C’è un’affermazione di Gioachino Rossini che viene riportata nella custodia del CD preso in oggetto in questa recensione: «Come sarebbe meravigliosa l’opera se non ci fossero i cantanti». Un’affermazione che in effetti può sembrare ironica, ma che cela una grande verità, ossia di come la voce umana a volte possa tradire le intenzioni e le volontà di chi compone, annullando di fatto la bellezza e il significato dell’attività creativa, restituendola o esprimendola in modo alterato o persino errato. Lo stesso può accadere, sia ben chiaro, anche nella sfera dell’interpretazione strumentale, ma quando uno o più strumenti riescono a far trasparire ciò che la voce (ossia i cantanti) non riesce a fare, allora il risultato può dare luogo a qualcosa capace di mostrare un volto che era rimasto nascosto, occultato fino a quel momento.

Ed è quanto avviene, in un certo senso, ascoltando questa registrazione della casa discografica romana KHA, che presenta una silloge di pagine per chitarra della grande scuola italiana classica e romantica, quella che dettò legge in Europa tra la seconda metà del Settecento e la prima metà di quello successivo. E, tornando a quanto accennato sopra, la musica chitarristica italiana fu all’epoca l’unico, vero contraltare allo strapotere del teatro operistico, la sola “voce” capace di sostituirsi alla dittatura di quella dettata dai cantanti. E non è quindi un caso, sempre che l’intento fosse questo, che questa incisione, effettuata da un giovane e valente chitarrista napoletano, Andrea Belmonte, si intitoli Vocal Cords, nel quale le corde vocali sono per l’appunto sostituite da quelle della chitarra. Poiché ascoltando i brani di provetti e, a volte, sconosciuti autori presi in oggetto, il risultato è quello di una serie di brevi (il pezzo più lungo non arriva ai quattro minuti di durata) “arie strumentali”, in cui la chitarra non tanto imita, quanto sostituisce la caratura del canto umano per mostrare ciò che è in grado di fare, ossia permettere a questo strumento a corde di cantare la propria essenza espressiva, esaltata dalla tipica capacità italica di far ricorso all’impianto melodico, sul quale, nel corso di più di due secoli, si è retta massima parte del teatro musicale nostrano.

La cover del CD della KHA dedicato alla musica chitarristica italiana tra Settecento e Ottocento.

La chitarra come voce, dunque, la chitarra che esprime in modo minimalista, nel senso spaziale e fisico del termine, quanto i cantanti esibivano sui palcoscenici teatrali. Questo, però, come si è detto, non significa che la chitarra della scuola italiana mirò a sostituire, né tantomeno a emulare le evoluzioni, i gorgheggi, le infiorettature, gli abbellimenti delle voci teatrali, poiché questa antologia mira a presentare giustamente come la chitarra, pur mantenendo saldo il timone dell’impianto melodico, seppe offrire grazie a determinati autori, una spiccata ed eccelsa autonomia stilistica, una capacità di sfruttamento dello strumento in chiave squisitamente indipendente, distinta dalla tentazione, come avvenne al contrario per il pianoforte, soprattutto in chiave perifrasistica, di sfidare la voce nella resa sonora.

Questo perché la chitarra seppe mantenere chiara una sua techné, un suo territorio dove prima di tutto la sistematizzazione armonica non subì drasticamente gli influssi dati da quella che venne articolata a favore della voce umana. Certo, come anche nel caso di questa registrazione, non mancano le trascrizioni da arie liriche, ma nella scelta fatta da Andrea Belmonte si capisce come a decretare il tramonto della chitarra nel firmamento musicale non solo italiano, ma soprattutto europeo, non sia stato tanto il progressivo dominio del genere operistico, quanto la capacità da parte del pianoforte di assumere un ruolo sempre più propositivo in termini di esplorazione e di resa del suono: da questo punto di vista, la chitarra non fu più in grado di affrontare e sostenere quanto richiesto dalla modernità della musica del tempo, il pianoforte sì.

I diciotto brani che fanno parte di questa incisione sono di undici autori, un numero sufficiente per fornire una prima idea, un abbozzo della ricchezza e della varietà della scuola chitarristica italiana a cavallo tra Settecento e Ottocento; si va da nomi conosciuti anche dai non appassionati di chitarra classica, come nel caso del pugliese Mauro Giuliani (1781-1829), con due tempi di altrettanti Studi e l’Allegretto da Papillon, e del napoletano Ferdinando Carulli (1770-1841), con il celeberrimo Fandango, passando per un genio come l’incompreso Giulio Regondi (1822-1872), con il Moderato dallo Studio n. 1 e una variazione dal belliniano I Capuleti e i Montecchi, per Niccolò Paganini (virtuoso di chitarra oltre che del violino), con l’Andante dai Ghiribizzi e la Romance dalla Grande Sonata, continuando con opere di cosiddetti autori minori (espressione questa alquanto pericolosa e grossolana) come il ferrarese Luigi Legnani (1790-1877), il fiorentino Matteo Carcassi (1792-1853), l’eporediese Francesco Molino (1775-1847), il bolognese Marco Aurelio Zani de Ferranti (1801-1878), fino al misconosciuto e grande bolognese Giuseppe Antonio Brescianello (1690-1758), eccelso violinista e autore di notevole pagine per il cosiddetto “gallichone” (uno strumento simile al liuto, ma con un suono prossimo a quello della chitarra), di cui Andrea Belmonte presenta tre movimenti da altrettanti Colascioni. Certo, non poteva mancare una fatidica trascrizione da un’opera lirica, oltre a quella già citata del Regondi, come quella da un’aria della Semiramide di Rossini (arrangiata da Mauro Giuliani), e due Sonate clavicembalistiche di Domenico Cimarosa (arrangiate per chitarra da Moshe H. Levy e dall’immancabile Julian Bream). Il tutto per un totale che non raggiunge i trentaquattro minuti di durata e ciò rappresenta un vero peccato veniale, in quanto per la scelta e per la bellezza dei brani proposti questa registrazione avrebbe meritato un minutaggio ben maggiore.

Il giovane chitarrista napoletano Andrea Belmonte.

Nonostante la giovane età, con i suoi beati venticinque anni, Andrea Belmonte riesce ad affrontare e a dipanare le diverse letture di questi pezzi con un cipiglio e una sicurezza interpretativi davvero notevoli, affidandosi a un meraviglioso modello di chitarra di José Ramirez del 1970, il cui timbro rappresenta un ideale denominatore comune per rendere le varie esigenze e differenze stilistiche proposte. Padrone delle sei corde, il chitarrista napoletano immerge la fase d’ascolto in una successione di scorci, di atmosfere, di fraseggi, di abbellimenti che hanno quale scopo non solo quello di illustrare storicamente la scuola italiana, ma soprattutto di decodificare i suoi vari aspetti, che vanno dall’esplorazione delle potenzialità dello strumento attraverso gli Studi, alla capacità di trasporre peculiarità appartenenti al mondo dell’opera (l’aria dalla Semiramide sembra quasi echeggiare elementi polifonici) e del clavicembalo. Tutto ciò Andrea Belmonte riesce a esprimerlo con una maturità stilistica, con una lucidità interpretativa tali da sembrare quasi scontato il risultato finale, la cui densità è pari alle difficoltà tecniche ed esecutive, sempre affrontate e risolte con mirabile accortezza. Illuminante.

La presa del suono fatta da Tommaso Cancellieri restituisce una dinamica e soprattutto una microdinamica molto buone, in modo da rendere al meglio il timbro vellutato e rotondo della chitarra; lo strumento risulta poi ricostruito al centro di un ideale palcoscenico sonoro, scolpito a una discreta profondità al centro dei diffusori. E se l’equilibrio tonale rispetta debitamente i registri della chitarra, sempre chiari e distinti, il dettaglio è denso di matericità.

Andrea Bedetti

AA.VV. – Vocal Cords - Italian Themes for Guitar

Andrea Belmonte (chitarra)

CD KHA20

Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5