Disco del mese di Ottobre 2022
Si fa ancora fatica a considerare, a un anno dalla sua scomparsa, avvenuta in un triste giorno milanese di settembre, come la figura e la musica di Sylvano Bussotti abbiano rappresentato uno dei punti più alti del Classicismo novecentesco, un modello estetico in cui la forma apollinea riesce a scendere mirabilmente a patti con la prorompente energia dionisiaca. Ancora oggi, qualcuno (forse troppi) è ancora soggiogato dalla tentazione di inquadrare le composizioni del geniale musicista fiorentino in un collage di provocazioni, di eruzioni lessicali e sonore imbastite in nome di un vessillo sul quale campeggia la scritta pour épater le bourgeois.
Ecco, il punto è proprio questo: ciò può anche essere vero nella misura in cui Sylvano Bussotti, fin da bambino, decise di scagliarsi verso tutto ciò che ai suoi occhi e alle sue orecchie appariva statico, inerte, inespressivo, incapace di emozionare, se per emozione s’intende ciò-che-dura-nel-tempo. E se la borghesia, illuminata o meno che sia, è depositaria di tale stato inerziale (la storia ce lo insegna), allora Bussotti non fece fatica ad allinearsi e a schierarsi con la celebre affermazione che Ernst Jünger scrisse nel suo romanzo autobiografico Afrikanische Spiele: «Meglio essere un delinquente che un borghese». E musicalmente Bussotti un “delinquente” lo fu, ma con una prodigiosa dose di leggerezza e di dolcezza, perfino in quelle opere, soprattutto teatrali, nelle quali aleggiano sangue e sperma: è come se De Sade avesse scoperto e amato i versi di Sandro Penna.
La musica di Sylvano Bussotti, che sia teatrale o strumentale, ha sempre la prerogativa di una raffigurazione visionaria che obbliga lo spettatore o l’ascoltatore a entrare in un mondo fatato, preso per mano da un fauno che non ha più le sembianze date da Stéphane Mallarmé o, per meglio dire, sono trasfigurate in un fauno che è fonte inesauribile di creatività, quello che, fino all’ultimo, il compositore fiorentino ha impersonato con esaltazione e umiltà. Tutto è teatro, sembra ammonirci, perfino quando questa teatralità tridimensionale (ma sarebbe più opportuno affermare quadrimensionale, tenuto conto dell’importanza che ha il concetto di tempo in Bussotti) viene resa solo da una chitarra e da una voce. Per la precisione, quella di Alberto Mesirca (leggi qui la sua intervista) e quella di Luca Scarlini, che hanno portato a compimento un interessantissimo e, a dir poco, indispensabile progetto discografico pubblicato dalla Brilliant Classics con il titolo di Complete Music for Guitar, che vede quindi raccolto l’intero corpus chitarristico del maestro fiorentino, il quale ammonta temporalmente a meno di quaranta minuti di musica, ma la cui densità creativa ed espressiva oltrepassa l’apparente falla di un tempo ristretto, limitato ma, ancora una volta, essenziale.
E l’essenzialità in lui ha sempre il valore di totalità, come avviene puntualmente anche nel corpus chitarristico, formato da otto composizioni, per la precisione Ermafrodito, mythological fantasy for guitar, brano del 1999 commissionato da Hans-Jürgen Gerung, Ultima Rara (Pop song), Giacchì lu tempu rigidu da Don Ciccio Guëli, Popolaresca, ispirata da un brano tradizionale siciliano del Settecento, Rara (Eco sierologico), Tramontana, nella trascrizione di Alberto Mesirca dalla versione presente in Lorenzaccio e cantata dallo stesso Bussotti di Ninon di Francesco Paolo Tosti, Nuvola Barocca e, per finire, il breve omaggio di Toru Takemitsu a Bussotti per il suo sessantesimo compleanno, A piece for Guitar by Toru Takemitsu.
Il denominatore comune presente in tutti questi brani? Ebbene, quella visione di “classicità” di cui si è accennato all’inizio, se per classicità s’intende la capacità in Bussotti di unire e rendere omogeneo una pletora di concezioni musicali, raffigurative, espressive, letterarie che vanno dal Rinascimento fino ai fiori profumatissimi dell’arte barocca; un’idea del bello nel quale può rientrare quanto delineato dal filosofo tedesco, Karl Rosenkranz, allievo di Hegel, nel suo trattato Estetica del brutto, se per brutto vogliamo considerare ciò che nega o limita la liceità del bello attraverso l’asimmetria, l’assenza di forma, la deformità e lo sfiguramento, il brutto come dimensione intermedia tra bello e comico che trova il suo compimento nella figura del “satanico”. Quindi, un Bussotti come vessillifero di un Rinascimento e di un Barocco “espressionisti”, vale a dire che l’espressione teatrante delle sue opere attinge implacabilmente da una concezione di bello che viene instancabilmente da lui piegata e rimodellata attraverso la sua visionaria creatività, poiché la bellezza la possiamo individuare perfino nella figura del Quasimodo di hugoiana memoria, così come nella figura deamicisiana di Franti, delineata semiologicamente, però, da Umberto Eco, che ne capovolge il significato da negativo in positivo.
Il punto è proprio questo: la dimensione musicale di Bussotti è l’identificazione di un segno che diviene di-segno. Il maestro fiorentino disegna musica, di nome e di fatto, le sue partiture sono già di per sé opere d’arte totalizzanti, delle quali coloro che si avvicinano alla sua opera devono sempre tenere debito conto, poiché il solo ascoltare la musica bussottiana è come amputarla da un organismo più complesso, più articolato, più vitale. E i brani raccolti nel corpus chitarristico sono un’ulteriore prova, testimonianza di questo segno (classico) che con Bussotti diviene di-segno (espressione). Un’espressione nella quale lo strumento a corde abbisogna di un elemento imprescindibile, quello della voce umana, la quale (anche se non è presente in tutti questi brani) ha il ruolo non tanto di illustrare, presentare, delineare, ma di affinare la potenza del segno nella dimensione del disegno di cui si è accennato. E qui, il disegno è potentemente tridimensionale/quadrimensionale, teatro musicale spalmato sulle sei corde della chitarra di Mesirca e su quelle vocali di Scarlini, dando così vita a una vera e propria rappresentazione scenica (e qui, purtroppo, nella registrazione viene a mancare l’apporto visivo, ineludibile nell’estetica bussottiana, poiché il di-segno si esplica in lui anche nella stessa gestualità dell’atto musicale e vocale). Quindi, deve intervenire la forza propositiva di un ascolto “visualizzante”, per dare modo a queste composizioni di essere colte nella loro totalità.
Un’altra considerazione: se c’è una balsamica capacità del fare musica in Bussotti che può essere delineata in questi brani, è quella, altrettanto fondamentale, di saper rendere nobile ciò che originariamente non lo è. Il compositore fiorentino è stato un meraviglioso filtro che attraverso la propria arte ha saputo elevare e portare a debito compimento quei germi che infoltiscono le matrici culturali popolari rinascimentali e barocche, spurgandole, esaltandole, allo stesso tempo, e tramutandole in manifestazione artistica a pieno titolo. Prodigioso setacciatore/affinatore, Bussotti ci fa capire come ciò che consideriamo brutto o vile possa risorgere sotto nuova luce (e Rosenkranz ci soccorre ancora), poiché compito dell’arte non è solo trasmettere il bello, ma di rendere bello. Senza questa resa, senza la presenza di questa trasmutazione alchemica, l’arte è destinata a restare prigioniera di una dimensione puramente mimetica, per dirla con Platone. Dunque, pochi, pochissimi sono stati capaci, come nel caso di Bussotti, ineludibile presenza paracelsiana della musica del Novecento, di tramutare la merda in cioccolata, se per merda vogliamo considerare ciò che apparentemente non è degno di rientrare, in quanto semplice segno, nel di-segno artistico. E, sembra dirci ancora Bussotti, la figura dell’artista risulta realmente libera, solo quando riesce a far divenire disegno ciò che alla sua origine non lo è.
Da quanto si è potuto esporre in queste poche righe, si può ben immaginare la raggelante difficoltà nella reale lettura/disegno di queste composizioni, con la chitarra e la voce umana che devono rendere la dimensione di un tutto, poiché in Bussotti ogni strumento musicale e vocale, per i motivi addotti, divengono un metastrumento. E se la voce di Luca Scarlini, fine conoscitore della concezione estetica e musicale di Sylvano Bussotti, è capace di fornire quell’indispensabile irradiazione spaziale/temporale nella quale l’ascoltatore/spettatore deve precipitare, grazie a una tavolozza di sfumature lessicali e foniche in grado di entrare in totale empatia vibrazionale con lo strumento musicale, la chitarra di Alberto Mesirca ha la capacità di sondare l’arcipelago alchemico-sonoro di questi brani. Così, Ermafrodito diviene una straordinaria esplorazione di un diamante, andando a palpare le sue tante sfaccettature, Tramontana si trasforma idealmente nella profondità paesaggistica presente nei dipinti di Caspar David Friedrich, nei quali l’elemento naturale schiaccia e minimizza la presenza umana, Popolaresca assume alle orecchie (e agli occhi) dell’ascoltatore il vezzo leggiadro di una tavolata dal sapore boschiano dalla quale possiamo contare una ad una le gocce di vino e le briciole di pane sparse su di essa. E poi il contatto fisico, sessuale con lo strumento, la sua intimità scoperchiata, il cui nudo non offende, ma eccita esteticamente attraverso la lettura di Ultima Rara e Rara.
La densità interpretativa, la bollente lucidità con la quale viene portata avanti, epifania ideale della musica bussottiana, è tale che questa registrazione può, con ogni diritto, essere considerata come quella più idonea per affrontare il multiverso estetico di Sylvano Bussotti, il suo biglietto da visita, i propilei nei quali addentrarsi nella sua musica. Con un unico auspicio: di non uscirne più.
Disco del mese di ottobre di MusicVoice.
La presa del suono, effettuata da Andrea De Marchi, è estremamente buona e va ad impreziosire la resa artistica della registrazione. La dinamica è oltremodo generosa nella sfera energica e della velocità presente nei transienti, ma senza presentare colori indesiderati nella chitarra e nella voce. Ne consegue un palcoscenico sonoro nel quale la chitarra e la voce sono ben ricostruite al centro dei diffusori con una fisicità ravvicinata rispetto l’ascoltatore, senza però risultare sfuocata. L’equilibrio tonale è parimenti efficace, in quanto il registro medio-grave e quello acuto sono sempre ottimamente scontornati e messi a fuoco; il dettaglio è prodigo di matericità e permette, di conseguenza, grazie alla sua “tatticità”, un ascolto mai faticoso.
Andrea Bedetti
Sylvano Bussotti – Complete Music for Guitar
Alberto Mesirca (chitarra) – Luca Scarlini (voce)
CD Brilliant Classics 96638
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4,5/5