Nel 1850, mentre ancora stava lavorando alle ciclopiche architetture sonore del Te Deum, Hector Berlioz cominciò a stendere il libretto de L’Enfance du Christ (da lui definito in realtà Oratoire ou trilogie sacrée), ossia una sacra trilogia che di tutta la sua produzione rappresenta il lavoro che assomiglia maggiormente a un oratorio, con la prima delle tre sezioni che descrive il re Erode che ordina il massacro di tutti i neonati in Giudea; la seconda che mostra la sacra famiglia con Maria, Giuseppe e Gesù che si avvia verso l’Egitto per evitare il massacro, essendo stata avvertita dagli angeli, e con l’ultima sezione che narra del loro arrivo nella città egiziana di Sais, dove vengono accolti da una famiglia di ismaeliti (è bene ricordare che da adulto Berlioz non fu uomo religioso, ma rimase per tutta la vita sensibile alla bellezza della musica religiosa che lo aveva rapito ed estasiato da bambino).

Come si sa, il compositore ebbe un rapporto assai difficile sia con la critica, sia con il pubblico parigino del tempo, che non gli perdonavano la sua scrittura audace e un uso elefantiaco dell’orchestrazione, tuttavia L’Enfance du Christ ebbe un immediato successo e fu elogiato da tutti i giornali della capitale. Alcuni attribuirono la sua accoglienza favorevole a uno stile più consono ai gusti dell’epoca, anche se Berlioz respinse risolutamente questa tesi, tanto è vero che il compositore francese ebbe modo di scrivere testualmente: «di quel lavoro molte persone immaginavano di poter rilevare un cambiamento radicale nel mio stile e nei miei modi. Questa opinione è completamente priva di fondamento. La natura stessa del soggetto si prestava a una musica ingenua e dolce. Vent’anni fa avrei scritto L’Enfance du Christ alla stessa maniera».

Come si è già accennato, L’Enfance du Christ fu definito dal suo stesso autore una trilogia sacra che, anche se è simile a un oratorio, vanta una forma originale e si presenta come una mescolanza di generi diversi, come si può evincere, per esempio, nella terza parte, in cui si comprende tutto il genio di Berlioz nel dare unità a elementi che appartengono in maniera evidente ora al teatro d’opera, ora alla musica da camera, ora alla musica sacra; un’unità di intenti che si priva completamente dei timbri orchestrali facendo affidamento esclusivamente sulla sola voce umana. Semmai, il processo di depauperizzazione timbrica offre il fianco a una dimensione sonora che nell’opera fa molto affidamento sulla musica da camera, come quando il compositore francese, nella parte finale dell’opera, mostra una sorta di concerto agreste offerto a Maria e a Giuseppe da tre ismaeliti, che suonano l’uno l’arpa e gli altri due il flauto. Tre soli strumenti che evidenziano la capacità di Berlioz di raffigurare degnamente l’immagine di povertà terrena che ispira la figura di Gesù, una povertà fisica che fa da contraltare alla ricchezza spirituale che ammanta la sua figura fin da neonato.

Tutte queste peculiarità sono state esemplarmente lette e rese in questa splendida incisione dell’etichetta inglese Chandos, con Sir Andrew Davis alla testa della Melbourne Symphony Orchestra Chorus. La compagine australiana, infatti, non si è mostrata in imbarazzo di fronte a questa partitura che abbisogna di una notevole dose di chiaroscuri psicologici, di sfumature timbriche che devono richiamare, per l’appunto, la povertà fisica e la ricchezza metafisica. Da parte sua, Sir Andrew Davis si è dimostrato raffinato, elegante, così come le voci soliste, su tutti il mezzosoprano Sasha Cooke nel ruolo di Maria e il baritono Roderick Williams nelle vesti di Giuseppe, capaci di entrare a dovere nei loro ruoli, in cui la voce, come spesso accade in Berlioz, assume un ruolo “teatrale”, di valenza fisica.

Alex Stinson ha dato corpo a una presa del suono che riesce a restituire la caratura musicale dell’opera, con un palcoscenico sonoro e un equilibrio tonale in grado di rendere al meglio il suono orchestrale e il timbro delle voci, queste ultime leggermente più avanzate rispetto agli strumenti. La dinamica è velocissima, riccamente naturale (merito della qualità data dallo SACD) e il dettaglio finemente materico, ricco di tanto nero tale da scontornare assai bene i cantanti e gli strumenti musicali.

Claudio Rigon

 

Hector Berlioz – L’Enfance de Christ, op. 25

Sasha Cooke (mezzosoprano) – Roderick Williams (baritono) – Matthew Brook (basso-baritono) – Shane Lowrencev (basso-baritono) – Andrew Goodwin (tenore) – Andrew Staples (tenore) – Melbourne Symphony Orchestra Chorus – Sir Andrew Davis (direttore)

SACD Chandos CHAN 5228

 

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 5/5