Le due porte di Girolamo Frescobaldi, tra antico e moderno
Chiunque ami la musica per tastiera, che sia quella organistica, clavicembalistica e pianistica, sa perfettamente che il linguaggio, l'espressività, l'universo sonoro, l'evoluzione tecnica che li governano mediante il meraviglioso edificio artistico che si è innalzato nel corso degli ultimi quattro secoli, ossia partendo dalla delicatissima e, per certi versi, traumatica fase di passaggio dal sistema modale a quello tonale, devono ineluttabilmente passare attraverso la vita e l'opera di un compositore che, piaccia o meno, rappresenta il crocevia, il “semaforo estetico”, il guardiano della soglia musicale che porta il nome del ferrarese Girolamo Frescobaldi, ossia di colui che saputo unire le sponde del passato con quelle che avrebbero poi portato alla realizzazione del moderno.
Nessuno, ripeto nessuno, può incarnare, sotto questo punto di vista, l'immagine del pontifex, di un ideale ponte di collegamento tra due sfere distinte, tra ciò che era stato e ciò che sarebbe poi avvenuto nell'arte tastieristica. Sia ben chiaro, però, che Frescobaldi non deve essere ricordato e ringraziato per il fatto di essere stato un innovatore, un rivoluzionario, un artista capace di chiudere per sempre una porta per poi, subito dopo, aprirne un'altra. No, l'importanza del compositore, organista e clavicembalista ferrarese risiede nel fatto che seppe fare una cosa ben diversa e delicata, quella di tenere aperta la porta del passato, di una tradizione che accomunava le conquiste formali e “architettoniche” della musica fiamminga del Quattrocento con la lucida inventiva di Andrea Gabrieli e la straordinaria visione “sonoro-alchemica” di Claudio Merulo e, allo stesso tempo, spalancando un'altra porta, la quale avrebbe dato accesso a una proiezione futura, immaginata, concepita e anche realizzata proprio attraverso il rispetto e il mancato rinnegamento di quanto avvenuto prima.
Tutta l'opera frescobaldiana, insomma, è all'insegna di una suprema continuità mutuata da un progressivo e armonioso sviluppo della materia musicale del suo tempo consegnata alla sensibilità e all'inevitabile mutazione di stili, bisogni, urgenze creative che portano l'arte dei suoni ad affrontare il Seicento, preparando così il terreno, l'humus, la necessaria temperie a un altrettanto prodigioso artista quale Johann Sebastian Bach, capace di raccogliere e plasmare proprio quanto reso e offerto dal musicista ferrarese; così, l'arte di Frescobaldi, in tal senso, simbolicamente incarna una preziosa, ineludibile “corrente d'aria” che si viene a creare tra le due porte da lui lasciate aperte, dando vita a un miracoloso “collo di bottiglia” in cui tutto è dovuto passare. Per questo, la sua importanza risiede per l'appunto nel non essere stato un rivoluzionario (questo lo sarà Bach), bensì un ideale testimone del proprio tempo in grado di affrontare il nuovo che stava per sorgere senza ricorrere a soluzioni telluriche, senza il bisogno di scardinare, ma solo ricorrendo a precisi, geniali aggiustamenti.
Eppure, l'interpretazione successiva del corpus compositivo frescobaldiano, e questo vale soprattutto per la prassi esecutiva che ha coinvolto lo scorso secolo, è rimasta ancorata, incollata a una visione per così dire “filologica”, ancor prima che le letture storicamente informate facessero la loro debita irruzione nel mondo musicale. Intendo dire che, al di là della musica riservata all'organo, il resto della produzione tastieristica del compositore ferrarese è rimasta appannaggio quasi esclusivo di letture clavicembalistiche, come se tale strumento rappresentasse una sorta di colonne d'Ercole che non dovessero mai essere raggiunte e superate. Quindi, ascoltare Frescobaldi al pianoforte è stato come cercare una mosca bianca o un solo quadrifoglio in un prato sterminato, poiché, al di là delle ineludibili letture fatte all'organo da Sergio Vartolo, tanto per fare un nome, si è dovuto prestare orecchio al timbro e alla resa clavicembalistici, a cominciare dalle interpretazioni di Roberto Loreggian, tanto per fare un altro nome, restando nel ristretto ambito italico. Ricordo, semmai, con grande piacere ed emozione, una registrazione per la Sony di Giuseppe Andaloro (l'ultimo vincitore italiano del Busoni), effettuata nel 2013, in cui l'artista siciliano ha presentato pagine della musica per tastiera italiana del Cinquecento e del Seicento con un pianoforte Fazioli, includendo anche sei pezzi frescobaldiani, tra cui l'affascinante Toccata seconda. Ma tale incisione rappresenta per l'appunto la già citata mosca bianca della situazione.
Ora, però, qualcosa, anzi molto, è cambiato poiché recentemente un giovane pianista e musicologo veneto, Michele Fontana (leggi qui la sua intervista), studioso dai molteplici interessi e specializzazioni (oltre ad essersi diplomato in pianoforte e in organo presso il Conservatorio di Verona, con Sabrina Reale e Umberto Forni, ha conseguito anche la laurea specialistica in pianoforte presso il Conservatorio di Mantova con Edoardo Maria Strabbioli e la laurea in ingegneria meccanica all’Università di Modena). Fontana, per la propria etichetta discografica, la Fluente Records, dopo diversi anni di studi e di ricerche, ha registrato l'opera omnia della musica per tastiera di Girolamo Frescobaldi su sette dischi che possono essere acquistati e scaricati dalle principali piattaforme di ascolto streaming e dal sito web della medesima casa discografica, oltre a un doppio CD che raccoglie una silloge di tutto il progetto, con un disco dedicato alla musica pianistica e l'altro a quella organistica.
Questo encomiabile e coraggioso progetto discografico, che ammonta a un totale di quasi undici ore di ascolto, comprende quindi sia le pagine organistiche, che sono state registrate sull’organo Antegnati del 1565 che si trova nella Basilica Palatina di S. Barbara a Mantova, mentre le pagine del corpus clavicembalistico sono state incise su un pianoforte Steinway Modello D274 grancoda da concerto. Però, la peculiarità, a dir poco ardita e rischiosa scelta da parte di Michele Fontana, non risiede in ciò, ma nel tipo di accordatura che ha voluto effettuare su questo strumento, ossia accordandolo come se fosse come un clavicembalo, utilizzando quindi il sistema mesotonico seicentesco anziché il sistema temperato equabile, quello attualmente in uso negli strumenti moderni. Questo, come ha spiegato lo stesso artista veneto, «per restituire all’ascoltatore un'esperienza di ascolto più “antica” e “pura”, preservando gli “affetti” contenuti nella musica di Frescobaldi che altrimenti sarebbero andati perduti col sistema temperato equabile».
Il motivo di questa scelta, e mi piace pensare che ciò sia stato fatto in nome di quella corrente d'aria che si è venuta a creare tra le due porte asciate aperte dal compositore ferrarese, lo ha specificato ancora Michele Fontana: «Nel sistema temperato equabile (quello moderno), i semitoni sono tutti (diciamo così) equidistanti: questo genera rapporti matematici uguali tra gli intervalli della stessa specie e quindi le scale e gli accordi, seppur diversi, “suoneranno” alla stessa maniera per le nostre orecchie in tutte le tonalità. Per esempio, se prendiamo tutti gli accordi maggiori, questi suoneranno tutti allo stesso modo perché i rapporti tra le note che compongono l’accordo sono sempre costanti in tutte le tonalità. Allo stesso modo si può dire di tutte le altre specie di accordi. Nel sistema mesotonico, invece, la distanza tra i semitoni (o i tasti dell’ottava) varia e non è mai uguale tra uno e l’altro. Dal punto di vista tecnico, il sistema mesotonico si caratterizza per la presenza di otto “terze pure” (sì-re, do-mi, re-fa#, mib-sol, mi-sol#, fa-la, sol-si, la-do#) accordate perfette. Quindi se per esempio consideriamo un accordo maggiore, questo verrà percepito dalle nostre orecchie in maniera diversa a seconda della tonalità che useremo. La vibrazione armonica prodotta sarà diversa a seconda di dove andremo a suonare l’accordo e potremo generare consonanze perfette, meno perfette e talvolta anche dissonanze. Nel Seicento, inoltre, esisteva il sistema modale che prevedeva la presenza di vari “modi” (che sostituivano il moderno sistema tonale basato sulle scale) caratterizzati ognuno da una sonorità unica proprio a causa della diversa distanza tra i semitoni. Girolamo Diruta, nel suo trattato Il Transilvano del 1593, descrive come si caratterizzano i vari modi (o toni): il primo tono ricerca una armonia grave, il secondo e il quarto tono invece sono adatti per un’armonia malinconica, il terzo tono commuove al pianto, il quinto tono ha un’armonia gioconda e dilettevole, il sesto tono un’armonia devota e grave, il settimo, ottavo e nono tono sono allegri, dilettevoli e soavi. Si può intuire facilmente come un musicista esperto e sapiente come Frescobaldi potesse giocare con i suoni, come un pittore con i colori e la luce, combinando insieme modi dal carattere più grave e solenne, modi più gioiosi e persino modi adatti ad esprimere situazioni di dolore: questo è evidente soprattutto nelle toccate, dove ogni sezione è caratterizzata da un preciso affetto. Le caratteristiche che distinguono i vari modi sono udibili soltanto nel sistema mesotonico grazie alla sua “irregolarità”, mentre il sistema tonale, al contrario, non permette di sentire tutte le sfumature che caratterizzano ogni tono a causa della sua regolarità che le elimina, uniformando tutte le armonie per renderle perfettamente uguali una all’altra».
Ora, già immagino i cosiddetti puristi, i filologi oltranzisti e i talebani delle interpretazioni storicamente informate affilare a puntino le lame delle loro katane e scimitarre, dopo aver letto tale spiegazione e la relativa scelta operata da Fontana, anche se poi si dovrà chiedere loro, come giustamente si è chiesto il giovane artista veneto, per quale motivo la musica tastieristica di uno Scarlatti o di un Bach viene da molti decenni riproposta anche su pianoforte, mentre non può esserlo quella frescobaldiana. Certo, qui, in sopraggiunta, Fontana ha optato per un coefficiente di difficoltà, per usare un'espressione che appartiene ai tuffi dalla piattaforma o dal trampolino, che sfiora il 3.0, visto che ha modificato addirittura l'accordatura, trasformando di fatto il suono pianistico, come se avesse voluto trasportare con un'immaginaria macchina del tempo lo Steinway in questione, portandolo all'epoca di Frescobaldi e usandolo come se fosse appunto, a livello di accordatura, un clavicembalo.
Se, a detta di alcuni (e spero vivamente che non siano in molti), tale tipo di operazione potrebbe far scattare un ostracismo dal mondo dell'interpretazione musicale al nostro artista, vorrei ricordare quanto fece Glenn Gould nel 1972, quando decise di registrare le prime quattro Suites di Händel non al pianoforte, ma proprio al clavicembalo. Una decisione che aleggiava nell’aria da ben dieci anni, visto che già nel 1962 il musicista canadese aveva tentato di preparare con delle punte d’acciaio uno dei suoi pianoforti a coda da concerto, ottenendo in questo modo uno stranissimo “incrocio” di strumento, da lui definito con il termine di “Harpsipiano”, che si può tradurre in italiano con “cembalpiano”. Con questo pianoforte “elaborato”, Gould eseguì nello stesso anno il quarto contrappunto dall’Arte della Fuga di Bach e altre musiche dello stesso compositore. Non solo, ma in quello stesso periodo, il pianista canadese prese in seria considerazione l’idea di registrare il Clavicembalo ben temperato di Bach proprio su quel “cembalpiano”. Questa decisione che, ovviamente, fece rizzare i capelli dei puristi, prese spunto dal fatto che il modo di suonare “non legato” di Gould si avvicinava più al timbro del clavicembalo che a quello del pianoforte. «Il pianoforte non ha la benché minima ragione di voler suonare come un pianoforte… », ripeteva spesso ironicamente l'artista di Toronto.
Ma quando Gould decise di registrare le prime quattro Suites di Händel, non impiegò né il pianoforte, né il tanto decantato “cembalpiano”. Volle inciderle, invece, su un vero e proprio clavicembalo. Il problema, però, era che il pianista non possedeva questo strumento. E pur avendo un certo numero di ottimi clavicembali originali che università, musei degli strumenti e privati avrebbero potuto mettergli tranquillamente a disposizione, Gould dirottò per una delle sue famose ed eccentriche decisioni: suonare su un Wittmayer, che tutti i patiti clavicembalisti avevano sempre guardato con diffidenza, se non addirittura con orrore. Questo strumento, che Gould ottenne in prestito da un anonimo maestro di coro di Toronto, il quale lo teneva in casa solo per diletto, in effetti non aveva molto del classico clavicembalo. Il suo tocco, e soprattutto la grandezza dei suoi tasti, erano più vicini a quelli di un pianoforte. Le sue dimensioni, inoltre, erano più o meno quelle di un piano a mezza coda. Fu dunque su questo strumento che il musicista canadese registrò le prime quattro Suites di Händel. Secondo le intenzioni di Gould, dopo questa prima incisione, egli avrebbe proseguito nella realizzazione di tutte le altre Suites, ma la stroncatura da parte dei critici e del pubblico sul primo lavoro, lo fecero in seguito desistere da tale proposito.
Ascoltando, per esempio, la Suite in fa maggiore eseguita dal pianista canadese si può restare indubbiamente allibiti, visto che l’Adagio introduttivo viene addirittura “arpeggiato” in modo estremamente secco, détaché all’inverosimile, su un tessuto che non può essere più divisionistico di così. Il secondo movimento, al contrario, viene sparato da Gould a tutta velocità (un minuto e 25 secondi di durata!), che fa capire perché il musicista avesse scelto un Wittmayer per questa registrazione. Sui tasti di un normale clavicembalo sarebbe stato impossibile eseguire una simile diteggiatura. Il successivo Adagio viene ripreso ancora in termini più lenti, dove il tocco è assai pronunciato e persistente, tale da creare spazi molto estesi, decisamente fin troppo anche per un’interpretazione al clavicembalo. La fuga conclusiva, sicuramente il movimento più riuscito di questa esecuzione, mette in risalto la genialità di Händel e la chiave di lettura che Gould dava a questo tipo di composizioni. Se, quando suonava il pianoforte, il musicista canadese immaginava di non trovarsi di fronte a questo tipo di strumento, con il clavicembalo o, meglio, con il Wittmayer, si è comportato nello stesso modo. Per esaltare l’estrema dinamica del fugato, Gould ha ignorato completamente il cosiddetto riposo della linea di battuta, cioè attendere il totale rilascio del tasto prima di iniziare la nota successiva, consacrando l’intero movimento al rubato, senza però, e qui è stata la sua indubbia bravura, arrivare a una sorta di legato (a dir poco inconcepibile per un clavicembalo).
Entrando nel merito della registrazione frescobaldiana effettuata da Michele Fontana, ho avuto modo di ascoltare il doppio CD “introduttivo”, il quale condensa nel primo disco alcune composizioni eseguite sullo Steinway con accordatura mesotonica e spalmate nell'integrale, mentre il secondo ospita una silloge dei brani organistici eseguiti sull'Antegnati. Al di là del fatto che il giovane artista veneto si è voluto far immortalare con un pizzo e un taglio di capelli, oltre che con una giacca seicentesca, evidenziando così un'inquietante rassomiglianza con lo stesso Frescobaldi (cosa che farà indubbiamente piacere ai buddhisti e ai seguaci della reincarnazione), l'ascolto di questi due dischi “riassuntivi” del progetto discografico impone alcune riflessioni, soprattutto per quanto riguarda ovviamente la scelta dell'interpretazione fatta sullo Steinway D274.
Ora, tenuto conto dei risultati ottenuti, devo riconoscere la validità e l'interesse “sperimentale” di tale operazione; la prima cosa che si può notare è come in effetti la scelta di questa particolare accordatura permetta di lavorare e di esprimere la fitta tessitura frescobaldiana su più piani. Partiamo dal fraseggio che ne guadagna, dando modo alla musica di manifestare una “fluidità” capace di esaltare la volumetria timbrica e la dimensione “danzante” che la musica del sommo ferrarese riesce a incarnare (si prenda, ad esempio, proprio il brano iniziale l'Aria detto Balletto, tratto dal Secondo Libro di Toccate (1637)), in cui la dimensione emissiva della tastiera dà modo di variare le sezioni del brano giocando tra l'allegro e l'adagio senza che il respiro generale del pezzo ne possa risentire. Ciò significa che se da un lato viene rispettata la volontà del compositore nell'alternanza del fluire musicale, dall'altra vi alberga quella spontaneità, quella leggerezza timbrica che si mantiene anche nel registro grave, il quale, per via dell'accordatura in questione, si manifesta timbricamente in modo ancor più marcato, soprattutto nel decadimento degli armonici.
Inoltre, a guadagnarne è anche l'impulso ritmico (si ascolti la Corrente Seconda, tratta alle Toccate e Partite d'intavolatura di cimbalo, Libro Primo (1616)), in cui l'emissione si mantiene sempre distinta senza perdere nulla nel legato, esaltandone il debito “respiro” (quella del respiro presente nella musica frescobaldiana è un fattore da tenere sempre bene in mente, poiché rappresenta il nucleo portante, l'elemento proiettivo grazie al quale si può comprendere meglio quella corrente d'aria generata tra le due porte rimaste aperte), così come si può lavorare di bulino a livello di sfumature come dimostra la splendida Aria detta la Frescobalda, sempre tratta dal Secondo Libro di Toccate, in cui il gioco agogico se da un lato permette il variare del respiro espressivo senza ledere l'architettura generale del brano, dall'altro dà modo all'interprete di dare sfoggio alla tavolozza dei colori di intersecarsi tra il registro grave e quello medio-acuto.
L'accordatura mesotonica si dimostra poi avere quasi una funzione di scavo, d'indagine microscopica nel dipanarsi della scrittura frescobaldiana, mettendo in luce quegli aspetti che saranno poi fonte di studio e di ammirazione in Bach (un brano esemplare in tal senso è Partite sopra Folia, tratto dalle Toccate e Partite d'intavolatura di cimbalo, Libro Primo), in cui si avverte l'albeggiare della futura sonata pianistica, di un universo da esplorare nella sua versatilità e nel variare la pletora di “affetti” che intende esprimere. Ciò fa comprendere come l'accordatura mesotonica invece di spezzare, di frantumare la resa timbrica, in realtà compie l'operazione opposta, vale a dire porta a “compattare” i colori della tastiera (senza per questo “uniformarli”), permettendo sempre una piena realizzazione dei piani esecutivi, che riescono a materializzarsi davanti all'ascoltatore.
Tutto ciò, sommato nei suoi vari aspetti, permette al nucleo dei brani pianistici di vedere realizzato un denominatore comune, quello che appartiene al peso specifico della visione musicale frescobaldiana, ossia la sua affascinante “cantabilità” (altro elemento che Bach metterà poi in atto nella sua musica tastieristica), frutto di quell'immissione melodica, squisitamente italica, quella flebo di linea discorsiva che va a ingentilire connotati in cui lo spessore formale potrebbe prendere pericolosamente il sopravvento (come accade in un pezzo “sperimentale” per arditezza armonica come la Toccata Nona, che va a lambire i territori della dissonanza). Questo equilibrio, questo mirabile gioco di pesi e contrappesi trova idealmente il suo approdo in quel capolavoro che è la Partite 11 sopra l'Aria di Monicha, in cui cantabilità, scavo armonico, senso ritmico che corre sotto la linea emissiva, sviluppo del registro grave che si imbastisce con quello medio-acuto concorrono a fornire un sintomatico esempio di ciò che Frescobaldi coltivò dal passato per far fiorire nel suo presente, dando così modo l'instaurarsi della sua missione di testimone privilegiato di un tempo che, non solo musicalmente, era in una fase di trasmutazione, lasciando le intellettuali plaghe del Rinascimento e dell'Umanesimo per gettarsi nel mare periglioso ed epidermico del primo Barocco.
Passando alla registrazione dei brani organistici, si comprende per quale motivo Michele Fontana abbia optato per l'organo Antegnati, poiché questo strumento, oltre ad essere coevo all'opera frescobaldiana, vanta una eccelsa musicalità il cui timbro esalta la fluidità dell'ordito del compositore ferrarese, mettendo debitamente in rilievo sia la dolcezza melodica (la prima parte del Capriccio sopra la Girolmeta e la Bergamasca, tratti dai Fiori musicali), sia, attraverso i registri che possiede, la “monumentalità” che le composizioni organistiche del corpus sprigionano (la Toccata Quinta e la Toccata Sesta, sempre tratte dal Secondo Libro di Toccate sono in tal senso da prendere quale limpido esempio).
La prodigiosa capacità di espressività che la musica frescobaldiana riesce a esprimere viene resa in modo appropriato dal nostro interprete anche quando si tratta di scontornare la voce umana, come accade nel Ricercar con Obligo di cantar la Quinta Parte senza toccarla, in cui l'organo prende per mano la voce del soprano Elena Bertuzzi, così come nello Hinno Iste Confessor, con il tenore Matteo Zenatti, brani sintomatici nei quali lo stile raffinato del musicista fanno sublimemente i conti con l'affettività che devono trasmettere, instillando emozione e compartecipazione in chi ascolta. Fontana riesce così a rendere la totalità di una proiezione artistica che si stempera anche quando la musica diviene pura “riflessione”, tuffo in un'immanenza che assume i caratteri contemplativi desunti da un'apparente rigidità formale: si ascolti, a tale proposito, come l'artista dipana le meravigliose tessiture implosive del Recercar Secondo e nella Canzone Quarta (Recercar et Canzoni fatte sopra diversi oblighi in partitura, Libro primo 1615-1618), composizioni che dimostrano la piena padronanza e capacità di sfruttamento dell'organo da parte di Frescobaldi, così come la commovente “nobiltà” che affiora dal Magnificat Primi Toni, che vede ancora la voce sopranile di Elena Bertuzzi.
Altro punto di forza di questo progetto discografico è quello che riguarda il dato tecnico; lo stesso Michele Fontana, specializzatosi anche come ingegnere del suono, ha curato tutta la presa sonora. La ricostruzione fisica e spaziale dello Steinway D274 si avvale di una dinamica stratosferica, esempio di velocità e di trasparenza, in modo da evidenziare nelle pur minute sfumature i pregi dell'accordatura mesotonica (il decadimento degli armonici, soprattutto quelli che rientrano nel registro medio-grave, sono una delizia a livello audiofilo), esenti da colori o enfasi inappropriati. Inoltre, il palcoscenico sonoro denota una discreta profondità, in modo da vedere ricostruito il pianoforte al centro dei diffusori senza che risulti essere posto troppo in fondo nello spazio fisico. Eccelsi anche l'equilibrio tonale (fondamentale per apprezzare la peculiarità dei registri dati dall'accordatura) e il dettaglio, quest'ultimo a dir poco granitico, con lo Steinway scontornato da tonnellate di nero.
Ma la presa del suono si fa apprezzare soprattutto per ciò che riguarda la cattura del timbro organistico. Qui si trattava non solo ricostruire le sfumature dell'Antegnati, la dolcezza dei registri acuti e le profonde e articolate rotondità di quelli gravi, ma anche lo spazio fisico che circonda lo strumento stesso, in modo da far apprezzare meglio la sua volumetria sonora. E anche in questo caso il risultato rientra nel novero della filosofia audiofila, poiché si avverte nettamente, se si ha a disposizione un impianto audio all'altezza, come l'organo sia stato ricostruito con una maggiore profondità, in modo da fare percepire lo spazio nel quale è calato, evitando di immettere un riverbero a dir poco eccessivo, tale da disturbare o, peggio, annullare i benefici dati dai valori dell'equilibrio tonale. La dinamica è possente, dolcemente nucleare (sotto i 40 Hz, il pavimento del mio locale di ascolto ha vibrato tenuemente sotto la spinta di un registro grave pieno, compatto, senza mostrare il minimo cedimento o prolungamento innaturale del decadimento), così come il registro acuto è rimasto sempre cristallino, pulito, preciso, evitando di dar luogo a un fenomeno di “fatica di ascolto”. Tutto ciò ha permesso di ottenere un dettaglio finissimo, dotato di una grana pressoché perfetta, tale da posizionare idealmente l'ascoltatore a metà navata.
Andrea Bedetti
Girolamo Frescobaldi – Frescobaldi on Meantone Piano (Meantone Piano and Pipe Organ)
Michele Fontana (pianoforte & organo)
2CD Fluente Records FL 28158.02
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 5/5