In una lettera indirizzata al padre del 28 dicembre 1782, Mozart scrisse: «I concerti sono una via di mezzo fra il troppo difficile e il troppo facile, sono molto brillanti e piacevoli all’udito, naturalmente senza cadere nello stravagante e nella vuotaggine. Qua e là anche gli intenditori possono ricevere una soddisfazione, ma in modo che i non intenditori devono rimanere soddisfatti, senza sapere perché». Questa illuminante affermazione potrebbe essere idealmente inserita come epigrafe alla testa dei ventuno concerti per pianoforte e orchestra, più uno per tre pianoforti e orchestra, un altro per due pianoforti e orchestra e un rondò per pianoforte e orchestra nei quali il genio mozartiano riversò la sua impareggiabile arte, trasformando indissolubilmente questo genere musicale da una libera forma sinfonica, in cui al pianoforte era ancora riservato un ruolo brillante e virtuosistico, quasi un orpello rispetto alla dimensione e all’architettura del linguaggio orchestrale, a un eloquio sonoro più organico e sviluppato all’interno di un rapporto maggiormente equilibrato tra il pianoforte e l’accompagnamento orchestrale, concentrato soprattutto nei sei concerti composti nel biennio 1785-86 (per la precisione, K. 466, 467, 482, 488, 491 e 503).

Ma anche negli anni precedenti, componendo concerti che anticipano la suprema maturità stilistica, Mozart seppe mettere in pratica quanto enunciato in quella lettera al padre Leopold, come dimostrano i due concerti che fanno parte di questa registrazione effettuata dal vivo al Teatro Carlo Felice di Genova il 24 maggio 2013 con Andrea Bacchetti al pianoforte, accompagnato da Fabio Luisi alla testa dell’Orchestra del Teatro Felice, che vede il Concerto n. 12 in la maggiore K. 414-385p e il Concerto n. 9 in mi bemolle maggiore K. 271, composti rispettivamente nel 1782 e nel 1777.

Il Concerto K. 414 fa parte di quel trittico di opere, unitamente ai K. 413 e K. 415 che Mozart scrisse tra l’autunno del 1782 e l’inverno del 1783, dopo essersi definitivamente  trasferito a Vienna nel 1781, e che volle utilizzare per farsi conoscere e apprezzare dai viennesi come pianista e compositore; tre concerti la cui scrittura non è particolarmente virtuosistica, ma che è ravvivata da un’indubbia e fascinosa fluidità melodica che richiama alla mente le atmosfere e gli eloqui galanti dell’epoca e il cui impianto generale e le connotazioni stilistiche sono desunti dai lavori di Johann Christian Bach, morto proprio all’inizio del 1782. Lungi dal vantare una complessità formale tale da scoraggiare possibili interpreti dilettanti, Mozart dà vita con il concerto in la maggiore a una concezione popolare, ma non superficiale, strategicamente voluta per chiari motivi commerciali e di mercato. Con un risultato, quindi, prendendo sempre a modello quello stralcio della lettera del 28 dicembre 1782, che tende (apparentemente) al troppo facile rispetto al troppo difficile, proprio per via di un’atmosfera intrisa di leggerezza, freschezza ed eleganza (complice la tonalità del la maggiore).

Anche il concerto in mi bemolle maggiore denota una notevolissima freschezza e fu composto da un Mozart ventunenne per una pianista francese, mademoiselle Jeunehomme, conosciuta dapprima a Salisburgo e poi rivista a Parigi, ma che contrariamente a quello in la maggiore denota una maggiore ricchezza tematica e una costruzione nel rapporto dialogante di ben più profonda struttura e articolazione, facendo di esso il concerto più complesso e ampio nelle sue dimensioni prima di quelli elaborati nel periodo viennese, tale da spostare la paletta dell’equilibrio, descritto nella missiva paterna, verso il troppo difficile a scapito del troppo facile.

La lettura fatta da Andrea Bacchetti evidenzia prima di tutto una grande pulizia stilistica, unitamente a una chiarezza d’intenti esecutivi e a una consapevolezza dei pesi da distribuire nei due lavori concertistici che, come si è visto, si pongono agli antipodi l’uno dall’altro. E poi, la tipica lucidità dell’artista genovese (mutuata dall’insostituibile insegnamento di Luciano Berio nel saper affrontare la partitura) che trova puntuale riscontro sotto due punti di vista: il primo focalizza il fraseggio, mai disgiunto da una sottile e vibrante ricerca di un ritmo interiore delle due opere, il secondo nel mettere in risalto quel senso di “teatralità” di cui si è già detto in un precedente contributo alla musica mozartiana (vedi recensione dei Works for Piano 4 Hands) e che è una caratteristica ineludibile presente anche nel repertorio strumentale del genio salisburghese. Il tocco trasmette eleganza, una sottile raffinatezza formale (soprattutto nel K. 414), senza dimenticare il senso delle proporzioni proposte e rispettate da Bacchetti, tali da manifestare una deliziosa fluidità timbrica, ottimamente sostenuta dall’accompagnamento dell’orchestra genovese (soprattutto gli archi), ben diretta da Fabio Luisi, che conferma di essere anche un sopraffino direttore accompagnatore.

Buona la presa del suono effettuata dal vivo, contraddistinta da una dinamica capace di restituire pienamente il timbro pianistico e quello orchestrale, con una corretta riproposizione degli armonici (complice anche un riverbero veritiero). Il palcoscenico sonoro propone il pianoforte avanzato, ma non in modo spropositato e innaturale, con la massa orchestrale posta leggermente troppo in profondità. Il dettaglio presenta gli strumenti, a partire dal pianoforte, con una buona matericità, così come l’equilibrio tonale.

Andrea Bedetti

 

Wolfgang Amadeus Mozart – Piano Concertos K. 414 & K. 271

Andrea Bacchetti (pianoforte) – Orchestra del Teatro Carlo Felice – Fabio Luisi (direttore)

CD Concerto Classics 2106

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 4/5