Il giovane pianista e violinista triestino ha debuttato a livello discografico registrando per l’etichetta Stradivarius l’opera omnia per solo pianoforte di Francesco Pennisi, uno dei fondatori del gruppo di Nuova Consonanza. In questa intervista, spiega le finalità del suo lavoro d’artista e quanto sia stata importante per lui la musica del compositore e pittore siciliano
Maestro Cascioli, quale debutto discografico ha scelto un autore non certo conosciuto dal grande pubblico, un compositore “esoterico” come Francesco Pennisi, che per le sue peculiarità totalizzanti del suo fare arte, pone precise richieste di ascolto e di debita riflessione. Perché una scelta così elitaria, al di là dell’indubbia validità che la musica pianistica dell’artista siciliano vanta?
Nonostante l’opera di Francesco Pennisi non sia mai entrata nel repertorio “classico” della musica moderna, la sua figura mi era nota sin dall'infanzia, poiché i miei genitori, entrambi musicisti, lo hanno spesso inserito nei loro programmi da concerto. Mia madre ebbe anche la fortuna di conoscerlo personalmente, essendo stata allieva di Mariolina De Robertis. Non li ho mai sentiti suonare assieme dal vivo, ma la fortuna di poter sfogliare in gioventù spartiti come Carteggio, Dal manoscritto Sloan, Note e paragrafi sull’op. 15, Nuit sans étoiles, Sopra la lontananza mi ha permesso di scoprire presto l’arte pennisiana, la cui eleganza mi è rimasta impressa.
Così, a distanza di anni, ho intrapreso questa ricerca personale, chiedendo al Fondo Pennisi gli spartiti delle opere pianistiche, per approfondire una parte del catalogo del Maestro ancora poco conosciuta. Dopo uno studio lungo ed intenso, ho deciso di testimoniare questa ricerca con una registrazione, pubblicata ora da Stradivarius, che per la prima volta nella storia racchiude il corpus pianistico di Pennisi.
Una scelta, quella da lei fatta, che ha posto allo stesso tempo anche la risoluzione di problematiche di ordine “filologico” per ciò che riguarda le stesse partiture. Ce ne può parlare?
La maggior parte delle composizioni di Pennisi è estremamente curata, nella grafia e nel segno, ed è questo uno dei tratti più significativi della sua estetica. In altri casi, però, ci troviamo di fronte a manoscritti inediti di difficile codifica. In particolare i brani relativi alla tarda produzione, dedicati a Giuseppe Scotese, ci sono pervenuti con molte imprecisioni nella scrittura, come se fossero rimasti provvisori. Non è stato facile decifrarne il contenuto, talvolta sono stato costretto ad operare delle lievi modifiche, cercando di intuire le intenzioni musicali che il tratto suggeriva. Persino i brani editi contengono numerose imprecisioni, tra errori di stampa e defezioni nella notazione ritmica. In questo caso, però, la scrittura quadrata dei brani giovanili (Sei pezzi brevi, Musica per pianoforte) permette di risolvere con più facilità i dubbi che insorgono di fronte a problematiche musicologiche che, comunque, andranno approfondite in futuro.
È ovvio che parlare di Pennisi musicista significa includere anche il Pennisi pittore. In che senso può essere espressa pianisticamente la sua musica, tenendo presente che l’esecuzione stessa deve rimandare necessariamente anche alla sfera pittorica, di un’arte che impone linee, figure, colori, prospettive?
A differenza dei brani da camera come Chanson de Blois, piuttosto che Nuit sans étoiles o Icaro a Capodimonte, in cui i disegni sono parte integrante delle composizioni, nei pezzi pianistici Pennisi non ricorre all’aggiunta di alcuna opera pittorica, eccezion fatta per Deragliamento, che, come Carteggio, è stato concepito per un disegno teatrale di più ampio respiro, in cui le varie arti si fondono in un unico concetto.
Ciononostante, la cura con cui Pennisi cesella ogni dettaglio della scrittura, rende lo stesso spartito una vera e propria opera d'arte. Si guardi Promenade o Canzone da Sonare per rendersi conto della grazia con cui viene realizzato ogni singolo particolare. Ritengo inoltre che la cura della notazione non sia solo un vezzo estetico, ma che rappresenti pure un valido indizio per comprendere al meglio la lettura interpretativa di certi passaggi.
Ad esempio, tutti i gruppetti di acciaccature, da eseguire rapidi, velocissimi, che oltre ai già citati Promenade e Canzone da Sonare si trovano in Una lettura deviata, In un foglio, Maybe blues, e nei vari frammenti, sono scritti con una precisione ed una grazia tali da sottintendere un’esecuzione immediata, svolazzante, leggiadra ma anche regolare di passaggi così delicati... dei veri e propri arabeschi musicali!
Lei, oltre ad essere pianista, è anche un valente violinista, la cui arte interpretativa si focalizza su tematiche barocche filologicamente informate. Quanto di violinistico, e viceversa, ci può essere quando lei siede di fronte alla tastiera del pianoforte? Ossia, ci può essere a livello inconscio un’“invasione di campo” del modus essendi violinistico che può influire sulla resa pianistica? E ciò può essere un arricchimento o un risultato ermeneutico da evitare?
Il polistrumentismo è un’enorme risorsa che consiglio a chiunque desideri avvicinarsi all’impervio mondo della pratica musicale. Aiuta ad avere una visione ampia dei repertori e degli stili interpretativi, evitando di fossilizzarsi su certi cliché che, per ragioni fisiologiche e in certi casi culturali, ogni strumento porta seco. Certamente, le peculiarità violinistiche del vibrato, dell’intonazione, dell’arco possono solo essere immaginate alla tastiera del pianoforte. Ma sono convinto che la vera fonte d’ispirazione per tutti noi sia il canto.
Ogni strumento nasce con l’intento di imitare la voce umana, e, non a caso, la musica di tutte le epoche è stata scritta mantenendo fermo il principio del fiato e del respiro, fonti imprescindibili non solo del suono, ma della vita stessa. Lo strumentista che non respira non fa musica, perché senza respiro la musica non vive. Ne ho avuto conferma quando ho iniziato, ad Erfurt, a intraprendere la carriera lavorativa nel teatro lirico, in veste di maestro collaboratore, ruolo che tuttora ricopro. Il violino mi ha dato tanto, ma accompagnare, o semplicemente ascoltare i cantanti è un’esperienza fondamentale per qualsiasi musicista.
In tutto ciò c’è anche lo Stefano Cascioli compositore a formare idealmente una trimurti artistica. Come può essere definita la sua arte compositiva? Su quali linee storiche si forma e si applica?
È difficile definire il proprio stile, non potendosi collocare in una corrente precisa. Non ho mai provato attrazione per lo sperimentalismo. Adoro invece approfondire le varie tecniche compositive del passato, rivisitandole e adattandole al mio gusto personale, cercando il più possibile di rispettare l’organologia degli strumenti e di rimanere antidogmatico, oltre a non nascondere una certa autoironia che fa parte del mio personaggio. In tutto questo, sento forte la lezione di Pennisi.
Quali sono i suoi prossimi progetti discografici?
Mi piacerebbe approfondire ancora la letteratura d’avanguardia italiana, ancora troppo poco conosciuta. Ci sono altri compositori che andrebbero senza dubbio rivalutati, in questa ottica. Ma non ho progetti imminenti, per cui mi godo ancora la soddisfazione di aver portato a termine questa prima fatica discografica.
Andrea Bedetti