L’articolo in questione è assai famoso, ma tenuto conto delle due pagine cameristiche prese in esame in questa recensione, è bene ricordare quanto Sergej Prokof’ev scrisse sulle pagine del quotidiano Izvestia nel novembre del 1934, ossia nel pieno delle purghe staliniane nei confronti dell’establishment culturale, burocratico e militare sovietico del tempo. Un articolo nel quale il grande compositore disse la sua sul tipo di musica che i musicisti sovietici avrebbero dovuto proporre all’indomani della rivoluzione, nel tentativo di allinearsi alle posizioni artistiche richieste dalla nomenklatura, a cominciare dalle linee dettate da Andrej Ždanov, che nel gennaio di quello stesso anno, nel corso del XVII Congresso del partito comunista, con un preciso e programmatico discorso aveva gettato le basi di quella che avrebbe dovuto essere la futura politica culturale sovietica. Nell’articolo in questione, perfettamente conscio dei tempi che si stavano per affrontare, Prokof’ev invitò i colleghi a fare «della grande musica, cioè della musica che tanto nella forma quanto nel contenuto risponda alla grandezza dell’epoca». Ed entrando nello specifico, aggiunse che tale musica avrebbe dovuto essere resa attraverso un idioma, il quale «dovrà essere melodioso, espresso con una melodia chiara e semplice». Inoltre, al di là di questa melodia, già in accordo con quanto richiesto dal realismo culturale ždanoviano, i compositori sovietici avrebbero dovuto avvalersi di altri due aspetti fondamentali, visto che in un altro punto del suo articolo, il musicista di Soncivka affermò che quanto richiesto per un’adeguata ricerca melodica, doveva essere fatto anche «per la tecnica e la forma che esigono chiarezza e semplicità».
Ciò che volle far comprendere Prokof’ev in quello scritto giornalistico fu che la via da seguire, per ciò che riguardava un’estetica musicale realmente post-rivoluzionaria, era quella di un neoclassicismo, ben lontano, però, da quello intrapreso da uno Stravinskij, nel quale melodia, tecnica e forma avrebbero equamente concorso alla creazione di opere capaci di raccontare ed esaltare il nuovo spirito dei tempi. Cosa che Prokof’ev, contrariamente alle continue e dilanianti tentazioni “eterodosse” di uno Šostakovič, mise precisamente in atto con la sua produzione che precede e che si attua durante il secondo conflitto mondiale, come testimoniato, per l’appunto, dalle due Sonate per violino e pianoforte, la prima in fa minore op. 80 e la seconda in re maggiore op. 94bis, che sono state pubblicate recentemente dall’etichetta discografica Aulicus Classics grazie a due artisti dell’Est europeo, il violinista russo-azero Dennis Gasanov e il pianista ucraino Yury Panov.
Però, è bene ricordare che dietro a queste due pagine cameristiche si annida quel genio violinistico che si chiama David Ojstrakh, il quale fu determinante per la loro nascita, gestazione e ultimazione. La prima Sonata ebbe uno sviluppo assai articolato e tribolato, visto che fu iniziata nel 1938 e finita nel 1946, a guerra ormai conclusa. Questa pagina, unitamente all’altra Sonata violinistica, trascritta, come vedremo, da una precedente opera per flauto e pianoforte, e a tre Sonate pianistiche, fu definita da Prokof’ev sotto la denominazione di “Sonata di guerra”, il cui reale significato dev’essere cercato soltanto nel senso cronologico della sua creazione, e non come reazione emotiva ed artistica rispetto agli orrori del conflitto stesso. Questo perché quanto viene fuori dal suo afflato, dalla sua dimensione formale e contenutistica, rimanda a una concezione votata a una sorta di classicismo rivisto alla luce di una modernità non tanto storica, quanto metastorica. Non per nulla, lo stesso autore sovietico affermò di aver avuto il desiderio di scrivere una sonata violinistica dopo aver ascoltato una sonata händeliana per violino e basso continuo. La pagina del Sassone fu dunque uno stimolo fondamentale, veicolato però sulla base di una grande semplicità (la predica dell’articolo pubblicato dall’Izvestia doveva pur essere rispettata nei fatti), una semplicità che fu accettata da Ojstrakh, il quale considerò sempre un grandissimo onore il fatto di essere stato scelto da Prokof’ev per dare vita congiuntamente a questa pagina e per esserne anche il dedicatario.
Che questa Prima sonata sia di vasto respiro e di grande impegno per la parte del violino, lo si può desumere anche a un primo ascolto distratto; strutturata in quattro tempi, l’arcata generale è intrisa da una proiezione che rimanda a sapori e a colori arcaici. E questo, a livello formale, può essere confermato dal fatto che nel dolente Andante assai iniziale, Prokof’ev inserisce due brevi frammenti tematici di cui il primo è contrassegnato dal registro grave del pianoforte con un andamento di passacaglia, mentre il secondo viene enunciato da passaggi polifonici del violino (il rimando händeliano, insomma, è più che evidente). Certo, il marchio di fabbrica dell’autore viene fuori nel tempo successivo, un Allegro brusco, in cui i tradizionali accordi martellanti vengono resi da entrambi gli strumenti, mentre dopo la stasi fornita dall’Andante, la Sonata si chiude ancora con un segmento a dir poco sfrenato, l’Allegrissimo.
Più particolare è la storia legata alla Sonata op. 94bis, in quanto originariamente non destinata al violino, bensì al flauto (in termini di rigore, a livello di catalogazione, l’op. 94 designa per l’appunto la versione per flauto, e l’op. 94bis quella per violino). Ora, se provate a chiedere a un flautista quale sia la versione migliore, risponderà che sicuramente è quella dedicata al suo strumento, e lo stesso farà un violinista di fronte alla medesima domanda. Indirettamente, la risposta migliore la diede Ojstrakh, poiché, pur ammirando la versione originale, ebbe modo di consigliare Prokof’ev di scrivere una nuova versione per il violino, cosa che il compositore fece, riuscendo a conservare un impianto virtuosistico allo strumento protagonista. La versione originale per flauto fu composta nel 1943 ad Alma-Ata, nei territori asiatici dell’Unione Sovietica, dove Prokof’ev, all’epoca direttore della sezione musicale della Moskva-Film, aveva seguito tutta l’organizzazione cinematografica di Stato per sfuggire all’avanzata delle truppe tedesche.
La Sonata op. 94bis risulta essere indubbiamente ammantata da una maggiore inventiva rispetto all’op. 80, oltre a presentare sfumature umoristiche che si manifestano fin dal tempo Moderato iniziale, il quale è impregnato da una “rassicurante” cantabilità melodica. La tipica capacità creativa dell’autore viene esaltata nel successivo Scherzo, pagina tra le migliori che il genere cameristico di Prokof’ev può vantare, mentre sia l’Andante sia il Finale riportano la cifra consueta di un’attenzione compositiva concentrata soprattutto sull’aspetto formale, altamente spumeggiante ed effervescente nelle combinazioni timbriche.
Definire soltanto adeguata la lettura fatta da Dennis Gasanov e Yury Panov, sarebbe un’offesa intellettuale e artistica nei loro confronti, poiché il violinista russo-azero e il pianista ucraino hanno saputo focalizzare in modo ideale le due partiture. Prima di tutto è da incorniciare il loro affiatamento, un elemento a dir poco essenziale nella musica prokof’eviana per essere proposta al meglio; inoltre, la capacità di andare a scavare nei reconditi sonori, nel sapere evidenziare le sfumature, soprattutto quelle umoristiche, così come quelle così densamente formali, rende la loro interpretazione veramente autorevole e da cerchiare in rosso, al punto da poterla considerare di riferimento per ciò che riguarda le due Sonate violinistiche del compositore sovietico.
Anche la presa del suono, effettuata nella chiesa di Santa Caterina a San Pietroburgo da parte di Kira Malevskaya, è di ottima fattura, in quanto la dinamica, grazie alla sua energia e alla sua naturalezza, oltre che contrassegnata da un’adeguata velocità, permette di ricostruire, per ciò che riguarda il parametro del palcoscenico sonoro, i due artisti all’interno dello spazio fisico, posizionati a una discreta profondità e con un suono piacevolmente presente sia in altezza che in ampiezza, senza che si avverta un fastidioso riverbero, un elemento da tenere sempre sott’occhio nelle registrazioni fatte in edifici sacri. Anche l’equilibrio tonale è di buonissima fattura, poiché il registro dei due strumenti non si accavalla mai l’uno sull’altro, segno di una positiva messa a fuoco; infine, il dettaglio permette di cogliere la densa matericità che va a investire il violino e il pianoforte, favorendo un ascolto in cui si coglie la fisicità tridimensionale dei due strumenti.
Andrea Bedetti
Sergei Prokofiev – Violin Sonata No. 1, Op. 80 – Sonata Op. 94
Dennis Gasanov (violino) - Yury Panov (pianoforte)
CD Aulicus Classics ALC 0104
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4,5/5