L’universo pianistico a quattro mani di Mozart
Dando uno sguardo al catalogo delle composizioni che Mozart dedicò alle composizioni pianistiche a quattro mani in ambito cameristico, non si può non restare sorpresi dal fatto che, rispetto a quello riservato alle sonate e alle altre opere per tastiera, il loro numero è oltremodo risicato. Un corpus che vanta, infatti, solo sei pagine, che vanno dalla Sonata in do maggiore K19d risalente al 1765 fino alla Sonata in do maggiore K521 del 1787, il che può apparire per l’appunto sorprendente se si pensa che uno dei denominatori comuni di tutta la visione musicale del divino salisburghese è basato sul principio del contrasto, vuoi da un punto di vista armonico, vuoi melodico, che porta necessariamente a considerare anche la sua musica cameristica e solistica mediante un approccio concertistico e sinfonico. Un contrasto, dunque, che si attua nel dialogo e nel confronto tra due sfere, due piani, due “visioni del mondo”, che vengono musicalmente regolati, resi armoniosi dalla geniale scrittura mozartiana.
Ma se valutiamo con più attenzione questo ristretto numero di opere, a parte quel capolavoro assoluto che è proprio la Sonata K521, le altre pagine del pianismo mozartiano a quattro mani rientrano di diritto in un ambito non certo concertistico, quanto intimo, familiare, votato al cuore stesso della Hausmusik di stampo germanico, quindi composizioni da eseguire all’interno del focolare domestico, dei colti divertissement da suonare con la preziosa complicità della sorella maggiore Maria Anna (chiamata affettuosamente Nannerl), ottima pianista, anche se non a livello concertistico, magari sotto lo sguardo vigile del padre Leopold, come si può ammirare nel celeberrimo dipinto di Johann Nepomuk della Croce, che mostra i due giovani musicisti seduti insieme davanti al clavicembalo, con il padre Leopold appoggiato allo strumento a mo’ di severo insegnante e sotto lo sguardo idealmente benevolo della madre Anna Maria, ritratta nell’ovale appeso alla parete, come a instillare nell’osservatore un quadro familiare votato interamente alla musica.
Pagine ad effetto, dunque, destinate a meravigliare gli ascoltatori dell’epoca, quei pochi che potevano avere la fortuna di ascoltare Amadé e Nannerl nell’intimità domestica salisburghese, dando sfoggio della loro bravura di interpreti. Pagine, comunque, che anche nelle opere compositivamente meno articolate e complesse, danno modo di individuare degli aspetti, delle peculiarità utili per comprendere meglio il processo generale della creatività mozartiana, sempre tenendo d’occhio quell’approccio di “contrasto” sinfonico od orchestrale di cui si è già accennato.
Se parlo di questo repertorio del catalogo mozartiano è per merito del duo Marco Schiavo & Sergio Marchegiani (abbiamo intervistato quest'ultimo), che in tale ambito musicale rappresentano un autorevole e inestimabile punto di riferimento, il quale ha dato inizio alla registrazione integrale delle opere per pianoforte a quattro mani del genio salisburghese con l’etichetta discografica Decca. In questo primo CD, Schiavo & Marchegiani hanno inciso la Sonata in do maggiore K19d, la Sonata in si bemolle maggiore K358, la Sonata in re maggiore KV381 e la Sonata in do maggiore KV521, fornendo già in tal modo una visione d’insieme del processo compositivo mozartiano.
Come spiega giustamente Luca Chierici nelle note di accompagnamento, la Sonata K19d, scritta da Mozart a nove anni, al di là di una comprensibile elementarità costitutiva, vanta però dei passaggi che prevedono l’accavallamento delle mani, vuoi per esigenze tecniche, vuoi anche per meravigliare gli spettatori, un accavallamento che è sancito dal già citato dipinto di della Croce, in cui si vede Wolfgang incrociare le mani sulla tastiera tra quelle della sorella Nannerl, il che fa presupporre che i due giovani Mozart stessero eseguendo proprio la Sonata in questione. Certo, ascoltando questa pagina, non si può fare a meno di constatare come aleggi sopra di essa lo spirito di Johann Christian Bach, autentico nume tutelare del Mozart bambino e giovanetto, che si materializza in quel gusto tipicamente “italiano” del quale l’undicesimo figlio del Kantor fu un eccelso testimone del tempo.
C’è semmai da chiedersi, riflettendo sulle venature celate di questo dipinto, ossia sulle pulsioni inconsce che possono essere dedotte dall’immagine dei due giovani interpreti, sotto lo sguardo vigile della figura paterna, se a livello psicoanalitico (quanto manca un approccio biografico in chiave squisitamente psicoanalitica di Mozart, sulla falsariga di quello che Maynard Solomon fece di Beethoven!), il genio salisburghese non abbia dato fondo alla sua creatività verso il genere della musica per tastiera a quattro mani a causa delle conflittualità sorte con il padre Leopold, se non addirittura con la stessa sorella, insomma, se non ci sia stato un episodio, un particolare all’interno del loro rapporto che abbia avuto un esito castrante, riversato poi proprio nell’ambito di questo genere, bloccando di fatto l’idea creativa in Wolfgang, cosa che non avviene invece nel genere del solo pianoforte, in cui la dimensione solitaria del compositore prima e dell’interprete poi lo ha maggiormente svincolato da figure più o meno oppressive.
Ma, a parte ciò, dobbiamo considerare invece composizioni indubbiamente più mature, più circoscritte all’ambito della scrittura più profonda, che sono rappresentate, tornando al disco in questione, dalla Sonata K358 e dalla Sonata K381. Certo, nella prima, composta nel 1772, è ancora avvertibile l’influsso melodrammatico, marcatamente operistico (la sua gestazione è di poco posteriore al secondo viaggio che Mozart fece in Italia), ma allo stesso tempo è già avvertibile come la distribuzione della materia sonora venga gestita in modo più efficace e con maggior equilibrio tra i due interpreti. Questa capacità distributiva è ancora più marcata nella Sonata K381, composta tre anni dopo rispetto alla K358, ma tale gioco di pesi e contrappesi va ancora una volta a investire, con la sua magica brillantezza, una restituzione in chiave melodrammatica (ancora utilissima per dare aggio a dimensioni effettistiche), al punto che il primo tempo, l’Allegro, può essere considerato una vera e propria Ouverture operistica, mentre l’Andante ha il respiro di un’aria e l’Allegro molto conclusivo un finale decisamente teatrale.
Si è già detto che la Sonata K521, che conclude questo primo CD del duo Schiavo & Marchegiani dedicato all’integrale delle Sonate per quattro mani, rientra di diritto nell’ambito del capolavoro musicale, ma è bene anche ricordare come la differenza o, per meglio dire, il dislivello che si può notare fin da un primo ascolto tra quest’ultima composizione e le Sonate giovanili ci debba far comprendere come tale diversità risieda non solo nell’inevitabile maturità stilistica che il Mozart quasi trentunenne (la Sonata fu scritta nel maggio 1787) poteva vantare rispetto a quello di vent’anni prima, ma soprattutto nell’atteggiamento del tutto mutato verso questo genere, una diversità tale d’intenti da volerlo affrontare con un impegno, con un cipiglio del tutto nuovi; la Sonata a quattro mani per il Mozart viennese non è più un semplice divertissement, un qualcosa con il quale stupire e dilettare l’ascoltatore, una “mondanità” sonora destinata ad essere un piacevole passatempo, sia per gli interpreti, sia per chi li ascoltava, ma assurge a una dimensione che va a situarsi con i generi più “nobili” in ambito cameristico, degna di essere pensata, immaginata con presupposti creativi destinati a restare nel tempo, in grado di fissarsi nell’ascoltatore, anche grazie alle strutture, alle linee generali che la Sonata in questione presenta, sebbene non manchi una brillantezza, un’affettuosità che non devono però essere scambiate per mera frivolezza. D’altronde, Mozart in quest’opera ricerca con attenzione il piacere delle alternanze e i giochi d’eco tra i due esecutori per imbastire una linea la cui profondità (una profondità che dev’essere anche filtrata attraverso il rigore supremo della sua ossatura, visto che si basa sulla Forma-Sonata bitematica e tripartita, la quale è quindi composta da due temi principali, i quali sono articolati in tre sezioni; quella stessa Forma-Sonata che prima nel Classicismo viennese e poi nel Romanticismo europeo furono scritti i primi tempi delle sonate cameristiche e delle sinfonie) dev’essere scandagliata attentamente tra le pieghe dei canonici tre tempi, se teniamo conto di un particolare a dir poco terribile, sconvolgente (e qui torniamo a bomba sull’aspetto psicoanalitico della produzione mozartiana), vale a dire che la K521 fu scritta esattamente il giorno dopo la morte del padre Leopold. E quindi può risultare blasfemo l’osservare come in quest’opera si respiri un’aria di liberazione, almeno momentanea (la figura del Commendatore nel Don Giovanni è a dir poco sintomatica), sancita ulteriormente, si badi bene, dalla tonalità del do maggiore?
Probabilmente mi sbaglierò, ma ascoltando la lettura che il duo Schiavo & Marchegiani ha fatto delle pagine qui prese in esame e presenti nella registrazione del CD Decca, sento di poter affermare che la chiave scelta sia stata proprio quella della restituzione “psicologica” del suono, ossia evidenziando il processo di maturazione compositivo e stilistico, partendo dall’infantile K19d fino all’“abissale” K521, non solo attraverso lo sviluppo squisitamente musicale, ma anche e soprattutto attraverso quello delle connotazioni emotive, introspettive, nobilitando in un certo senso la loro concettualità espositiva, cosa che in Mozart non dovrebbe per l’appunto mai essere sottostimata. L’interpretazione di queste composizioni, che si dipana sotto la lente d’ingrandimento della sensibilità non solo esecutiva ma anche esistenziale dimostrata dai due artisti, è all’insegna dunque di una maturazione che si avverte attraverso la dimensione fisica del timbro; stiamo parlando di sfumature, ma sono proprio quelle che diventano indelebili, marcate, scontornate attraverso una visione d’insieme che è sempre messa a fuoco grazie a una lucidità di intenti che prende per mano l’ascoltatore dalla prima fino all’ultima nota. Così, Schiavo & Marchegiani danno fondo dapprima a un’identificazione spensierata del timbro, non gravato (apparentemente) da nubi od offuscato da strati oppressivi, per poi gradatamente (Sonate K358 & 381) cominciare a “ingrigire” la nettezza, la pulizia idilliaca data quasi da un principio rousseauiano, preparando il terreno all’irruzione tellurica della Sonata K521. Raramente l’esecuzione di questo capolavoro mi ha saputo impressionare come ha fatto il duo in questione, in quanto è stato capace di trasformarlo in un “vaso di Pandora” che viene magistralmente scoperchiato e trasformato in un esemplare esame anatomopatologico. La trimurti dei tempi viene resa con l’Allegro iniziale in cui la suddivisione della scansione comunicativa è all’insegna di una continua, esasperata ricerca dell’uno e dell’altro, poiché mai come in questo movimento Mozart cercò di raffigurare se stesso e la figura paterna (a livello letterario mi viene in mente la celeberrima e commovente Lettera al padre di Kafka, poiché a livello musicale la K521 è proprio ciò) alla ricerca di un equilibrio in cui la verticalità dei temi aspira all’orizzontalità del loro sviluppo e della loro pianificazione formali. L’Andante che segue, sotto le dita di Marco Schiavo & Sergio Marchegiani, assume quasi un atto di contrizione, un pentimento immerso in un senso di colpa espresso, fatto affiorare con una timbrica che sembra filtrata attraverso uno strato nuvoloso, dolorosamente soffice, assumendo quasi i contorni di una ninnananna metafisica, in cui rimembranze, struggimento e senso di smarrimento vengono fatti bere a piccoli sorsi, dando modo alla musica mozartiana di andare a rifugiarsi in quel limbo dove il giovinetto resta tale sotto le sembianze dell’adulto. E il tutto viene restituito attraverso una disarmante liquidità sonora capace di esaltare le commoventi modulazioni che attraversano la parte centrale del movimento. Infine, l’Allegretto finale diviene giustamente il tempo della mediazione, dei due piatti sulla bilancia che mirano a pareggiare quanto manifestato dai due movimenti precedenti; e qui il duo di interpreti riesce a restituire quel senso di “camuffamento”, quel “mimetismo” affettivo che impregna l’arte musicale del divino salisburghese. Così, l’Allegretto viene tenuto sempre sul filo di un rasoio tra la dimensione rassicurante da una parte e quella dolorosa dall’altra, con un senso ritmico in cui la densità agogica risulta quasi essere esasperante nel gioco di sfumature espressive, rendendo benissimo l’immagine di un Mozart che tende la mano per ritirarla subito dopo, con un triste sorriso che ne increspa le labbra.
Andrea Lambertucci rappresenta una garanzia come ingegnere del suono, permettendo così allo Steinway di essere ricostruito in modo quasi ideale nello spazio sonoro d’ascolto, con il sapiente intervento, nella fase di editing, da parte di Corrado Ruzza. La dinamica è efficacemente energica e precisa, capace di restituire naturalezza allo strumento; il palcoscenico sonoro pone al centro dei diffusori a una non esagerata profondità lo Steinway, mentre l’equilibrio tonale è in grado di scontornare adeguatamente i registri senza mai mostrare sbavature timbriche. Il dettaglio, infine, si fa apprezzare per l’ottima matericità che contraddistingue lo strumento.
Andrea Bedetti
Wolfgang Amadeus Mozart – Mozart for Two-Four Hands Piano Sonatas
Marco Schiavo & Sergio Marchegiani (pianoforte)
CD Decca 4856395
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4,5/5