Una nuova registrazione integrale, tuttora in corso, delle diciotto Sonate pianistiche mozartiane, effettuata dal pianista romano Sebastiano Brusco per l’etichetta discografica italiana Aulicus Classics, s’impone, a livello di curiosità e di interesse per il tipo di suono ottenuto, dal fatto che l’interprete ha voluto ricorrere, al di là di una particolare lettura (che andremo poi ad analizzare), anche alla cosiddetta “Accordatura Aurea” con il La a 432 Hertz, mentre normalmente oggi viene utilizzata quella più acuta a 440-442 Hertz o, talvolta, anche di più (che, personalmente, non mi piace, poiché porta il timbro del pianoforte ad essere più simile a quello di un clavicembalo, soprattutto nel registro acuto).
Finora, Sebastiano Brusco è arrivato a metà dell’opera, visto che ha registrato in tre dischi le Sonate n. 2 K. 280, 5 K. 282, 8 K. 310, 11 K. 331, 12 K. 332, 13 K. 333, 14 K. 457, 15 K. 533 & 16 K. 545, ossia non seguendo rigorosamente un impianto cronologico, ma accettando la sfida dell’interpretazione, a mio parere, sulla spinta di un’empatia temporale che avvertiva in quel preciso momento, fissandolo dallo studio alla tastiera dello strumento, ossia cercando di entrare in uno stato di πάϑος, un termine da considerare sia in chiave di “simpatia”, sia nella sua accezione squisitamente etimologica di “sofferenza”, quindi di vera e propria pato-logia.
Un πάϑος, da ciò che ho potuto ascoltare, che si riverbera tecnicamente attraverso la precisa scelta dell’“Accordatura Aurea” da una parte e la volontà di connaturare un’altrettanta precisa lettura interpretativa dall’altra. Partiamo dalla prima, tenendo conto che il pianista romano l’ha applicata a uno strumento moderno, quindi infischiandosene altamente di possibili obiettivi filologici: ritengo tale scelta appropriata non solo partendo da quanto una certa musicologia ha cercato di dimostrare, ossia che tale accordatura era utilizzata ai tempi del divino salisburghese, ma soprattutto alla luce dell’esecuzione dello stesso Sebastiano Brusco. Come ricorda correttamente Lorenzo Tozzi nelle note di accompagnamento al progetto discografico, Mozart odiava tutto ciò che veniva reso, attraverso l’esecuzione, mediante un approccio puramente tecnico e virtuosistico fine a se stesso, da lui definito efficacemente con il termine di mechanicus (la sua avversione feroce nei confronti di Muzio Clementi nacque proprio dal fatto che, a suo avviso, il collega e “nemico” italiano era il tipico esemplare di musicista mechanicus), vale a dire rendere la musica «priva di sentimento».
Ora, anche l’Accordatura Aurea concorre direttamente alla possibilità di dare vita a un suono esente dalla privazione del sentimento: senza lasciarsi andare a sterili entusiasmi più vicini, semmai, agli effetti della musicoterapia (la diceria secondo la quale ascoltando musica classica, soprattutto quella mozartiana, le mucche produrrebbero latte più buono, la dice lunga… ) che alla pratica interpretativa, è bene ricordare che le quattrocentotrentadue oscillazioni al secondo del La nell’Accordatura Aurea della scala temperata rappresentano un multiplo di 8hz (Do), vale a dire la vibrazione degli elettroni, di cui è composto il nostro universo, aumentando quindi la naturalezza sia dell’emissione sonora, sia del suo ascolto.
Nel definire e spiegare il suo progetto discografico, Sebastiano Brusco ha cercato di privilegiare più che un suono “preciso” uno squisitamente immaginario, più simile al dipanarsi di un canto, di un insieme di archi o strumenti a fiato, in modo da trascendere i limiti fisici imposti da un pianoforte. E se il tipo di accordatura scelta ci mette indubbiamente del suo, è anche il caso di evidenziare come il pianista romano abbia voluto sganciarsi da quella componente esecutiva che tende a fissare una presunta “prassi mozartiana” basata sull’imitazione delle sonorità di matrice clavicembalistica o fortepianistica. Detto in soldoni, il nostro artista ha voluto connaturare il percorso stilistico e interpretativo della sua integrale discografica dedicata alle Sonate del salisburghese intraprendendo un nuovo sentiero esecutivo, ripudiando tout court quell’eccessiva rigidezza formale e strutturale che porta altre letture a restare prigioniere in schemi tali da castrare la fantasia dell’interprete.
Da qui, la domanda sorge spontanea: è quella di Sebastiano Brusco un’esecuzione totalmente eterodossa? Da quanto si è finora ascoltato, sulla base delle nove Sonate finora da lui registrate, no, se per eterodossia s’intende uno stravolgimento sul piano stilistico e sulla scelta agogica. Certo, di libertà ne prende, soprattutto nella resa dei rubati, i quali non vengono proposti ed eseguiti pensando allo strumento pianistico, ma piuttosto riprendendo, sempre sulla base di ciò che sosteneva lo stesso Mozart, una chiave più vicina alla dimensione del canto melodrammatico, come se i vari tempi delle Sonate fossero allegoricamente delle arie, dei duetti, delle romanze, sfruttando, in tal senso, anche la maggiore paletta timbrica permessa dall’accordatura in questione.
Restituire, dunque, un suono palpitante di sentimento, scevro da qualsiasi tentazione data dalla dimensione interpretativa dettata dall’intento mechanicus. Ma, sia ben chiaro, bisogna qui intendere il significato e lo scopo del sentimento provocato: se si dovesse accostare questo sentimento all’Affektenlehre ancora presente all’epoca di Mozart, sebbene ormai al tramonto, si rischierebbe di cadere dalla padella alla brace, in quanto gli affetti suscitati da Mozart non devono essere considerati alla semplice e falsificante stregua di effetti miranti a stupire. Certo, Mozart, con la sua musica, volle anche stupire (se dovessimo intenderlo alla luce dell’attualità strategica di mercato, si potrebbe tranquillamente parlare di oculata operazione di marketing, ossia che il salisburghese, quando si trovò a Vienna con l’obiettivo primario di guadagnarsi la pagnotta quotidiana, fornita dalle lezioni private, dai proventi delle sue composizioni e dalle possibili commissioni, cercò di farsi una debita pubblicità anche grazie a come coinvolgere emotivamente il pubblico mediante trovate, sorprese armoniche e melodiche, coups de théâtre e “turcherie” varie), ma tale atto di stupefazione partiva sempre dal presupposto che non fosse mai fine a se stessa, ma frutto di un atto geniale, innovativo, nella musica che creava.
Alla luce di ciò, il tentativo del pianista romano è stato quello di fornire una lettura capace di coinvolgere l’ascoltatore in un modo diverso, più aderente, se vogliamo, a quanto escogitò Mozart ai suoi tempi; da qui, la chiara intenzione di imitare platonicamente la melodiosità delle voci presenti nel teatro melodrammatico, esaltandone la dovuta “teatralità”, anche grazie alle possibilità offerte non solo dalla tastiera pianistica, ma anche dall’accordatura in questione. Ecco, allora, la parola d’ordine che riassume tutte le finalità del progetto in essere: fluidità e ancora fluidità. Ciò significa portare continuamente in superficie la ricerca di un’incessante cantabilità, di una più che conclamata volontà di addolcire, di sfruttare il fraseggio, assecondandolo a un’agogica che più sulla partitura si deve riferire ai moti dell’animo, dando così modo all’interprete di fare il suo accesso nel giardino della fantasia, dell’emozione, della palpitazione, senza però stravolgere i connotati dati dal segno fissato sul pentagramma. Oddio, che Sebastiano Brusco sia un nemico dichiarato di una certa pratica accademica risulta essere a dir poco elementare, come lo fu, ai suoi tempi, anche il leggendario Walter Klien, la cui registrazione integrale delle Sonate mozartiane fatte per l’etichetta discografica Vox rappresenta ancora oggi un’ineludibile pietra miliare. E se proprio devo dirla tutta, ascoltando quanto finora registrato dal pianista romano, sono riandato con il pensiero a quanto fatto dal collega di Graz, individuando similitudini, analogie, prese di posizione esecutive, a cominciare da quel principio di cristallinità, di tocco fuggevole, ma allo stesso tempo preciso, dettagliato, che ha contraddistinto la lettura fatta appunto da Klien (è forse un caso che costui abbia studiato con Arturo Benedetti Michelangeli e che Brusco sia stato allievo di Ennio Pastorino, a sua volta discepolo del sommo artista bresciano?).
Che cosa si può affermare alla conclusione dell’ascolto di questi tre primi dischi? Indubbiamente, la scelta di operare su un pianoforte accordato con il La a 432 Hertz restituisce, a livello timbrico, una maggiore piacevolezza unitamente a una cristallinità del suono tale da addolcire tutto il registro. Questo porta ad avere un suono maggiormente rotondo e, allo stesso tempo, leggermente più sfumato negli armonici; una scelta e un risultato sonoro che Sebastiano Brusco sfrutta anche per ciò che riguarda il tipo di lettura effettuata, ossia votata a un canto che, per quanto riguarda la mia riflessione, non tende soltanto ad esaltare la sfera di quella “melodrammaticità” di cui si è già detto, ma anche, e questo se si fa riferimento al senso ritmico sul quale si basa la sua interpretazione, a manifestare una dimensione che potremmo definire “danzante”, in cui la propulsione ritmica assume quindi un valore determinante, tale da andare a sfidare e, per certi versi, a confutare modelli di esecuzione rientranti nel comparto puramente accademico. Va da sé che tale scelta comporta anche un uso dell’agogica che magari farà storcere il naso a coloro che non prediligono un Mozart eminentemente ritmato, anche se non si deve pensare che tale ritmicità, proprio per i motivi appena addotti, sia da equiparare a un metronomo che si mette a giocare con il tempo. Il pianista romano, infatti, è anche attento nel ricostruire un’arcata generale sotto la quale i tempi e i fraseggi che si dipanano si presentano sotto una forma, uno stile tali da non far gridare allo scandalo (tanto per intenderci, andate ad ascoltare o ricordatevi che cosa fece Glenn Gould quando affrontò il corpus sonatistico mozartiano, ossia smantellandolo a colpi di martello, più che di tasti, con il preciso intento di disintegrarlo, riuscendoci perfettamente), ma all’interno dei quali il “canto danzante” si adegua al connotato espressivo del momento. Da ciò, si può intuire come i segmenti, i passaggi, le atmosfere in cui la dimensione drammatica può sfociare nel tragico (citare la Sonata K 310, a tale proposito, è semplicemente pleonastico) non vengano da Brusco sminuiti, edulcorati o, peggio, sfalsati da tale cantabilità, ma riescono a fluire, per l’appunto, affrescando il lato oscuro, tenebroso, doloroso come una forma di suprema accettazione del fato, come se dietro a questa patina di dolcezza soffusa ci fosse un côté mozartiano impregnato di pacato stoicismo.
Da quanto mi ha potuto dire lo stesso interprete, i due dischi mancanti alla conclusione dell’integrale dovrebbero vedere la luce entro la fine del 2024, portando così a compimento, se la qualità artistica verrà ulteriormente ribadita, a un progetto che merita di essere ascoltato e apprezzato, degnamente messo a confronto con altre integrali che magari differiscono dalle finalità e dal tipo di lettura fatta.
Complessivamente, la presa del suono dei tre dischi presi in esame è buona, se si eccettua in parte quella che riguarda le Sonate n. 12 & 13 che Sebastiano Brusco ha registrato precedentemente per l’etichetta Primrose Music e confluite poi nel progetto della Aulicus Classics. La dinamica è piacevolmente corposa e veloce, capace di trasmettere una certa naturalezza del timbro; il palcoscenico sonoro vede il pianoforte focalizzato al centro dei diffusori con una pronunciata altezza e ampiezza sonora e con lo strumento ricostruito a una discreta profondità nello spazio fisico. L’equilibrio tonale è buono, anche se nella presa del suono originaria della Primrose ciò è meno ottimale, con un debito scontorno tra il registro medio-grave e quello acuto, in modo da poter rendere in modo adeguato la cristallinità fornita dall’accordatura aurea; infine, il dettaglio è sufficientemente materico e contraddistinto da una congrua dose di nero che circonda il pianoforte.
Andrea Bedetti
Wolfgang Amadeus Mozart - Sonata No. 8 in A Minor, K 310 - Sonata No. 2 in F Major, K 280 (189e) - Sonata No. 5 in G Major, K 282 (189h) - Sonata No. 16 in C Major, K 545
Sebastiano Brusco (pianoforte)
CD Aulicus Classics ALC 0067
Giudizio artistico 4/5 Wolfgang Amadeus Mozart - Sonata No. 12 K. 332 In F Major - Sonata No. 13 K. 333 In B Flat Major Sebastiano Brusco (pianoforte) CD Aulicus Classics ALC 0010 Giudizio artistico 4/5 Wolfgang Amadeus Mozart - Sonata n. 14 - Sonata n. 15 - Sonata n. 11 Sebastiano Brusco (pianoforte) CD Aulicus Classics ALC 0019 Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5
Giudizio tecnico 3,5/5
Giudizio tecnico 4/5