Da ventitré anni a capo di una delle formazioni corali più prestigiose al mondo (si avvicina al record di Monteverdi, che ricoprì questo ambito ruolo per ben tre decenni), il musicista e compositore riminese ci ha rilasciato un’intervista senza peli sulla lingua prima dell’esecuzione di un concerto con brani del divino Claudio nella magica atmosfera dell’aretina Basilica di S. Francesco, nel quadro della XVIII edizione del Festival Terre d’Arezzo
Maestro Gemmani, lei dirige da più di trent’anni. In tutto questo tempo, com’è cambiata la sua gestualità? E a un certo punto, soprattutto quando si dirige una formazione corale da decenni, come nel caso della Cappella Marciana, si può parlare di una “gestualità stenografica”?
Direi di sì, nel senso che io ho imparato al conservatorio la gestualità classica che va dal famoso tempo scandito “a croce” o “a triangolo”, come si usa di solito per la musica orchestrale o comunque strumentale e, piano piano, sono giunto anch’io alla conclusione, come molti altri maestri di coro, specificatamente per la musica vocale, soprattutto quella rinascimentale, che non ha senso andare con il gesto, con la scansione binaria o ternaria indicata nel tempo in chiave, ma è molto importante invece seguire l’accentazione della parola, che ovviamente spesso i maestri spostano rispetto al ritmo, binario o ternario che sia, appositamente per evitare la noiosità di una ripetizione, il classico valzerino zum-pa-pa, o come una polka, tanto per capirci.
Una domanda che mi sta molto a cuore. Che cosa sarebbe l’Occidente, badi bene, non la musica occidentale, ma l’idea di Occidente, senza il contrappunto?
Allora, tenga presente che fino al 1094 non esistevano Occidente e Oriente, in quanto la cultura musicale era la stessa ed era monodica. Poi, dobbiamo considerare che fino al 1300, comunque, non c’è stata tanta diversità tra il cosiddetto Oriente e il cosiddetto Occidente, come li consideriamo invece oggi, perché la protopolifonia era molto simile. Improvvisamente, con l’arrivo della cosiddetta Ars Nova, soprattutto con l’irruzione dei Fiamminghi, l’Occidente ha preso una strada fortemente dedicata alla scansione sincronica di melodie differenti, di melodie con testi differenti. Questo ha portato a inevitabili problemi di verticalità, che sono stati risolti piano piano in diversi modi, fino ad arrivare al momento culminante nel Cinquecento, quando si è deciso di mettere solo consonanze e questo è stato molto importante perché ha permesso poi al mondo occidentale di sviluppare ciò che noi chiamiamo contrappunto, con l’idea di creare delle “cattedrali sonore” con diverse melodie che si costruiscono e si basano l’una sull’altra.
Spesso ha avuto modo di dirigere opere, create appositamente per la Basilica di San Marco, in altri luoghi. Ebbene, come cambia la direzione in posti così diversi a livello acustico?
Beh, intanto c’è da dire che anche in San Marco stiamo facendo ancora molte sperimentazioni, in quanto non abbiamo ancora raggiunto una compiuta, totale conoscenza acustica di questo meraviglioso edificio sacro. Per ciò che riguarda altri posti, c’è effettivamente un problema perché a San Marco l’acustica è davvero… divina. In altre parti invece, a cominciare da che cosa succederà stasera (leggi l'analisi del concerto), è possibile che la musica si accavalli e che le polifonie vengano mischiate brutalmente, senza contare il problema riguardante un eccessivo riverbero che vedremo di risolvere portando i coristi molto avanti in modo che la gente possa percepire più chiaramente tutta la trasparenza delle linee polifoniche. Quindi, in generale, la direzione dipende molto soprattutto dalla scelta del luogo, unitamente a un lavoro di unità del gruppo corale, facendo in modo che fisicamente possa essere compresso, oppure allargato, senza dimenticare che è altrettanto importante dirigere con molto movimento, per il semplice fatto che altrimenti i coristi fanno fatica a seguirmi.
Quindi, quando si crea questo problema, si cerca di risolverlo a livello empirico, a seconda del luogo in cui vi troviate, cercando di attenuare quelle che sono le difficoltà per una corretta resa sonora.
Sì, tenga presente che i musicisti marciani, non Monteverdi che arriva da Mantova, avevano imparato a fare le armonie in modo che se anche ci fosse stato questo problema, non avrebbe disturbato. Questo per il semplice fatto che l’armonia si evolveva una nell’altra molto lentamente e quindi non dava fastidio, anche perché non dimentichiamo che in San Marco c’è molto riverbero in quanto sono presenti molti punti di presa sonora che cambiano molto l’acustica.
Maestro Gemmani, qual è il suo rapporto con la musica contemporanea?
Beh, io sono anche compositore, tanto è vero che con la Biennale musica abbiamo collaborato più volte e collaboreremo anche in futuro. E poi non si dimentichi che a San Marco è sempre stata fatta musica contemporanea, dal Cinquecento in poi. Anche per noi, quindi, è una cosa normale. Inoltre, bisogna considerare, per ciò che riguarda il nostro genere specifico, che ci sono molti compositori che scrivono musica in maniera molto corale, non in maniera astratta, ma in un modo molto concreto, molto soft, se così si può dire. Molti di questi lavori funzionano assai bene, anche perché ho potuto constatare che la musica corale contemporanea si è sviluppata tantissimo proprio in questi ultimi sei-sette anni.
Lei non vanta una discografia molto numerosa. Questo perché ha un cattivo rapporto con il suono registrato?
No, non è per questo. Semmai, è perché ho un grosso difetto, per il fatto che ho sempre voluto fare musica con chi avevo fra le mani, ossia non sono mai andato a cercare grandi interpreti. Diciamo, comunque, che quando sono arrivato alla Cappella Marciana, se proprio devo essere sincero, il livello tecnico era molto basso, quindi ho dovuto quindi aspettare, lavorando moltissimo sui coristi e quando mi sono reso conto che il livello qualitativo si era finalmente alzato, allora, a quel punto, ho cominciato a effettuare registrazioni, e questo solo negli ultimi quattro-cinque anni.
A proposito della qualità della Cappella Marciana attraverso i secoli, è un qualcosa che mi ricorda molto quello di un’onda sinusoidale. O sbaglio?
No, assolutamente. D’altronde, anche quando Monteverdi arrivò a Venezia per assumere il ruolo di maestro di cappella, il livello era molto basso, in quanto evidentemente Giulio Cesare Martinengo non era stato molto bravo… e quindi, per prima cosa, dovette licenziare buona parte dei cantori e acquisirne altri. Ma questo è un problema che si è posto spesso, come nel 1930, quando subentrò Matteo Tosi.
Qual è, tra i tanti che ha avuto modo di affrontare, un compositore particolarmente ostico per via del gesto, in quanto difficile da trasmettere al coro?
Nessuno, nel senso che non esistono grossi problemi in generale, se si riesce a capire quello che aveva in mente l’autore. A questo punto, il gesto diventa automatico e funziona tutto molto bene. Forse, se proprio si deve fare un’eccezione, è Claudio Monteverdi, specialmente nella Missa in illo tempore.
Un’ultima domanda, più che altro una curiosità. Lei sa che John Eliot Gardiner sta scrivendo una monumentale biografia dedicata proprio a Monteverdi?
La cosa non mi meraviglia, visto che ha interpretato Monteverdi per tutta la vita!
Andrea Bedetti