Quando è nostra intenzione ascoltare della musica, che sia dal vivo o sotto forma di riproduzione discografica, ci poniamo antropologicamente sempre in rapporto con un’idea formale e, in questo caso, acustica, nella quale l’agglomerazione, la condensazione, il processo sonoro vengono spesso e volentieri disgiunti dal concetto del suono in sé. È come se guardassimo un muro fatto di pietre senza considerare ognuna delle pietre di cui è composto, così come ascoltando un quartetto per archi o una sinfonia consideriamo l’insieme dei suoni prodotti, la percezione generale e non quella particolare, ossia del suono tra i suoni (e ciò ci fa comprendere come fondamentalmente l’uomo, soprattutto quello contemporaneo, sia incapace di saper ascoltare). Una delle caratteristiche della musica contemporanea, in tal senso, è che attraverso la sua realizzazione fisica sonora, tende sovente a valorizzare e ad esaltare il suono in sé (e questo è uno dei motivi precipui, oltre a quello di bandire quasi sempre il richiamo delle sirene dell’apporto dato dalla melodia, della diffidenza che causa e dell’indubbia difficoltà di una sua circolazione in sede concertistica e discografica e della conseguente poco radicata fruizione presso il pubblico).
Ascoltare il suono in sé significa innanzitutto ascoltare la reazione che il suono provoca in chi ascolta. La musica contemporanea ha così insegnato ad ascoltare se stessi nel momento stesso in cui il suono si realizza e agisce su noi stessi. E questo splendido disco è un’esemplare dimostrazione di questo ascolto/scoperta/conoscenza che avviene con l’atto musicale, poiché John Cage, oltre ad essere stato uno dei padri putativi della musica contemporanea in chiave di esplorazione/sperimentazione, è stato anche un artista che ha basato le sue ricerche e la sua volontà di espressione attraverso il concetto del suono in sé (così come fece un altro grande del Novecento musicale, il nostro Giacinto Scelsi).
Se poi la ricerca del suono in sé si unisce all’irradiazione ritmica che il suono manifesta nell’espressione percussiva, proprio come in questo caso, allora l’esperienza d’ascolto si trasforma in un viaggio in cui la trascendenza misterica della musica si cala nella dimensione immanente di chi ascolta. Suono come scoperta, suono come sentiero, suono come esplorazione seguendo il ritmo dei battiti del cuore, dell’alternarsi del giorno e della notte, del passaggio delle stagioni, poiché la vita, come l’arte, è mutazione, è il continuo alternarsi da una situazione all’altra mutuate, disciplinate ed evidenziate da quel misterioso bacino chiamato tempo. E le quattro composizioni per sole percussioni (dove per strumenti percussivi Cage non riteneva tali solo quelli preposti a tale scopo, ma ogni tipo di oggetto capace di esprimere il materiale e soprattutto la sostanza da intendere come sua “anima”) presenti in questa registrazione, ossia “Quartet” (1935), “Trio-Suite for Percussion” (1936), “But What About The Noise of Crumpling Paper” (1985) e “Three2” (1991), rappresentano un ideale percorso ritmico/vitalistico dal quale partire per addentrarsi in un sentiero nel quale l’esplorazione sonora tende a stratificare la capacità percettiva esteriore/interiore di chi ascolta, con due effetti che si realizzano tendenzialmente nel giro di pochissimi minuti: la perdita di percezione temporale unitamente a un’esperienza che definire ipnotizzante non è certo esagerato (Cage ebbe modo di indagare le musiche e i suoni sciamanici, dei brujos, così come Carlos Castaneda indagò attraverso don Juan e altri stregoni mesoamericani i rituali e gli effetti delle sostanze allucinogene sul corpo e sulla mente di chi ne faceva uso per scopi teurgici).
Sia ben chiaro, però, che il fascino che queste composizioni e che questa registrazione emanano lo si deve anche dall’esaltante esecuzione da parte dei quattro componenti dell’Empty Words Percussion Ensemble (Sergio Armaroli, Maurizio Ben Omar, Andrea Dulbecco e Elio Marchesini) che, attraverso l’esplorazione ritmica di decine di strumenti e oggetti utilizzati per suonare questi brani, permettono all’ascoltatore di giungere a uno dei punti più ambiti di ogni esperienza sonora che si possa definire tale: cogliere il respiro del suono, avvertire in sé e dentro di sé l’inspirazione e l’espirazione dell’onda sonora che pervade l’ambiente in cui si manifesta. E chi ascolta non dovrà meravigliarsi se, durante l’ascolto stesso, il suo respiro si unirà a quello espresso da queste straordinarie opere, se inspirerà ed espirerà non solo l’aria, ma anche le vibrazioni, le pulsazioni, le trasformazioni ritmiche che il suono in sé riesce magicamente a incarnare e a manifestare.
Altrettanto stratosferica è la presa del suono che permette di vedere riprodotto un dettaglio da urlo così come la percezione fisica data dagli innumerevoli strumenti e oggetti usati, riprodotti in un ideale palcoscenico sonoro, senza dimenticare una dinamica naturalissima, energica e velocissima, capace di soddisfare anche gli audiofili più duri e puri.
Andrea Bedetti
John Cage – “Percussion Works, Vol. 1”
Empty Words Percussion Ensemble
CD Da Vinci Classics C00030
Giudizio artistico: 5/5
Giudizio tecnico: 5/5