Il giovane pianista pugliese Alfonso Soldano ha dedicato un saggio musicologico e una registrazione discografica a questo compositore ucraino naturalizzato austriaco, fedele paladino del sistema tonale in un’epoca ormai dominata dai nuovi linguaggi musicali. Ne abbiamo parlato con l’autore, uno degli ultimi allievi del grande Aldo Ciccolini

Maestro Soldano, lei ha dedicato al pianista e compositore ucraino naturalizzato austriaco Sergej Bortkiewicz una grandissima attenzione: ha registrato per l’etichetta inglese Divine Art un CD con alcune pagine di questo musicista, inoltre ne ha scritto un saggio-biografia sulla vita e sull’opera. Per quale motivo, a suo avviso, Bortkiewicz è così importante?

Il pianista e musicologo Alfonso Soldano.

La frequentazione alla musica dell’Est Europeo è partita molti anni or sono per me, e da allora non ha fatto che attirarmi la conoscenza di questo terreno musicale così vasto e sfaccettato, già ricco di figure autorevoli. Avvicinandomi alla musica di Bortkiewicz ho potuto appurare quanta semplice qualità e bellezza ci sia ancora in serbo per gli amanti della musica o semplici sognatori, da esplorare avidamente.  Ecco io ritengo che nel panorama musicale a disposizione abbiamo una quantità di musica enorme, ma Bortkiewicz coniuga perfettamente la sua innata vena lirica, comunicativa e diretta, senza sovrastrutture, a una varietà sorprendentemente concepita nella totalità della produzione, per generi e impegno (senza per questo perdere di valore), tale da permettere l’approccio di una vastissima utenza, dal semplice amatore al giovane musicista in erba, al professionista curioso. Merita di certo un’opportunità!

Ascoltando la sua interpretazione delle pagine di Bortkiewicz nella registrazione effettuata per la Divine Art, questo autore si pone dalla parte della visione musicale ed estetica di un Rachmaninov e di un Metner, ancorati entrambi ancora al linguaggio tonale, nonostante siano vissuti fino alla prima metà del Novecento. Secondo lei, ci sono però degli aspetti in cui il pianismo del compositore naturalizzato austriaco si discosta dagli altri due colleghi?

Sergej Bortkiewicz e la moglie Elisabeth (nel centro della foto) nel 1942.

Bortkiewicz amava definirsi, appunto, un “piccolo Čajkovskij”, segno del suo desiderio di continuazione. Non amo incasellare un artista, credendo nella natura nitida di ogni penna e linguaggio, figli di un grande spirito, ma se devo pensare a Bortkiewicz dandogli una “sistemazione” nel pantheon dei grandi compositori, io lo reputo “il Grieg dell’Est”. La sua abilità e disinvoltura nelle miniature, così come nei pezzi descrittivi, la sua capacità di rendere essenziale all’orecchio ciò che nella materia pianistica è ardimentoso tecnicamente, la sua splendida vena lirica e armonica, così ricche di nuances, la sua solidità compositiva al tempo stesso espressa in forme musicali lunghe (opera lirica L’Acrobata, due Sinfonie, Sonate, molti concerti e musica vocale), sono duttili pregi che mi fanno propendere in questa direzione. La sua scrittura pianistica può riservare piacevolissime gratificazioni timbriche, tecniche, interpretative, gestuali, come i suoi illustri coetanei della generazione russa del Settanta.

Leggendo il libro che gli ha dedicato, ne viene fuori la storia di un musicista che, insieme con la moglie Elisabeth, dovette affrontare enormi dolori e inenarrabili sofferenze (si pensi soltanto al fatto che durante il primo conflitto mondiale vide la madre morire di tifo senza poter far nulla e che nel corso della Seconda guerra, abitando a Vienna, fu costretto a vivere di stenti e vergognose privazioni). Eppure, dalla sua musica, così elegiaca, intrisa di lirismo e di fascinosa dolcezza, tutto ciò non viene fuori…

È proprio così! Leggendo le lettere si può appurare proprio questo: Bortkiewicz viveva “nella” sua musica, come fosse una sorta di bolla esistenziale, un’oasi e un rifugio. Raramente tradusse in musica gli orrori: preferì circondarsi di suoni nei ricordi, basti ascoltare la sua Prima sinfonia dal sottotitolo “La mia terra natale”.  Penso avesse il dono delle vite straordinarie, quello di non farsi snaturare dagli agenti esterni, il dono della perseveranza.

Per quale motivo ha voluto intitolare questo libro Il confine dell’inganno? A che cosa si riferisce?

Ho scelto questo titolo per il mio libro quasi senza pensarci. È emerso leggendo una lettera di Bortkiewicz nel quale lamentava, pur perseverando, l’enorme quantità di disagi che era costretto a sopportare. Da persona colta e benestante qual era per nascita e fortunata educazione, Bortkiewicz citava la celeberrima frase tratta dalle Catilinarie: “Quosque tandem?”. In quella lettera il musicista si chiedeva: «Quanto a lungo può durare l’inganno per un essere umano che bussa alla porta della vita da predestinato (ricco, talentuoso, bello e nato nell’epoca d’oro del pianoforte), e invece sprofonda nell’abisso di una sofferenza senza apparente via d’uscita? Qual è il confine di questo inganno? La ruota della sorte girerà a favore finalmente o, a un certo punto, non resta che mollare?». Questo si chiede Bortkiewicz, un uomo come gli altri, un compositore come pochi.

Alfonso Soldano con il grande Aldo Ciccolini, ai tempi in cui era un suo allievo.

Maestro Soldano, lei è stato uno degli ultimi allievi di Aldo Ciccolini. Che cosa le ha insegnato, al di là della tecnica e dell’espressività pianistiche, e che cosa la colpiva maggiormente di lui?

Aldo (tale era affettuosamente e semplicemente per tutti coloro che avevano avuto il privilegio di incontrarlo nel proprio cammino), da sommo artista qual era, insegnava anche quando non ne aveva l’intenzione! Conversare con lui o commentare registrazioni per ore, mesi, anni, significava alimentazione inesauribile, tant’era il suo sapere. Mi ha sempre colpito di lui l’estrema purezza e coerenza, mi ha insegnato che lo stile in musica è ideale nella vita, e che chi non ne ha, è perduto. Penso che si suoni “come si è”, e lui appunto era così come quando suonava: chiaro fino all’inverosimile in ogni dettaglio tecnico, colore, scelta dei tempi. Quasi quindici anni insieme, cruciali per me, nella fase da adolescente a uomo, sono stati sempre “lezione”, anche al di fuori del pianoforte e le sue controversie, i suoi misteri, le sue sfide: proprio per questo ogni volta che ne ho l’occasione condivido con l’interlocutore (amici, allievi, colleghi, curiosi) una frase di un bel dì, di un po’ di tempo fa: «Caro, la musica è per i COCCIUTI!».

Oltre a Sergej Bortkiewicz, ci sono altri musicisti ai quali in un prossimo futuro dedicherà una o più registrazioni, magari accompagnate anche da un saggio musicologico?

Sì! Ho coltivato l’interesse per lungo tempo nei confronti di Mario Castelnuovo Tedesco, ed è in uscita in primavera un disco con Divine Art interamente dedicato alla sua musica per pianoforte solo (saranno presenti due prime registrazioni assolute, una delle quali riguarda un lavoro tuttora inedito). Credo che mi occuperò di un saggio musicologico a riguardo della sua produzione pianistica, talmente copiosa quanto ancora inesplorata. Si tratta del Ravel italiano ed è una vera e propria missione per me valorizzare un autore che è nostro patrimonio culturale. Inoltre sono già ufficiali due nuove registrazioni che usciranno nel 2018, una dedicata interamente a Čajkovskij e una a Rachmaninov.

Andrea Bedetti