Oltre ad essere regista, drammaturga, attrice, vocalist, didatta di musica e teatro e strumentista d’arpa, Letizia E. M. Piva è anche il direttore artistico della rassegna teatrale Donne da palcoscenico, che si organizza a Rovigo e che quest’anno è giunta all’ottava edizione. L’abbiamo intervistata sugli obiettivi del cartellone dell’edizione 2022, in programma dal 29 giugno al 5 luglio 2002 presso l’evocativo Chiostro dell’ex Monastero Olivetano della città veneta


Maestro Piva, l’ottava edizione della rassegna teatrale Donne da Palcoscenico, della quale lei è il direttore artistico, presenta quest’anno un sottotitolo alquanto intrigante: Dell’Altrove Ti parlo – altri Linguaggi per nuovi incontri. Reputo che la necessità di confrontarsi con “altri” linguaggi per dare vita a “nuovi” incontri nasca dall’aver compreso che quelli attuali, anche in sede artistica, hanno fallito o, quantomeno, non sono stati portatori di risultati auspicati. Allora le domando, dove hanno fallito i “vecchi” linguaggi e, per invertire la rotta, che cosa devono esprimere quelli che si presentano come “altri”?

I linguaggi artistici non sono fallimentari, ma si devono confrontare con una situazione mutata e divenuta critica, soprattutto per alcuni aspetti dell’umana vita. Ritengo che la proposta di spettacoli ed eventi, nell’attuale contesto, assuma senso solo se si rinuncia alla mera rappresentazione di se stessi e della propria creatività, puntando invece a un messaggio chiaro, utile e non egocentrico. Dunque desidero parlare di un Altrove come luogo, sia fisico che interiore che comunitario, in cui avere la possibilità di uscire dall’usuale, dall’esteriore e dall’angosciante, ritrovando l’inconsueto come valore, l’interiore come condivisione e la bellezza come sollievo. È un luogo, Altrove, che necessariamente non usa i linguaggi della cronaca, della scienza, della logica, del potere; è un luogo in cui invito a entrare lasciando riposare la razionale fatica di sopravvivere per divenire leggeri grazie ad altri Linguaggi che oltrepassano le barriere delle nostre linee difensive così duramente provate. Con garbo, lo voglio fare, Ti parlo senza provocazioni, senza alcuna violenza; Ti invito a ammainare le vele e a lasciarTi andare a nuovi incontri con lo splendore metafisico del luogo con cui dialoga la Rassegna, con l’arte e gli artisti, con il Tuo spirito e la Tua umanità ferita.

Letizia E. M. Piva, direttore artistico della rassegna Donne da palcoscenico (Ⓒ Alberto Buzzanca)

Sempre in riferimento al programma di quest’anno, ha anche affermato che la società attuale ha bisogno di bellezza, attraverso la quale l’arte e la comunità possano tornare finalmente a comunicare. Questo nel bel mezzo di un momento storico durante il quale stiamo vivendo il punto di massima disgregazione di ogni valore costitutivo (qualcuno direbbe che siamo ormai nel cuore del Kali-Yuga), un periodo nel quale le nuove generazioni si dimostrano sempre meno interessate al reale e formativo messaggio culturale, preferendo ormai quello effimero e manipolativo fornito dai social e dalle nuove tecnologie. Da dove parte questa sua convinzione e che cosa le fa credere che ormai non stiamo per approdare sulla fatidica “ultima spiaggia”, tanto per citare il titolo di un famoso film di Stanley Kramer?

È proprio ora, proprio in questa greve contingenza che è necessario resistere e continuare a testimoniare che l’umanità sa creare e vivere la bellezza perché, a ben guardare non solo il male, c’è tanta voglia di riscatto e di redenzione che riluce nelle nostre comunità. È proprio in momenti così critici che le nuove generazioni hanno bisogno di vedere che c’è dell’altro che vive, che pulsa e, quando i ragazzi vi si accostano, a patto che la proposta artistica sia pregna di significato e di qualità, se ne sentono subito conquistati. Mi piace molto insegnare ai ragazzi musica e teatro e, fintanto che costruisco con loro un mondo che prima non esisteva, li vedo assetati, impegnati e soddisfatti. Dunque, secondo me, è un dovere e un privilegio tenere aperta una via lastricata di bellezza.

Tra gli spettacoli della rassegna di quest’anno, a quali si sente maggiormente affezionata e su quali punta in modo particolare per stimolare l’attenzione e il coinvolgimento del pubblico?

Difficile risposta… Ho scelto Groppi d’amore nella scuraglia di Tiziano Scarpa perché inventa un linguaggio altro, che mi pare essere ciò di cui proprio ora sentiamo la necessità per tentare di esprimere il nostro martoriato vissuto. Ho scelto il teatro-danza di Giselda Ranieri perché esplora il corpo, negatoci a lungo, e che deve tornare con tutta la sua irruenza, il suo calore e le sue possibilità. Ho scelto la poesia perché sa scrivere il recondito dei nostri cuori. Ho scelto la musica e l’ho messa in relazione al chiostro, creando qui echi e dialoghi tra nascondimento e disvelazione; ho messo la musica in relazione al corpo, coinvolgendo nel dialogo l’Impromptu di Giselda, l’ho messa in relazione alla poesia perché la musica ci trasporta in quell’Altrove di cui voglio parlare. E attraverso queste esperienze parleremo con il pubblico che avrà la possibilità di contribuire alle serate con i suoi pensieri, le sue riflessioni, le sue domande, oltre al fatto che saranno gli spettatori a decretare il podio finale dei tre finalisti del concorso Donne da Palcoscenico – nel Chiostro, storia e bellezza negli occhi delle Donne. Inoltre, sarò curiosa di raccogliere le impressioni dei visitatori che esperiranno il primo step del progetto di teatro virtuale in realtà aumentata della Zingana, un testo di Gigio Artemio Giancarli, rodigino del Cinquecento, che ho studiato, adattato e messo in scena, per la prima volta dalle sue fortune cinquecentesche, nella scorsa edizione della Rassegna con una regia site specific. Sarò felice quando sarà il pubblico stesso a dirmi quale iniziativa lo avrà maggiormente conquistato.

Lei, oltre ad essere donna di teatro, è anche una didatta musicale e un’arpista. Dove si ferma il messaggio, il potere esplorativo del teatro e dove inizia, invece, la capacità della musica, dell’arte dei suoni? È d’accordo con la celebre affermazione di Heinrich Heine, secondo la quale la musica inizia laddove finiscono le parole?

Se per “parole” s’intende il linguaggio razionale e logico, sì, sono d’accordo, ma dissento qualora io voglia considerare il suono stesso della parola e il suono stesso dell’intenzione e dell’emozione. La mia ricerca personale mi spinge a unire i linguaggi: il testo, per me, diventa una partitura musicale (spesso anche corporea) a tutti gli effetti e ciò diventa particolarmente evidente nell’interpretazione della poesia; ecco perché sento spessissimo la necessità di una sinergia con la musica.

L’ultima domanda può essere provocatoria: se la giustizia, se la legge non riescono ad arginare il fenomeno sempre più dilagante del maltrattamento subito dalle donne e, peggio, dei molteplici atti di femminicidio di cui ci parlano ormai quotidianamente gli organi di informazione, come può riuscirci il messaggio artistico? Può esserci la giusta propedeutica, quel meccanismo capace di disinnescare questo ordigno sociale?

Non credo che l’arte abbia il potere di fermare la violenza sulle donne, ma l’arte può parlarne con modalità esclusive che omettono le argomentazioni di parte e polverizzano gli schemi difensivi. L’arte è nella società, anche l’arte è la società, la società si esprime anche attraverso l’arte: il dovere di mantenersi vigili e pensanti è di tutti. Inoltre, l’arte convoglia le energie nella creatività, nella catarsi, nella sana espressione di sé, nella comunicazione libera da qualunque pregiudizio, anche dai pregiudizi di genere.

Andrea Bedetti