Il celebre violinista inglese in questa intervista spiega il suo rapporto con i grandi strumenti ad arco del passato, dei quali è eccelso conoscitore e interprete, oltre ad essere uno “stakanovista” delle sale di registrazione, visto che ha all’attivo già settanta dischi e molti altri in preparazione, a cominciare da quelli legati all’affascinante progetto “The Great Violins”
Maestro Skærved, perché ha deciso di dare vita a questo progetto discografico, con l’etichetta americana Divine Art, dedicato a “The Great Violins” e che presenta registrazioni fatte con preziosi strumenti ad arco storici?
Penso che dovrei dire che sono molto fortunato, nel senso che le registrazioni discografiche rappresentano una parte assai importante della mia vita (se non ricordo male ho pubblicato circa settanta dischi) e che questa attività è sempre stata, se così si può dire, un “progetto guidato”. Ogni registrazione che ho fatto ha rappresentato un progetto che è stato sognato, sviluppato e concluso. Non ho mai registrato nulla solo tanto per “fare un disco”. Fino a questo momento, infatti, tutti questi progetti sono stati “guidati”, nel senso che sono stati ispirati dal mio costante lavoro con i compositori viventi, anche se c’è, in effetti, un costante andare e venire da parte mia tra la musica del nostro tempo e quella del passato. Una delle ragioni di ciò è che non riesco a vederne la differenza, in quanto non sono interessato a essere considerato uno specialista in un preciso campo o in un particolare tipo di musica, ma credo che in qualità di artista debba immergermi totalmente in qualunque cosa stia facendo e impegnarmi con la musica che suono sempre con grande energia e a lungo termine. Così, ho avuto la fortuna di collaborare con alcune interessanti etichette discografiche che hanno incoraggiato e permesso molte delle mie esplorazioni musicali. Stephen Sutton, il deus ex machina della Divine Art, è stato fonte di tale ispirazione e sono orgoglioso di dire che, nelle collane della sua label, ho pubblicato tutte le Sonate di Beethoven (e la Sinfonia Eroica), dischi di Grieg, di Roberto Gerhard, di Michael Finnissy, di Robert Saxton, della nuova musica catalana, di Sadie Harrison, George Rochberg, Paul Pellay e altri ancora.
Molti dei miei progetti, in tutto il mondo, hanno coinvolto la ricerca e lo studio degli strumenti che poi ho suonato. Anche in questo caso sono stato molto fortunato, in quanto nel corso della mia carriera ho quasi sempre avuto modo di poter suonare grandi strumenti cremonesi, oltre a collaborare con le collezioni europee e americane che possiedono questi strumenti. Ciò ha permesso di dare vita a progetti con il Guarneri del Gesù – il celeberrimo “Cannone” – appartenuto a Paganini a Genova e a Londra, così come con i grandi strumenti conservati nelle collezioni della Library of Congress a Washington o in quelle del Metropolitan Museum di New York, nonché con la straordinaria collezione della Royal Academy of Music di Londra, dove sono il “Viotti Lecturer” (ossia docente specialista per ciò che riguarda la vita e le opere del grande compositore e violinista italiano, ndr). Il mio interesse per questi strumenti si estende da quello che riguarda la loro costruzione attuale e quella fatta in passato fino agli “echi” che si possono trovare negli strumenti suonati e di proprietà di grandi interpreti e compositori del passato.
Quanti dischi pensa di poter dedicare al progetto de “The Great Violins”?
Diciamo che continua a crescere; abbiamo già pubblicato i primi due volumi (il secondo, quello dedicato al violinista norvegese Ole Bull con il suo Amati è uscito proprio recentemente [vedi recensione]) e sono in procinto di pubblicare il ciclo di Bach con lo “Joachim” Stradivari costruito nel 1698. In autunno registrerò brani di Viotti sul suo violino, l’impareggiabile “Viotti” Stradivari del 1709, e poi composizioni di Elgar che eseguirò facendo affidamento sul sorprendente archetto Tubbs da lui posseduto e suonato. E potrei andare avanti!
Che cosa significa suonare su violini storici come quelli di Stradivari e di Amati, tanto per citare due leggendari liutai? Quali sono le maggiori differenze da quelli moderni e quali le possibili difficoltà?
Migliore è il violino, più difficile diventa suonarlo. Uno strumento che è facile da suonare non mi offre nulla di cui ho bisogno. Ogni grande strumento, moderno o antico che sia, offre sfide e illuminanti scoperte in eguale proporzione. Quando suono il Guarneri del Gesù appartenuto a Fritz Kreisler e conservato oggi alla Library of Congress di Washington, devo “aggiustare” il mio modo di suonare, ripensando il mio approccio fisico e concettuale, sia per ciò che riguarda il suono, sia per ciò che concerne la sua manifestazione. Questo è paradigmatico per ogni strumento. Nel mese di dicembre, ho registrato e fatto un video con un meraviglioso (ed enorme!) violino costruito da Maggini, suonando brani musicali (i Capricci di Biagio Marini) che furono composti nello stesso periodo storico in cui quello strumento fu creato. Ebbene, è come se Marini da una parte e Maggini dall’altra mi avessero detto: “Guarda che non sai nulla per ciò che riguarda il violino, quindi vedi di imparare!”. Ed è proprio ciò che cerco sempre di fare.
A suo avviso, Maestro Skærved, in quale modo oggigiorno possiamo riconoscere il “vero” stile violinistico antico? Voglio dire, in che modo possiamo essere certi del fatto che l’interprete possa suonare usando lo stesso stile dei grandi esecutori del passato?
Sono interessato a ciò da due punti di vista. In primo luogo, perché dovremmo esplorare tale contesto il più profondamente possibile, imparando il più possibile. Trascorro enormi quantità di tempo con i trattati, con i diversi strumenti, pensando a un cambiamento sociale, al contesto, cercando di immaginare ciò che è stato perso. È però importante anche non essere limitato da regole, accettando e aspettandoci che a volte abbiamo bisogno di “un atto di fede” per ciò che riguarda il suono e lo stile. D’altronde, non potremo saperne abbastanza, mai… quindi in ciò vi è un senso di liberazione. Questa mattina stavo lavorando su un particolare pezzo che ho scritto e che presenterò in anteprima a Nicosia lunedì prossimo. Un pezzo che utilizza l’“antica aria di Pindaro” che Jean-Jacques Rousseau presenta nella sua storia della musica. Naturalmente, Rousseau non sapeva che suono potesse avere la cetra che Pindaro suonava e nemmeno io, se è per questo! Tuttavia, con il violino, posso avere una conversazione con l’autore (e compositore) de Les Confessions sulla Grecia antica e possiamo cercare di fare il salto insieme!
Qual è il più incredibile violino antico, con il suono più bello, che abbia mai avuto la possibilità di suonare?
Il violino più incredibile è quello che ho in mano ogni volta che lo sto suonando. Oggi, per esempio, è un violino di Girolamo Amati del 1629. Martedì scorso, stavo registrando su un viola incredibile, costruita agli inizi del 1800 dal grande Matthews Hardie, che la “ricavò” da una viola da gamba del 1670 di Richard Meares. E ieri stavo lavorando con un team di ingegneri che stanno sviluppando un nuovo materiale, adatto per costruire violini, basato sula seta tessuta. Già i violini che questo team sta ideando sono fonte di ispirazione e cambiano il mio punto di vista su “quello che è un violino”! La prossima settimana darò concerti su tre diversi violini, costruiti in tre diversi secoli, e ognuno di essi mi insegna e mi ispira in modi altrettanto diversi.
Dopo il progetto dedicato a “The Great Violins”, darà inizio a una nuova “avventura discografica”?
Come ho accennato in precedenza, l’attività legata alla registrazione è una costante per me, così ci sono sempre dischi in produzione e allo studio. Quando ritornerò dal mio concerto a Cipro, la prossima settimana, registrerò la seconda parte del mio disco dedicato alle Sonate di Hans Werner Henze. Ho registrato la Sonata per viola due giorni fa. Questo sarà il terzo disco di Henze che pubblico per la Naxos. I primi due sono stati dedicati ai quattro lavori concertanti per violino e orchestra. Dopodiché, una settimana più tardi, andrò in studio con il mio quartetto per registrare l’ottavo quartetto di David Matthews, che completerà il quinto volume dell’integrale dei quartetti di questo musicista per l’etichetta Toccata Classics. Nel frattempo, ci sono alcuni dischi che stanno passando attraverso il processo di produzione in questo momento, ossia le opere per violino e pianoforte di Thomas Simaku (per la Naxos), le tre Sonate di Schubert, registrate con un pianoforte quadrato (il pianoforte quadrato o a tavolo è un tipo di strumento simile al clavicordo, con le corde disposte trasversalmente anziché longitudinalmente rispetto alla tastiera, in modo da occupare meno spazio ed essere impiegato in piccoli ambienti, ndr) e i lavori da camera di Jeremy Dale Roberts. Produco tutte queste registrazioni, quindi c’è molto da fare prima della pausa estiva. Inoltre, c’è un fantastico disco dedicato alle Lachrymae Variations di David Gorton, che sta per essere pubblicato con il mio ensemble d’archi Longbow, una registrazione della quale sono molto orgoglioso. Ma torniamo alla sua domanda, a proposito delle mie future avventure di registrazione. Beh, ce ne sono alcune di veramente impegnative: le opere complete per violino di Elgar, registrate simultaneamente con un’antiquata tecnologia di registrazione e con una digitale, le sonate e i concerti di Mozart, un disco con il concerto e i brani per solo violino di Mihailo Trandafilovski… e molto altro ancora!
Andrea Bedetti