puntualmente per alzare l’asticella delle difficoltà tecniche.

Ma che il nostro artista non sia solo un sagace giocoliere compositivo lo dimostra l’esecuzione della celeberrima pagina bachiana, resa possibile nella sua lettura su contrabbasso grazie a un’accordatura per quinte. Qui, ciò che conta è sapere rendere, come ben sanno i violoncellisti, lo straordinario senso melodico scandito attraverso un pieno dominio del respiro interiore del pezzo, traendo il suo fascino magnetico dal senso ritmico, di danza, che lo impregna dall’inizio alla fine. Significa restituire una fluidità timbrica, la sua meravigliosa espressività mediante un fraseggio che è supremo equilibrio tra la scansione ritmica e la dimensione armonica che la sovrasta. Cosa non facile, anzi, da fare con un contrabbasso, le cui dinamiche risultano essere terribilmente “macchinose” per via delle sue intrinseche peculiarità organologiche. Ma Bocini affronta e risolve questo capolavoro come se bevesse un bicchiere d’acqua, con una naturalezza, una spontaneità d’emissione del timbro che affascina e a tratti commuove: è come se un elefante riuscisse a danzare con delicatezza e soavità un delicato minuetto.

La cover del CD Mio caro Bottesini con Alberto Bocini al contrabbasso e Alessandra Ammara al pianoforte.

Il secondo disco, Mio caro Bottesini, è un omaggio alla musica cameristica del compositore e contrabbassista cremasco, che Alberto Bocini presenta con la pianista Alessandra Ammara (la curiosità è che i due artisti sono praticamente vicini di casa, visto che a Prato le loro abitazioni distano, l’una dall’altra, un minuto a piedi); un omaggio che presenta due Fantasie, quella sulla “Lucia di Lammermoor” di Donizetti e quella su “La Sonnambula” di Bellini, due Elegie, la prima in re maggiore e la seconda, detta “Romanza Drammatica”, in mi minore, l’Allegretto-Capriccio, pomposamente definito “Alla Chopin”, il Capriccio di Bravura, l’Introduzione e Variazioni sul “Carnevale di Venezia”, la Tarantella e, per finire, il Grande Allegro di Concerto “Alla Mendelssohn”, brani dei quali spesso non conosciamo nemmeno l’anno di composizione (della prima Elegia sappiamo che risale al 1878, che la Fantasia sulla “Sonnambula” è dell’anno successivo, così come l’Introduzione e Variazioni sul “Carnevale di Venezia”, mentre quella sulla “Lucia di Lammermoor” è del 1880 e con la Tarantella che fu composta nel 1858).

Lo spartano packaging del disco non presenta delle note di accompagnamento, che sarebbero state, a mio avviso, più utili per i molti che non conoscono la musica di Bottesini, invece di offrire un raffronto cronologico tra persone celebri che nacquero e morirono durante la vita del compositore cremasco. Forse sarebbe stato più utile spiegare che le Fantasie operistiche (così di moda a livello strumentale e cameristico in un’epoca dominata nella nostra Italietta dal nefasto melodramma) nascono dal fatto che lo stesso Bottesini fu anche operista (oggigiorno i suoi lavori teatrali sono quasi del tutto dimenticati, e non a torto) e che il respiro che si avverte in diverse di queste pagine cameristiche dipendono dal fatto che il nostro fu un direttore orchestrale di successo all’epoca (soprattutto a Cuba e a Londra), persino se un musicista esigente come Giuseppe Verdi, pur ammirandolo come compositore, ebbe severe riverse sul suo modo di dirigere.

Giovanni Bottesini immortalato in età matura.

L’aspetto interessante, e mirato aggiungo, di questa registrazione è che il programma scelto permette di farsi un’idea del Bottesini camerista in chiave contrabbassistica (ma il suo repertorio, non dimentichiamolo, spazia dalla musica sacra, come la Messa da Requiem del 1880, che risulta essere quantomeno intrigante quando viene da un musicista massone come nel caso del nostro compositore cremasco, fino a quella orchestrale, basata ovviamente in gran parte sullo strumento più grave della famiglia degli archi, e alle immancabili e sciagurate romanze da camera, a parte quella che parrebbe essere a dir poco carducciana, visto che porta il titolo quantomeno appropriato di Che cosa è Satana? e che fa da contraltare, è il caso di dirlo, a quella intitolata Che cosa è Dio?, entrambe risalenti al 1876). Nelle due Fantasie Bottesini intese dimostrare, riuscendoci, come la voce del contrabbasso poteva imitare, se non sostituire, egregiamente quella umana. Quindi, eloquio a tonnellate, spunti melodici a profusione, effetti canori incapsulati nelle corde sapientemente stimolate a dovere (se proprio devo cedere a una preferenza, opterei per quella belliniana). Di un livello superiore, per finalità espressive e per accorgimenti armonici, le due Elegie, anche se si resta sempre ingabbiati in un mix di languore e sentimentalismo di stampo deamicisiano (vengono i brividi se si fanno i debiti confronti con la coeva musica cameristica d’oltralpe), con il contrabbasso a fare ça va sans dire la parte del leone, sia a livello di sviluppi tematici e di arrampicate di sesto grado per via delle difficoltà tecniche presenti (ma se Bottesini fu soprannominato il “Paganini del contrabbasso” ci sarà pure un motivo… ). Stesso discorso per la partenopea Tarantella, il cui l’elemento ritmico diviene cornice virtuosistica ed “effettistica”, in cui si alternano momenti elegiaci e la cui melodia soggiace ancora alla pruderie belcantistica.

Le cose cambiano leggermente nei due Capricci, dove la presenza del pianoforte assume un contorno dialetticamente meno sfuocato, in quanto concorre più attivamente allo sviluppo dato dalla linea del contrabbasso e in cui si avvertono anche nuances quasi umoristiche (non so fino a quanto volute) e squisitamente “romantico-salottiere”, queste ultime soprattutto incarnate dal Capriccio di Bravura (il cui titolo è un indubbio biglietto da visita). Il finale del disco non poteva che essere appannaggio del Grande Allegro di Concerto “Alla Mendelssohn”, in cui Bottesini intende dimostrare, così come Liszt fece con la tastiera del pianoforte, che si poteva ficcare un’intera orchestra all’interno di un contrabbasso, il quanto la mole di eloquio e di espressività incarnata in questo brano non ha più solo una volumetria cameristica, ma va ad investire la totalità di un impianto strumentale simboleggiato dallo strumento a corde e la cui tensione emotiva si arricchisce di una pletora, di una tavolozza ben più variegata. Anche qui, il pianoforte non si limita a fare da spalla, non ha le sembianze del semplice servo di scena, ma è struttura palpabile, sentiero nel sentiero, elemento squisitamente dialogico che non si limita ad esaltare, ma a partecipare attivamente al costrutto formativo di tutto il brano, andando a edificare un’architettura più complessa e articolata.

Alessandra Ammara e Alberto Bocini, protagonisti del CD dedicato alla musica cameristica di Giovanni Bottesini.

Dopo aver ascoltato (e riascoltato) questi due dischi, mi sono chiesto se Bottesini è stato equiparato al Paganini del suo strumento prediletto, allora Alberto Bocini a chi può essere paragonato, poiché al di là del fatto che, come vale per l’interprete pratese, non si ricopre a caso il ruolo di primo contrabbasso per cinque anni nell’Orchestra Nazionale dell’Accademia di Santa Cecilia e per tre lustri nell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, è anche vero che il livello di assolutezza esecutiva che ha ormai raggiunto lo pone di diritto nell’Olimpo dei fedeli servitori di questo strumento, il quale non appartiene a un dio ingiustamente minore, ma più biecamente e ottusamente “dimenticato”, poiché al contrario il contrabbasso è semplicemente un creatore, un cesellatore di suoni a dir poco meraviglioso, e mi piace pensare che il leggendario Franco Petracchi, del quale Bocini è stato allievo, possa essersi commosso dopo aver ascoltato queste due registrazioni.

Che Bocini, come si suol dire, dia del tu al suo strumento è cosa che anche un villico in fatto di musica potrebbe comprendere con irrisoria facilità; in realtà, l’artista e compositore toscano si trova a un livello tale che il contrabbasso è la naturale continuazione del suo corpo, del suo essere esistenziale, una propagazione che risponde all’apparato psicofisico del suo braccio e della sua mano. E se il suo intento, con questi due dischi, era di dimostrare che il contrabbasso merita rispetto e ammirazione, allora ci è pienamente riuscito, in quanto ciò che viene fuori non è uno sterile atto di bravura, di virtuosismo fine a se stesso, ma la concretizzazione di un universo musicale in grado di irradiare un caleidoscopio di suoni del tutto autonomo, capace di dare vita a spazi, a profondità artistici che vivono a lungo in chi li ascolta. E ciò è già motivo sufficiente per ringraziarlo, anche perché se le pagine presentate nel disco dedicato a Bottesini a volte possono essere masticate e deglutite a fatica, per quanto appaiono stucchevoli, è perché Bocini le rivitalizza, le resuscita con una prodigiosa respirazione interpretativa.

Non dobbiamo, però, dimenticare l’apporto di Alessandra Ammara la quale, oltre ad essere una signora pianista, capace di spaziare dal barocco al contemporaneo (ascoltate il suo Giacinto Scelsi, please), dimostra in questa occasione di essere anche una “materna”, nel significato puramente “bachofeniano” del termine, accompagnatrice (nel senso raccomandato da Gerald Moore), calandosi alla perfezione nel ruolo qui dato dalla sua parte, ossia discreta, quasi sfuggente nel tocco quando richiesto, e ottimamente pervasiva, imperiosa, di indicare con la tastiera la rotta da seguire, quando la partitura bottesiniana lo impone.

Franco Petracchi, autentica autorità esecutiva e didattica del contrabbasso.

Buona la presa del suono effettuata in entrambi i dischi da parte di Lorenzo Gerace, che presenta una dinamica particolarmente efficace in fatto di velocità, di energia (esplosiva) e nella proposizione corretta del decadimento degli armonici (anche se la microfonatura, suppongo, sia stata alquanto ravvicinata). Questo ravvicinamento si può percepire meglio per quanto riguarda il parametro del palcoscenico sonoro, poiché i due strumenti risultano essere molto avanzati, anche se tale scelta non appare spazialmente innaturale, in quanto il dosaggio del riverbero è quasi nullo (se una voce o uno strumento, in fase di riproduzione sonora, si trovano praticamente cheek to cheek con l’ascoltatore e si aggiunge anche del riverbero, allora le leggi della fisica acustica dovrebbero essere ridiscusse). Con uno strumento come il contrabbasso l’equilibrio tonale non è fondamentale, è di più; e qui, il registro grave ovviamente spadroneggia alla grande, ma senza essere mai soverchiante o, peggio ancora, annichilente nei confronti del registro medio-acuto del pianoforte, poiché quest’ultimo è sempre distinguibile nel corso dei fraseggi e dei passaggi dialogici. Il dettaglio, anche per via del discorso fatto per la dinamica, è oltremodo materico, tattilmente palpabile, con una presenza fisica dei due strumenti più che ragguardevole.

Andrea Bedetti

AA.VV. – Bass on Fire

Alberto Bocini (contrabbasso)

CD NBB Records NBB037

Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5

Giovanni Bottesini – Mio caro Bottesini

Alberto Bocini (contrabbasso) – Alessandra Ammara (pianoforte)

CD NBB Records NBB039

Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4/5