Il nostro collaboratore Roberto Beggio, già docente musicale e clarinettista, ci porta alla scoperta di questo affascinante genere, più precisamente con la prima grande scuola sorta a New Orleans, quando musicisti bianchi e di colore decisero di proporre un nuovo ritmo, rivoluzionario e irresistibile
Molti si chiedono perché la musica dixieland sia nata proprio a New Orleans: la risposta è molto semplice, in quanto a quel tempo la principale città della Louisiana era un crogiuolo di razze e di stili musicali, un crocevia nel quale molti musicisti potevano confrontarsi e scambiarsi idee, concetti, visioni, poiché ognuno portava la propria cultura, il proprio sentire musicale.
Caratteristica del dixieland è il suo aspetto prettamente ritmico che arrivava dal Sud, più precisamente da Cuba, dai Caraibi, mentre l’aspetto melodico e armonico proveniva dai bianchi europei che portavano la tradizione classica, le opere liriche, le marce, i valzer, le polke. Furono proprio questi musicisti bianchi a usare strumenti come il violino, il clarinetto, la tromba, anche se il cosiddetto Dixieland Style derivò dal New Orleans Style, quest’ultimo invece suonato prevalentemente dai neri. Da parte loro, i bianchi crearono uno stile che si avvicinava a quello dei neri, ma sostituendo il tipo di strumenti da usare, in quanto oltre a impiegare, come si è detto, il violino, il clarinetto, la tromba, sostituirono il banjo con il pianoforte, il basso tuba con il contrabbasso, mentre la grancassa, il tamburo e il washboard (ossia la “tavola per il bucato”, appartenente alla famiglia degli idiofoni) furono sostituiti dalla batteria.
Tra i musicisti che fecero la storia del dixieland ci fu Nick La Rocca, trombettista nato a New Orleans nel 1889, ma con i genitori di origini italiane, più precisamente di Salaparuta, in provincia di Trapani. La Rocca fu il primo a intuire la potenzialità di questo stile, al punto di “fissarlo” in una memorabile e storica incisione nel 1917 assieme a Henry Ragas, Edwin Edwards, Larry Shields e all’altro italo-americano Tony Sbarbaro. La peculiarità di questi musicisti è che furono tutti bianchi (e questo contrasta con un’idea che ci si può fare, quella secondo la quale il jazz è una musica nata e fatta fondamentalmente da artisti di colore), ma non si deve dimenticare che a quell’epoca solo i bianchi potevano permettersi il lusso di poter investire somme di denaro per incidere un disco, cosa che invece non poterono fare le prime orchestre dixieland composte da suonatori neri.
Molti sono stati i musicisti che hanno contribuito a far crescere l’entusiasmo attorno a questo rivoluzionario stile, anche se il termine di dixieland style è storicamente assai restrittivo, in quanto all’interno di questo fenomeno non solo musicale, ma più in generale culturale, confluirono anche il New Orleans Style e l’Old Style. Tra coloro che sono passati alla storia, ci furono trombettisti come Louis Armstrong, Buddy Bolden, Freddie Keppard, Bunk Johnson, King Oliver, trombonisti quali Kid Ory, Miff Mole, il clarinettista Sidney Bechet e altri, molti dei quali italo-americani. A proposito di Sidney Bechet, si può affermare che, rispetto agli altri artisti di colore, ebbe un’opportunità in più in quanto fu di razza creola (con il padre bianco e la madre di colore), con la possibilità quindi di studiare in scuole pubbliche, facendo studi regolari e apprendendo molto di più dei “musicisti di strada”.
Una curiosità è che spesso, a New Orleans, ci furono vere e proprie “battaglie tra band”, le quali suonavano per le strade e pur di accaparrarsi il pubblico fino al locale dove avrebbero suonato, sconfiggendo quindi le altre orchestre, dovevano sfoderare tutta la loro bravura e tutto il virtuosismo di cui erano capaci, soffiando con tanta forza negli strumenti per farsi sentire anche a molta distanza. A tale proposito, si racconta che il Buddy Bolden, un autentico mago della tromba, suonasse così forte che si poteva sentirlo addirittura a un chilometro di distanza. Naturalmente, si tratta di una leggenda, ma questo aneddoto ci fa capire come nacque una visione eroica, mitica del jazz, un mito che accrebbe ulteriormente con l’irruzione di una figura indimenticabile, quella incarnata da Bix Beiderbecke.
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Roberto Beggio