C’è stato un tempo, purtroppo ormai lontano, in cui l’Italia, in barba ai retorici epigoni spadoliniani del Risorgimento, è stata un preciso punto di riferimento per l’arte e per la cultura, capace di dettare legge in fatto di idee, fermenti, visioni, stili e scuole. Un esempio di questa vitalità, di questa capacità di fare tendenza in chiave nobile e formativa, viene dalla grande lezione fornita dalla Scuola musicale napoletana, la quale offrì un impulso a dir poco formidabile, sia per la musica teatrale, sia per quella strumentale, tra il Seicento e i primissimi decenni del Settecento, e la cui portata fu tale da superare le Alpi per propagarsi nei principali centri del vecchio continente.
E la Napoli barocca, oltre a ricoprire un ruolo assai importante nella politica internazionale di quell’epoca e ad essere la città più popolosa d’Europa con il suo mezzo milione di abitanti, rappresentò uno dei centri, se non l’epicentro propagatore di nuove mode nell’ambito della cultura, dell’arte e della raffinatezza. In campo musicale, poi, solo un’altra realtà era in grado di contrastarla, quella veneziana, con la quale si contendeva il titolo di motore-guida del mondo sonoro colto del tempo.
A proposito di motore-guida, la Scuola musicale napoletana per quasi un secolo incarnò per davvero l’ipse dixit di pitagorica memoria, ma non solo per ciò che riguarda la musica operistica con i suoi Francesco Provenzale, Francesco Durante, Alessandro Scarlatti, Antonio Orefice, Leonardo Vinci, Giovanni Battista Pergolesi, Nicola Porpora, Niccolò Jommelli, Francesco Feo, Francesco Araja, Giovanni Paisiello, Leonardo Leo, Tommaso Traetta, Niccolò Piccinni e Domenico Cimarosa, solo per citarne alcuni, ma anche per ciò che concerne la musica strumentale, la cui importanza è testimoniata anche dal fatto che alcuni suoi esponenti, come vedremo, ebbero modo di andare a diffondere all’estero i dettami e le raffinatezze sonore dello stile italiano e, in particolar modo, quello di matrice partenopea.
Per farsi, per l’appunto, un’idea della bellezza dello stile napoletano in chiave strumentale giunge a fagiolo una recentissima produzione discografica della Da Vinci Classics, dal titolo Affetti napoletani. 18th Century Neapolitan Music, che vede il direttore e clavicembalista Riccardo Doni dirigere l’Estrovagante Ensemble (formato da Angelo Calvo e Archimede de Martini al violino, Maria Calvo al violoncello ed Elisa La Marca alla tiorba e alla chitarra barocca) nell’esecuzione di pagine di Pietro Marchitelli, Michele Mascitti, Angelo Ragazzi, Nicola Porpora e Nicola Fiorenza. Per la precisione, di Marchitelli la Sonata I per due violini e basso continuo in mi minore (in prima incisione mondiale) e la Sonata IX per due violini e basso continuo in sol minore (dal Manoscritto Noseda), di Mascitti la Sonata VII a due violini, violoncello, e basso continuo op. I, in re maggiore e la Sonata VIII a due violini, violoncello, e basso continuo op. I, in si minore, di Ragazzi la Sonata a tre per due violini e basso continuo in la minore e la Sonata a tre per due violini e basso continuo in re minore (entrambe in prima incisione mondiale), di Porpora la Sinfonia da camera III per due violini e basso continuo. op. 2, in sol minore e di Fiorenza il Concerto per due violini e basso continuo in re minore risalente al 1728.
Entrando nello specifico, Pietro Marchitelli è riconosciuto come il fondatore della scuola violinistica napoletana e zio di Michele Mascitti, entrambi nati nel paese abruzzese di Villa Santa Maria (a tale proposito, è di indubbia utilità la lettura del saggio Marchitelli, Mascitti e la musica strumentale napoletana fra Sei e Settecento, pubblicato lo scorso anno dalla LIM e curato dal musicologo Guido Olivieri che, tra l’altro, è colui che ha scovato le tre partiture qui eseguite in prima mondiale). Marchitelli, nato nel 1643, studiò presso il Conservatorio Santa Maria di Loreto, uno dei quattro famosi conservatori della città partenopea, sotto la guida di Carlo de Vincentiis, al quale poi succedette come primo violino nella prestigiosa orchestra della Cappella Reale. Grazie alla sua abilità come musicista, Marchitelli fu in grado di accumulare una notevole ricchezza, come si può desumere dal fatto che si poté permettere di possedere ben sette violini di liuteria cremonese Amati, tre violette e una chitarra. Grazie alle sue doti di virtuoso dello strumento, il musicista abruzzese nel 1702 fu al centro di un famoso episodio con Arcangelo Corelli, quando il grande compositore romagnolo giunse a Napoli, umiliandolo con la sua abilità al violino, come ricorda Charles Burney in un gustoso passaggio del suo celeberrimo The Present State of Music in France and Italy. Inoltre, anche un altro eminente storico della musica del Settecento, John Hawkins, nel suo A General History of the Science and Practice of Music incluse Pietro Marchitelli tra i più illustri violinisti d’Europa dei primi decenni del XVIII secolo.
La Sonata IX per due violini e basso continuo in sol minore si contraddistingue per un evidente piglio drammatico che colpisce nell’Allegro iniziale, mentre quello finale appare più disteso e votato a un senso ritmico che tende a rasserenare l’atmosfera che nell’Adagio aveva assunto tinte oscure e melanconiche. Al contrario, la Sonata I per due violini e basso continuo in mi minore mostra una maggiore elaborazione armonica sulla quale il compositore abruzzese fa leva per imbastire una linea melodica più articolata che si fa apprezzare soprattutto nel Presto, mentre un afflato nobile traspare nell’Adagio centrale, con la Sonata che si conclude con un’originale Giga.
Figura altrettanto importante e, per certi versi, più decisiva è quella incarnata da Michele Mascitti, nipote di Pietro Marchitelli e che, come lo zio, nacque a Villa Santa Maria, probabilmente nel 1664, per poi raggiungerlo a Napoli, dove studiò con lui e lavorando in diverse orchestre della città partenopea. Dopo aver lasciato Napoli, il compositore e violinista abruzzese viaggiò per l’Italia, la Germania e i Paesi Bassi, fino a quando, nel 1704, giunse a Parigi, dove si stabilì definitivamente. I motivi di tale scelta sono presto detti: nella capitale francese Mascitti ebbe uno straordinario successo, al punto di potersi esibire davanti al sovrano e alla corte di Versailles, oltre ad avere il privilegio di stampa, un diritto riservato a pochi. Le due Sonate dell’op. 1 qui presentate da Riccardo Doni e dall’Estrovagante Ensemble evidenziano un’indubbia raffinatezza di scrittura e una indispensabile espressività richiesta dagli interpreti, a cominciare dal violino, sul quale si concentra ovviamente una ricercatezza formale che a tratti si abbandona a un chiaro virtuosismo.
Da quella fucina di musicisti e compositori che è stato il Conservatorio di Santa Maria di Loreto uscì un altro valente violinista, il napoletano Angelo Ragazzi, nato nel 1680 e morto a Vienna nel 1750. Anch’egli mosse i primi passi presso la Cappella Reale per poi essere chiamato a ricoprire la stessa mansione nella Cappella Reale di Barcellona. Nel 1713, Ragazzi venne chiamato a far parte, in qualità di violino solista, della Cappella imperiale di Vienna, dove divenne ben presto musicista di camera di Carlo VI d’Asburgo. Dopo alcuni anni trascorsi nella capitale imperiale, il musicista napoletano volle tornare nella sua città natale, nella speranza di assumere la direzione della Cappella Reale, cosa che ottenne solo alla morte di Pietro Marchitelli nel 1729. Ma cinque anni dopo, con la salita al trono di Carlo di Borbone, Ragazzi decise di tornare a Vienna, lavorando per l’orchestra di corte degli Asburgo.
La Sonata a tre per due violini e basso continuo in la minore e la Sonata a tre per due violini e basso continuo in re minore ci mostrano un compositore conscio dei propri mezzi espressivi, soprattutto nel saper dare equilibrio e spessore timbrico agli strumenti con esiti felici in chiave melodica, come si può ascoltare nell’elaborato e interessante Allegro finale della Sonata in re minore (tra l’altro, l’unica tra quelle qui presentate che vanta tre tempi al posto dei canonici quattro).
Potrà apparire strano che in un disco dedicato alla musica strumentale napoletana ci sia il nome di uno degli operisti più celebri della Scuola partenopea, ma in realtà Nicola Porpora è stato anche un apprezzabile creatore di sinfonie, sonate, concerti e ouverture, come per l’appunto dimostra pienamente la Sinfonia da camera III per due violini e basso continuo. op. 2, in sol minore, in cui il dialogo tra i due violini si fa accorato e dolente nell’Adagio sostenuto iniziale, cui segue un elaborato Allegro nel quale il confronto si fa più incalzante e armonicamente più elaborato; l’Adagio centrale mette in luce la tipica cantabilità che Porpora mutua dalla sua abilità di operista, con una melodia che passa da un violino all’altro, accentuando una connotazione di dolce malinconia e, infine, l’Allegro finale si dipana con eleganza e con un chiaro andamento di danza che porta brillantemente alla conclusione questa Sinfonia da camera.
Altro eccelso violinista fu Nicola Fiorenza, nato a Napoli intorno al 1700 e morto nel 1764 sempre nella città partenopea, il quale contribuì a fornire lustro e importanza alla musica strumentale della Scuola napoletana. Personaggio controverso per via del suo carattere indubbiamente difficile, Fiorenza fu anch’egli attivo come violinista della Cappella Reale e ascoltando il suo affascinante Concerto per due violini e basso continuo in re minore ci possiamo rendere conto come la dimensione compositiva sia di indubbia qualità, in grado di elaborare linee melodiche assai originali, ricche di virtuosismo e, allo stesso tempo, votate anche a presenze dissonantiche tali da rendere questo musicista all’avanguardia rispetto ai suoi tempi.
La bellezza, le peculiarità, le caratteristiche, così come le differenze stilistiche sono state messe in evidenza assai bene da Riccardo Doni e dai membri dell’Estrovagante Ensemble, votato ovviamente a una filosofia filologica dell’interpretazione di queste pagine, che permettono di farsi un’idea chiara e precisa della produzione strumentale della Scuola napoletana tra seconda metà del Seicento e primi decenni del Settecento. La direzione di Doni è improntata su una feconda essenzialità, tale da esaltare soprattutto il rimando ritmico su cui si poggia la dimensione compositiva dei tempi veloci, così come l’afflato cantabile che contrassegna i tempi lenti. Da rimarcare la prova di tutti i componenti dell’ensemble, calatisi perfettamente nello spirito e nella resa delle sottigliezze e delle sfumature timbriche di queste pagine.
La presa del suono fatta da Gabriele Zanetti non tradisce, nella restituzione dell’evento sonoro, la qualità della resa artistica della registrazione. La dinamica è assai pulita e veloce nei transienti, e permette al palcoscenico sonoro di ricostruire tutto l’ensemble in maniera credibile, con i suoi elementi presentati a una discreta profondità. Altrettanto validi l’equilibrio tonale, con una corretta riproposizione dei registri dei vari strumenti, e il dettaglio, foriero di matericità e di messa a fuoco.
Andrea Bedetti
AA.VV. - Affetti napoletani. 18th Century Neapolitan Music
Estrovagante Ensemble (Angelo Calvo e Archimede de Martini, violino - Maria Calvo, violoncello - Elisa La Marca, tiorba e chitarra barocca) - Riccardo Doni (direzione e clavicembalo)
CD Da Vinci Classics C00959
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5