La docente e musicologa laziale ha pubblicato un denso saggio dedicato al celebre personaggio de Le nozze di Figaro di Mozart, fornendone un ritratto stimolante e pieno di sorprese. Ne abbiamo dunque parlato con lei per saperne di più sul paggio più famoso della storia dell’opera

 

Professoressa Dichiara, quali sono stati i motivi e gli stimoli che l’hanno spinta a studiare il personaggio di Cherubino e a convogliare gli esiti di questa ricerca nel libro Voi che sapete, dedicato appunto al paggio mozartiano?

L’idea di dedicare uno studio a Cherubino mi ha accompagnato per anni, almeno da quando, studentessa al Mozarteum di Salisburgo, mi imbattei una prima volta nella sua figuretta, nel corso di una mise en scène de Le Nozze di Figaro, precisamente nell’edizione dell’estate 1986, con la direzione artistica della mitica Elisabeth Schwarzkopf, presso lo stesso Mozarteum. Poi, anni dopo, ripresi in considerazione l’argomento, allorquando ebbi occasione di analizzarne a fondo l’intera partitura. Fu in quell’occasione che con alcuni colleghi musicisti, con i quali condividevo un felice percorso di studio, prendemmo ad amare molto l’opera di Mozart. Dopo di allora mi capitò ancora una terza volta di imbattermi nella trilogia italiana ma, soprattutto, di tornare a Le Nozze di Figaro nel mio corso di studi alla Sapienza, ricordo, per un esame con Giulio Ferroni, col quale mi laureai in Letteratura, Musica e Spettacolo. A quel punto, grazie a Philip Gossett ripresi le fila dei miei studi precedenti e cominciai ad avviare una ricerca che potesse dare corpo alla mia aspirazione di porre in risalto il ruolo di Cherubino, senza perdere di vista la struttura dell’opera, il cui baricentro è costituito dai quattro personaggi del Conte e della Contessa, di Figaro e di Susanna. Ben presto mi apparve chiaro che il personaggio del paggio presentasse uno spessore tale da essere significativo nell’impostazione scenico-teatrale e nel taglio musicale. Le letture che seguirono mi convinsero ulteriormente, fino a quando Gossett accettò di seguirmi nell’impresa che è andata avanti nell’arco di qualche anno, tra alti e bassi del lavoro e della vita. Soprattutto, ho pensato di dare al personaggio la giusta collocazione, basandomi anche sui giudizi espressi di volta in volta da critici, studiosi, artisti, che sovente hanno accennato a un suo potere d’azione ben oltre quello di “accessorio” (come lo definisce Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, l’autore francese della commedia teatrale, nella preface), senza tuttavia soffermarsi troppo sulla sua valenza drammaturgica, mentre in me andava invece sempre più chiarendosi la potenza sprigionata dal fanciullo amoroso nel gioco di coppie in primo piano.

Il leggendario soprano francese Emma Calvé nei panni di Cherubino in un dagherrotipo del secondo Ottocento.

Mi ha fatto riflettere quanto ha scritto all’inizio della sua prefazione il grande critico e musicologo americano Philip Gossett, il quale, con manifesta umiltà e correttezza intellettuali, faceva presente fin dalle prime righe del suo intervento che nel corso dei suoi studi non aveva mai dato importanza al fatto che l’intero impianto de Le nozze di Figaro potesse ruotare proprio intorno al personaggio di Cherubino. Il che mi ha fatto tornare in mente quanto affermò il critico letterario americano Edmund Wilson, riferendosi all’esegesi shakespeariana, ossia che spesso agli specialisti possono sfuggire brillanti intuizioni o feconde analisi che riguardano la loro materia proprio per il fatto che ci convivono praticamente a “contatto di gomito”. Come reagì, a tale proposito, il grande musicologo americano quando lei gli fece presente l’esito delle ricerche e delle sue riflessioni?

Ricordo con viva emozione l’incontro decisivo presso l’Università La Sapienza di Roma col professor Philip Gossett, nume tutelare dell’allestimento scenico dell’opera italiana nel mondo. Ascoltando le sue indimenticabili lezioni di Drammaturgia musicale, è avvenuto che io gli parlassi dei miei progetti su Cherubino, onde ottenere un parere illuminato che rischiarasse il cammino. Da allora egli prese a seguirmi e a indirizzarmi e ha continuato a seguirmi con la sua consueta carica sapienziale e umana, fino alla conclusione, e indubbiamente, tale prezioso apporto ha costituito l’atout migliore per il mio lavoro. Inizialmente Gossett condivideva solo in modo parziale la mia intenzione, ma stava a guardare, mi ascoltava e reagiva nei modi più disparati a seconda che io avessi fatto un buon lavoro, come mi diceva qualche volta, oppure avessi proceduto in modo che giudicava poco consono. E quindi arrivavano le sue correzioni, i suoi suggerimenti, finanche le intimazioni! Notoriamente severo e rigorosissimo nel metodo, nei contenuti mi ha sempre invitato ad essere me stessa e a scrivere ciò in cui credevo, rispettando davvero molto le mie idee, pur invitandomi a una narrazione più che mai disciplinata e scientifica, senza mai indulgere a quella che ironicamente amava definire purple prose, un termine con il quale la critica letteraria anglosassone definisce un testo fin troppo ornamentato, fiorito che, invece di esporre un’analisi oggettiva e scientificamente veritiera, pone attenzione soltanto ai suoi eccessi stilistici. Più che essergli sfuggito, il ruolo di Cherubino inizialmente pareva destare una sua qualche curiosità, priva tuttavia di reale interesse, essendo come egli ebbe a dirmi una volta, del tutto estraneo al suo interesse di quel momento, ed essendo generalmente fuori anche dal contesto dei suoi immensi studi relativi all’opera italiana di cui andava occupandosi in quegli ultimi anni tra la Fondazione Rossini, le Edizioni Bärenreiter, ecc. Con tutto ciò accettò l’idea e, man mano che andavo sviluppandola, la condivise. Soltanto una volta tuonò d’oltreoceano, nel frattempo era infatti tornato negli Stati Uniti, che lo avevo trascinato in una cosa di nessun interesse per lui e quello rappresenta forse il momento più nero della genesi del mio libro, ma fu solo una nuvola passeggera e per il resto del lavoro egli condivise con me fino alla fine quasi ogni punto di vista. Gli piacque l’impianto teorico attraverso cui io intendevo dimostrare l’apporto del paggio alla trama, anch’egli convinto che esso si riveli sostanziale, almeno nei primi due atti. E non gli è parso esagerato da parte mia definire il secondo, l’atto di Cherubino, poiché avviene in tale spazio drammaturgico che il paggio sia al centro dell’attenzione e ne condizioni gli eventi. Certamente il finale del secondo atto lo riguarda del tutto (eccettuato il passaggio relativo alla comparsa dei tre guitti Marcellina, Bartolo e Basilio), ed è in tale contesto che i giochi si complicano e l’azione viene a dipanarsi. Gossett gradualmente partecipò alla mia idea e ne divenne sostenitore, ma sempre aspettando le mie mosse, non intervenendo mai, se non in sede di correzione, più che altro con minimi ma essenziali suggerimenti, talora praticando nei miei confronti una sorta di arte maieutica, per cui ero sempre io a proporre. Col tempo, insomma, Philip Gossett si appassionò al mio lavoro e se, allorquando subentrò l’infermità, il suo apporto si fece sempre più ridotto, per me restò prezioso e irrinunciabile. Con sentimento di malinconica nostalgia cito qui la nostra ultima mail, datata 28 aprile 2017, che verte sul titolo del volume. L’editore mi incoraggiava a troncare il verso iniziale della Canzonetta di Cherubino in Voi che sapete cassando che cosa è amor, cui io invece tenevo molto, e l’ultima parola di Gossett fu di dar retta all’editore. Dopo il suo ritorno a Chicago, infatti, i nostri contatti furono mantenuti solo per iscritto e da allora non lo incontrai mai più.

Il grande musicologo statunitense Philip Gossett, scomparso nel giugno del 2017.

Che cosa l’affascina maggiormente in Cherubino? Quali sono gli aspetti che predilige e ci sono magari anche dei “difetti” che invece la disturbano? Le chiedo ciò perché un personaggio come il paggio mozartiano, a causa delle sue peculiarità e delle tentazioni alle quali non può resistere, se esistesse al mondo d’oggi, nella nostra società occidentale, rischierebbe di essere considerato e additato come “molestatore” o, peggio, come stalker.

Credo che il paggio non correrebbe tale rischio. Cherubino è personaggio pieno di fascino. Egli riesce a incantare chiunque lo avvicini; nessuna figura femminile nell’opera è insensibile a quel soffio di leggerezza e di charme che spande intorno a sé. Al contempo suscita simpatia umana nei personaggi che interagiscono con lui. Per di più è ancora tanto spontaneo, ingenuo e fresco da ispirare atteggiamenti di complicità e addirittura sentimenti di tenerezza quando lo si vede in scena ansimante poiché braccato dal Conte. Persino Figaro, che forse animato anche da riottoso spirito di classe, lo irride nella famosissima aria che lo ha reso celebre per sempre, finisce col fare fronte comune con Susanna e la Contessa per cavarlo d’impaccio, fingendo davanti al conte di essersi calato dalla finestra. Tuttavia, è nel suo temperamento l’essere un malizioso briccone, il voler tentare la sorte di continuo con le sue birichinate, fino a spingersi senza alcun timore alla pericolosa conquista della finta Susanna nel padiglione del giardino, nella notte del quarto atto. In definitiva Cherubino è la quintessenza dell’amore. Di lui in questi termini si è detto e scritto molto, da Allanbrook a Tim Carter ecc., e nella veste di un Cupido mitologico, ma anche di un Adoncino, o Narcisetto, icone di imprese amorose, viene magnificato dal testo il suo profilo di cicisbeo in miniatura, creatura di una cultura accademica che strizza l’occhio al mito greco, ma sorride al gioco seduttivo in uso nella vita aristocratica come badinage. Da tale aspetto, poi, al richiamo a un concetto di amore elevato, quale spirito ed essenza primigenia della vita umana, nonché amore inteso in senso universale, il paggio sollecita tutte le declinazioni dell’eterno sentimento. In lui stesso vive una sorta di eternità. Ecco perché non ha eguali. E non ha difetti.

Schizzo di Maggie Teyte nel ruolo di Cherubino ne Le nozze di Figaro dirette da Sir Thomas Beecham nel 1910 a Londra.

Nel corso degli studi su Cherubino e durante la stesura del libro, il personaggio in questione le ha fatto venire in mente un possibile sviluppo del tema della seduzione da sviscerare in un nuovo saggio, concentrando l’attenzione su un altro personaggio che non sia per forza mozartiano? Oppure, se ha già in mente il soggetto di un nuovo libro, quest’ultimo non avrà nulla a che fare con tutto ciò?

Sicuramente esistono nel mondo dell’opera altri personaggi che potremmo chiamare in causa a tale riguardo, basti pensare a Don Giovanni, e se, come lei chiede, volessimo uscire dall’ambito mozartiano, potremmo elencare diversi nomi di “seduttori” di soavi fanciulle o avventurarci in un concetto di seduzione più perverso anche nell’opera del Novecento. Tuttavia, credo che non sia il tema della seduzione ad avermi spinto sulle tracce del paggio. Più che altro, ciò che la sua figura sollecita è l’energia vitale, l’amore per la vita, insieme con altri concetti positivi di cui amiamo arricchirci, concetti anche ideali che tutti cerchiamo di perseguire nelle nostre esistenze, celebrando la bellezza di ciò che di buono ci è dato di assaporare lungo il cammino. Ecco a che cosa mi rimanda questa figuretta impertinente e smaniosa di vivere. All’istinto di sopravvivenza che in ciascuno di noi fa sì che a ogni giorno ne segua un altro di infaticabile ricerca del bene. ra i miei progetti attuali, invece, rientra qualcosa che ha ancora a che fare con Cherubino, poiché dovrei lavorare a un saggio di estetica, a quattro mani con un collega della Sapienza che vorrebbe chiosare il mio profilo del paggio con una sua interpretazione appunto estetica di questo personaggio simbolico. Su altri fronti, invece, vorrei portare a termine un lavoro di analisi testuale di un’opera minore di Brahms, pur col rischio di avvicinarmi a un autore che amo profondamente, che ho studiato, ma non tanto da potermi considerare “esperta”. Se riuscirò a portare a termine tale progetto, sarà comunque per un’analisi circoscritta ad un aspetto particolare e ben definito dell’opera in questione. Di sicuro scelgo sempre di calarmi in fatiche che mi rapiscano totalmente.

Andrea Bedetti